Cinque anni dopo aver pubblicato il suo primo capolavoro, ovvero l’album Hunky Dory grazie al quale è passato dall’essere consierato meteora allo status di messia dell’era spaziale, David Bowie ha rilasciato una peculiare dichiarazione mitopoietica. In un’intervista del 1976 per Melody Maker, diceva che la sua Song for Bob Dylan, una straordinaria presa per i fondelli che lui stesso aveva precedentemente definito la descrizione di come «certa gente» vedeva Dylan, definiva ciò che lui stesso voleva fare in campo rock. «Mi sono detto: “Ok, se non vuoi farlo tu, ci penserò io”. Percepivo un vuoto di leadership».
A giudicare dal box set Divine Symmetry – The Journey to Hunky Dory quelle parole di Bowie erano vere solo in parte. In realtà, stava ancora dissimulando il panico provato durante la realizzazione di Hunky Dory. La raccolta contiene cinque dischi di demo, session radiofoniche, un live raro e mix alternativi che dimostrano quanto disperatamente Bowie stesse cercando di ideare la mossa successiva. Era rimasto impantanato nelle sabbie mobili dello status di artista bizzarro e si era chiuso a riccio dopo il buco nell’acqua di The Man Who Sold the World del 1970. Aveva sostanzialmente smesso di andare in tour e il rapporto con la sua band era in crisi. Ma è tornato rinvigorito da un viaggio negli Stati Uniti, tanto da darsi a composizioni pop ricche di sfumature che introducevano un’idea di apertura, al posto del solipsismo dell’album precedente, così da fargli trovare il coraggio per delineare i passi successivi.
Dopo essere stato negli States, ha iniziato a scrivere pezzi da far interpretare agli amici, un po’ nello stile della Factory di Warhol, con l’idea di andare poi in tour tutti assieme, come un collettivo. Song for Bob Dylan era stata concepita per l’amico George Underwood, mentre Andy Warhol era per Dana Gillespie, che nel box la interpreta con una voce alla Nico in una Peel Session della BBC. Oh! You Pretty Things era stata portata al successo da Peter Noone degli Herman’s Hermits, prima che la pubblicasse Bowie. Se non ce l’avesse fatta come artista, poteva cavarsela come autore. Doveva solo decidere chi essere.
I demo di Divine Symmetry, in gran parte mai pubblicati ufficialmente prima d’ora, mostrano come Bowie abbia cercato in molti modi di riempire il «vuoto di leadership» lasciato da Dylan. Sono una specie di modello per ciò che sarebbe stato il resto della sua carriera e lo si sente mentre tenta di calarsi nei panni di diversi personaggi. Nella versione grezza di Song for Bob Dylan imita la voce di Dylan, che descrive come simile a «sabbia e colla», e suona un’armonica dal suono metallico (per le session di Hunky Dory ha saggiamente abbandonato entrambe le affettazioni). Allo stesso modo, nella primordiale Queen Bitch, una sua imitazione assai convincente dello stile dei Velvet Underground che qui propone in versione rallentata, ridacchia sornione a metà di una strofa, proprio come avrebbe fatto Lou Reed. E anche la sua cover acustica solista di Waiting for the Man è all’insegna della deferenza. In Port of Amsterdam, cover di Jacques Brel tradotta in inglese (e omaggio a un altro degli eroi di Bowie, Scott Walker), canta disperato di marinai sbronzi e prostitute scontrose. Amsterdam sarebbe diventata il pezzo di chiusura di Hunky Dory se Bowie non avesse poi scritto Bewlay Brothers.
Le versioni in studio dei brani che non sono stati inclusi in Hunky Dory sono ancora più indicative e mostrano come Bowie sperimentasse nuovi personaggi. In How Lucky You Are (aka Miss Peculiar) prova a imitare Kurt Weill: ha tentato di convincere Tom Jones a incidere il pezzo, ma senza riuscirci. Looking for a Friend, scritta per il progetto parallelo dal nome orribile, Arnold Corns, potrebbe sembrare la risposta di The Band a Song for Bob Dylan, con il suo ritmo country-funk e il ritornello folk. La vibrante King of the City potrebbe essere un pezzo folk del primissimo repertorio dei Bee Gees (tipo I Started a Joke), ma un po’ più cupo; peraltro, più avanti, si troveranno varie eco di questo stesso approccio melodico in Ashes to Ashes. E Right On, Mother, poi incisa da Peter Noone, in questa versione ricorda un po’ Frankie Valli alle prese con una canzone di Billy Joel, con tanto di testo che parla della mamma che accetta la sua scelta di “vivere nel peccato” con una donna. Tired of My Life, folk e scura, diventerà It’s No Game in Scary Monsters, un decennio dopo: ascoltando questa versione si capisce che il pezzo era troppo deprimente per Hunky Dory.
Gli altri demo mostrano il modo in cui Bowie ha sviluppato il proprio sound. L’acustica Quicksand, incisa a San Francisco in una stanza di hotel per il giornalista di Rolling Stone John Mendelsohn (che ha poi scritto la recensione originale dell’album), ha il testo un po’ diverso, ma sostanzialmente tutti i demo rispecchiano le versioni poi registrate in studio, sono giusto un po’ più minimali. Bowie suona Kooks, scritta per il figlio appena nato Zowie, su una 12 corde (o meglio una 11 corde, stando all’autobiografia dell’ex moglie Angie Bowie) e suona il piano, arrancando, in una versione primordiale di Life on Mars? in cui si appropria degli accordi di My Way di Frank Sinatra nell’intento di scrivere una canzone migliore del classico di The Voice (nella versione definitiva c’è Rick Wakeman). Anche Changes, recuperata da un acetato frusciante, ha un suono grezzo con Bowie che sospira quando non canta. Shadow Man fa intravedere le premesse di un brano che avrebbe potuto essere all’altezza di Elton John, ma Bowie non l’ha inciso per anni, fino a Heathen.
Stando alla riproduzione dei quaderni di appunti contenuta nel box, si direbbe che Bowie avesse dozzine di altre canzoni pronte. Si dice anche che già allora che avesse composto la maggior parte del materiale di Ziggy Stardust. Alcune curiosità sono il testo scartato per Life on Mars?, con il verso “bacia il viso di una razza subumana”, il titolo del brano Andy Warhole (con la “e” finale, grafia che spiega perché, nell’intro, Bowie corregge il produttore Ken Scott, dicendogli che si pronuncia “hole”) e un riferimento a una canzone intitolata Charles Manson, probabilmente accantonata quando Bowie ha capito che Manson non era solo un hippie perseguitato dal potere, ma un pericoloso criminale. In una pagina, un Bowie poco più che ventenne scrive: «Credo che il mio stato mentale sia illegale». Sulla copertina del quaderno scrive male Hunky Dory trasformandolo in Hunky-Dorrey? e Hunky-Dorey. All’interno, poi, ci sono diversi schizzi di costumi di Bowie che mostrano il suo percorso per capire chi fosse.
Le tre registrazioni dal vivo testimoniano la maturazione di Bowie. Nella Peel Session, incisa pochi giorni dopo la nascita di Zowie, c’è una versione primordiale di Kooks (o Cukes, come pronuncia il titolo), mentre nella performance per Sounds of the 70s: Bob Harris Bowie sembra a disagio e non ancora abituato al suo status di star del rock, dopo mesi passati lontano dai riflettori. Nella seconda incisione canta una bellissima Oh! You Pretty Things da solo al piano e in Andy Warhol lui e Mick Ronson intrecciano le chitarre acustiche in un altro momento intimista.
Nel terzo live del box, una registrazione quasi integrale di un concerto del 25 settembre 1971 ad Aylesbury (qualche mese prima dell’uscita di Hunky Dory), c’è un Bowie che ha maggior fiducia in sé stesso. Inizia timidamente, chiede a Ronson di venire «un po’ più vicino» e poi ride aggiungendo «al microfono». Tira via nervosamente Space Oddity («Questa è una delle mie canzoni che ci leviamo dai piedi il prima possibile») e finalmente sembra a suo agio quando la band si unisce a lui per The Supermen e Pretty Things.
Anche se alcune canzoni sono grezze (lui stesso confessa di non saper suonare Changes e le chitarre vanno in feedback in Andy Warhol, o Andy Wuh-huh, come la chiama lui), il pubblico apprezza sempre più rumorosamente, fino alle cover di Round and Round di Chuck Berry e di Waiting for the Man dei Velvet Underground che chiudono il set. «Abbiamo davvero finito i pezzi», dice alle 500 persone presenti. «Abbiamo provato solo per oggi e mi sono quasi ammazzato cantando». Il promoter dello spettacolo, dando la buonanotte, definisce la performance «una delle migliori della mia vita». Si capisce che in questo momento David Bowie sa di poter riempire quel «vuoto di leadership» e mette in pratica la minaccia lanciata in Changes: “Attenti, voi rock’n’roller”.
Anche il disco con versioni alternative di pezzi di Hunky Dory contiene alcune perle. La registrazione completa di Life on Mars? non va in dissolvenza alla fine e si sente Ronson maledire un telefono che squilla rovinando una take perfetta. Vari remix mostrano coloriture differenti di pezzi chiave di Hunky Dory; i migliori sono la cover di Fill Your Heart di Biff Rose, che nel disco è una fotocopia dell’originale (quando persino Tiny Tim ha giocato con l’arrangiamento, rifacendola), ma qui è meno claustrofobica e con un arrangiamento di solo pianoforte, e una Bewlay Brothers rarefatta, completa di una serie di voci bizzarre sul finale. L’ultimo disco, un Blu-ray, contiene versioni in alta definizione di pezzi del box.
Nel complesso, Divine Symmetry offre un quadro più articolato di Hunky Dory. Bowie era disposto a provare qualunque cosa per cancellare lo stigma di meteora da una sola hit e ha plasmato l’album rendendolo un instant classic. In un’intervista del 1971 per NME lui stesso si è chiesto: «Come può una persona essere un artista pop serio a 24 anni?». Per la fine dell’anno, con l’uscita di Hunky Dory, aveva risposto alla domanda. Nel giro di pochi mesi si sarebbe nuovamente reinventato, dichiarando a Melody Maker di essere gay, tingendosi i capelli di rosso per trasformarsi in Ziggy Stardust e incidendo molte delle altre canzoni che aveva già scritto ai tempi di Hunky Dory. Ecco, in quel momento ha davvero riempito il «vuoto di leadership» adottando fino in fondo lo stile da rockstar.
Tradotto da Rolling Stone US.