DJ Koze, mistero risolto | Rolling Stone Italia
La musica ci sente

DJ Koze, mistero risolto

Una giornata ad Amburgo per capire chi è l’enigmatico dj tedesco che fa una sorta di house psichedelica a metà strada tra estasi e malinconia

DJ Koze, mistero risolto

DJ Koze

Foto: Daniel Zerbst

La cena con DJ Koze è deliziosa. Siamo in una sala chiusa da tendoni di un ristorante thailandese nel centro di Amburgo. Lui studia il menu come se fosse alla ricerca di chissà che, poi ordina pho, che è quel che prende sempre. Ride della mia espressione mentre arrivano le birre. «È la prima volta che ti vedo sorridere». Non è vero e ne sono sicuro, visto che è stato di ottima compagnia per tutto il pomeriggio. Finisce la birra, ma a quanto pare non riesce a concentrarsi sulla conversazione finché non ne ordina un’altra. Dopo parecchi tentativi di attirare l’attenzione del personale di sala, arriva una cameriera. Koze le parla in tedesco per cinque minuti, facendola ridere timidamente. Quando passa gentilmente all’inglese per domandarmi se anch’io ho ancora sete, le chiedo se sa con chi ha appena parlato. Non lo sa. Koze sorride, non è la prima volta che lo fa oggi ed è il sorriso più contagioso che abbia visto da mesi.

Da 30 anni Koze fa musica che trasmette la sensazione di essere felici nonostante tutto, di riuscire a sorridere anche con le lacrime sul viso, di ridere tra un singhiozzo e l’altro e di rendersi conto che persino adesso, con tutto quel che sta succedendo nel mondo, là fuori c’è della bellezza. La sua house-techno psichedelica sfugge a ogni classificazione di genere ed è meravigliosamente e irresistibilmente agrodolce. La sua storia è altrettanto paradossale. Sarebbe facile bollarlo come un altro dei tanti misteri della musica elettronica, restio a concedere interviste e sfuggente nelle apparizioni pubbliche. E invece nel corso degli anni ha parlato con molti giornalisti e quasi tutti hanno notato che, anche se è un soggetto riluttante a concedere interviste, parlare con lui è divertente ed è generoso nel concedere il suo tempo.

Passo con lui sei ore e capisco che è vero. Sta promuovendo il sesto album solista, Music Can Hear Us, ma chiarisce subito che le interviste meno interessanti sono quelle che si concentrano sul «prodotto». Parla con entusiasmo dell’artwork dell’album, che ha dipinto la fidanzata con cui sta da molti anni, Gepa Hinrichsen, ma non mi dice dove ha creato la musica o quanto ci ha messo. «Scrivi pure che ci ho messo dieci anni. E scrivi che l’ho fatto in Florida, in Giappone, in Australia. Puoi inventare. La verità è che quello che sta dietro alla creazione della musica spesso è una noia».

La musica che fa è delicata, impalpabile, ma mai noiosa. Ha colpito parecchie persone, permettendogli di fare remix di Jamie Foxx, Peggy Gou, Caribou e Gorillaz, oltre a produrre un album intero di Roísín Murphy. Robyn ha citato la sua XTC del 2014 come ispirazione per il suo ultimo disco. L’effetto Koze è ben rappresentato dal singolo principale del suo album del 2018 Knock Knock, un capolavoro costruito su due accordi intitolato Pick Up, forse il migliore lavoro di musica house degli ultimi 25 anni. Pick Up è perfetta tant’è che quando i dj la suonano in qualche evento se ne parla. Per esempio Laurent Garnier, che ha messo la canzone davanti a un pubblico esultante, a Barcellona, mandando in visibilio i presenti e totalizzando più di 70 mila visualizzazioni online. Oppure Ricardo Villalobos, che ha chiuso all’alba il suo set all’Houghton Festival del 2019 suonando in contemporanea due copie del vinile di Pick Up.

Meglio ancora è il video in cui Koze suona la canzone alla Sydney Opera House, con Murphy alla voce. Gli accordi sembrano parlarsi, suonando quasi sfacciati nella loro semplicità, con un effetto allo stesso tempo di estasi e malinconia straziante. “Penso che nessuno di noi due abbia voglia di dire addio per primo”, canta Murphy a tempo con un sampler di Gladys Knight di mezzo secolo fa. Poi il ritmo rallenta e la sala esplode, con la gente che balla alzando le mani al cielo con abbandono. Se lo guardate a casa, dovrete combattere fra l’impulso di gioire e quello di scoppiare a piangere.

DJ Koze - "Pick Up" feat. Róisín Murphy | Live at Sydney Opera House

Stefan Kozalla era un ragazzino amante dell’hip hop cresciuto negli anni ’70 e ’80 a Flensburg, nel nord della Germania occidentale. Il padre era avvocato, il primo ricordo legato alla musica è la madre che canta (la chiama «radio mamma»), ma non dice altro. Una volta a un giornalista ha detto di essere stato trovato, da bambino, con un campionatore Akai in una foresta di Marrakech.

Negli anni ’90 ha prodotto musica per il gruppo hip hop di Amburgo Fischmob. Il loro Power del 1998 sembra arrivare da un mondo parallelo in cui i Pharcyde rappano in tedesco. Mentre era nei Fischmob, ha iniziato a farsi chiamare DJ Koze, nome che la maggior parte degli ascoltatori anglofoni pronuncia «cozy». Lui diceva «coat-zuh», come la parola tedesca kotze, che significa vomito, ma ormai da tempo ha smesso di preoccuparsi del modo in cui viene pronunciato.

Adesso, superati i 50 anni, si sta avvicinando a un’età in cui potrebbe essere giustamente visto come uno zio benevolo. Ci siamo dati appuntamento alla Deichtorhallen, la galleria d’arte moderna più importante di Amburgo, per una retrospettiva sul pittore svizzero Franz Gertsch. Koze mi accolto offrendomi una manciata di caramelle dure zuckerfrei (senza zucchero) con gli incarti colorati. Io ho accettato e ho cominciato a scartarne una, ma lui mi ha fermato.

«No, no», mi ha detto, «è fortissima. Comincia con questa». Ho seguito il suo consiglio e ne ho presa una alla salvia con la carta rosa, ma non ho resistito a lungo alla tentazione: dopo poco ho provato quella verde all’eucalipto. La bocca per un attimo ha preso fuoco e lui ha riso della mia reazione, per poi spiegarmi che usa quelle caramelle per soddisfare il suo impulso naturale al vizio. «È una sensazione molto intensa che mi frena il desiderio mangiare o bere qualcosa». Mentre guardavamo la mostra, Koze si è meravigliato delle tele di Gertsch, la maggior parte delle quali raffigurava scene quotidiane dettagliatissime. «Mi piace perché non ritrae nulla di grande o speciale, ma trova la bellezza nelle piccole cose».

Dopo i Fischmob, Koze ha fondato gli International Pony, un trio electro-pop che ha avuto qualche hit minore, per poi partire con una carriera da solista, pubblicando una serie di album negli ultimi 20 anni abbondanti. Nel 2005 ha fatto uscire due LP solisti, uno con il suo nome d’arte e un altro, più sperimentale, usando lo pseudonimo di Adolf Noise. A il rischio di ricadere in una polemica anglo-germanica trita e ritrita, gli chiedo se il nome fosse uno scherzo nazista (sapete, le nostre rispettive nazioni hanno combattuto un paio di guerre piuttosto serie, qualche tempo fa). «Non è uno scherzo nazista, ma un gioco di parole».

Una volta Koze ha parlato di Amburgo dicendo che è «piccolissima, noiosissima e lontana», eppure un tempo era conosciuta come un luogo trasgressivo e pieno di creatività. Non lontano da qui, nel 1960, i Beatles hanno suonato in diversi locali notturni del quartiere a luci rosse, dopo aver lasciato Liverpool su consiglio del loro manager. Sul palco, John Lennon era noto per le prese in giro del pubblico tedesco: teneva un pettine sul labbro superiore, tendeva un braccio nel saluto nazista e gridava «Heil Hitler!». A quanto pare c’era chi lo trovava divertente, ma quelli per cui non lo era si lanciavano sul palco, costringendo il buttafuori del locale Horst Fascher a intervenire per proteggere la band.

Anni dopo, intorno al 1990, il figlio di Fascher, David Fascher, ha fatto parte di una giuria quando un giovane DJ Koze partecipava al contest per dj DMC. Koze racconta che si era inventato un trucchetto per cui piazzava un giradischi sopra a un altro, in equilibrio su quattro bicchieri da shottino. L’anno dopo Fascher ha gareggiato nella finale del DMC alla Wembley Arena di Londra e ha proposto lo stesso trick. «Era una mia idea», dice Koze. «Lui l’ha rubata. E ha vinto».

Ma torniamo a Hitler. «Venticinque anni fa potevamo prenderlo in giro, perché era una cosa molto lontana. Adesso è nuovamente attuale e non fa più ridere». Mentre parliamo, non è passato molto tempo da una giornata di interviste con la stampa tedesca, in molte delle quali gli è stato chiesto cosa avrebbe detto Adolf Noise ad Alice Weidel, la leader del partito emergente di estrema destra tedesco AFD (Alternative Für Deutschland).

Quattro giorni dopo la nostra conversazione, i tedeschi sono andati alle urne. L’AFD ha avuto un successo senza precedenti, diventando il secondo partito del Paese. Visto il risultato, Elon Musk, che un mese prima aveva fatto il saluto nazista durante un comizio, si è congratulato con Weidel per la performance del suo schieramento.

«Ora come ora, non c’è telefonata che faccio con gli amici che non sia, alla fine, politica», dice Koze. «Una volta parlavamo di cazzate e di musica, ma ora è sempre: “Hai visto cosa è successo?”. Prima avremmo potuto glissare o evitare di parlarne perché era un po’ noioso, ma adesso non è più noioso, cazzo. È allarmante».

Nonostante tutto, è convinto che cercare di rimanere positivi sia la cosa migliore, perché il pessimismo «non rende il mondo un posto migliore. Non puoi dire di aver perso finché non hai perso davvero. Devi combattere. È come nel BJJ: non ti arrendi finché non sei costretto a farlo».

Questo è uno dei tanti richiami che Koze ha fatto al jiu-jitsu brasiliano, il passatempo che più ama. È cintura nera di quest’arte marziale e dice che potrebbe parlare per ore dei benefici che porta. «Ho più amici nel giro del BJJ che nella scena musicale. Lì la gente ancora oggi non sa quasi cosa faccio, tipo: “ma dai, fai musica?”».

Amici o meno, Koze ha collaborato con alcuni nomi enormi, tra cui Damon Albarn per Pure Love, il singolo di traino di Music Can Hear Us. Nel 2015 Koze ha dichiarato: «Non sono affatto gay, ma un po’ me lo immagino come sarebbe con Damon Albarn».

«Davvero l’ho detto?», dice Koze ridacchiando. «Non lo conosco davvero, ma come artista per me è un modello di come si può invecchiare con dignità, restare aperti di mente, passare ogni giorno della propria vita a fare musica e, naturalmente, lo è per il suo genio musicale, la sua espressività, il modo di cantare. Ha una voce magica. Mi prende».

Ha conosciuto Albarn al Coachella del 2022. Erano in due roulotte vicine e, dato che Koze aveva remixato un brano dei Gorillaz nel 2019, Albarn è andato a presentarsi. Hanno bevuto champagne e parlato delle opere di Hermann Hesse. Albarn gli ha fatto sentire che parla un po’ di tedesco. Come dice Koze, sarà anche invecchiato bene, ma poco dopo Billie Eilish ha portato il frontman dei Gorillaz sul palco durante il suo set da headliner e alcuni fan l’hanno scambiato per il padre.

Dopo cena, fermo la registrazione e usciamo in cerca di altro alcol. Koze entra in un negozio asiatico di alimentari che ha aperto da poco e gli si illuminano gli occhi mentre passa in rassegna gli snack. Compra una noce di cocco a testa per noi due e, in via del tutto ufficiosa, mi racconta alcuni aneddoti sulla registrazione di Music Can Hear Us. Ho dimenticato i dettagli, ma ricordo che era roba pazzesca, qualcosa che aveva a che fare con lo svegliarsi da un sogno e scoprire canzoni di 15 minuti nel suo laptop, composte e registrate mentre non era in possesso delle sue facoltà.

Mentre ci piazziamo in un bar lussuoso di un hotel, studia per interi minuti la pendenza del pavimento, intavolando una conversazione con il concierge tedesco al fine di stabilire che effettivamente il pavimento è leggermente inclinato, per poi riferirmi la scoperta come se fosse importantissima. Arrivano due gin tonic e io recito il testo di Pure Love cantato da Albarn: “Ti avevo detto che stavo bene… ma non era vero”. E gli chiedo: stai bene?

«Ambizioso», dice lui, con gli occhi che brillano. «Ehm, no. Non sto bene. Sto cercando di gestire questo casino e di risolverlo, finalmente». Tocca a lui farlo? «Mettere ordine nel mio caos? Sì, devo farlo io, devo diventare un essere umano in pace, in qualche modo, con tutto». Quindi non si sente in pace con se stesso? «Non credo. Esternamente fingo che sia così, ma non è un periodo facile per me».

DJ Koze - Buschtaxi (Official Visualizer)

Le radici del suo disagio restano un mistero, ma forse è semplicemente un’altra persona che patisce le conseguenze di un mondo a pezzi. La nostra è un’intervista impegnativa, con la verità che sembra fluttuare intorno a noi come una canzone non shazamabile, ma molto bella. La conversazione spazia dalla politica alla musica, dallo sport a cose divertenti. A lui piacciono il nuovo singolo di Jorja Smith e AJ Tracey, em2500 M253X di Aphex Twin, Sexy Sadie dei Beatles, l’amapiano (l’ultimo grande “terremoto” in ambito di musica elettronica) e Burna Boy. Ambisce ancora a produrre musica per le popstar, ma fa velocemente un passo indietro, in un tipico momento di autocontraddizione, perché «ci deve essere un’idea migliore di un ragazzo bianco che cerca di fare afrobeat per Burna Boy».

Apprezza Hannah Gadsby e il vecchio Louis CK. Gli piace anche Extras di Ricky Gervais, e discutiamo del momento più bello della serie: concordiamo sull’apparizione di Robert De Niro, quando Stephen Merchant chiede all’attore se ha mai guidato davvero un taxi prima di regalargli una penna con una donna i cui vestiti cadono, quando la si capovolge.

Passeggiamo per strada dopo qualche altro drink. Casualmente scopriamo che pernotterò nella stessa strada della casa di Koze, dove vive in un appartamento che occupa da più di 20 anni. È anche il quartiere più malfamato di Amburgo. Koze indica un ristorante dove, a suo dire, di recente un adolescente ha sparato a qualcuno, un negozio di doner kebab che è stato da poco perquisito perché i suoi proprietari vendevano eroina e, all’ingresso del suo palazzo, un tizio squallido se ne va con quella che sembrerebbe una prostituta. Non c’è niente di affascinante, non è come essere in una scena di Taxi Driver.

Koze se sente al sicuro ad Amburgo e definisce Berlino «un cesso». Si ferma fuori dal suo palazzo, come se volesse invitarmi a entrare. Ma decide di non farlo, sospetto, per mantenere intatto un po’ del suo mistero, per evitare di rivelare come vengono fatti i bratwurst, o forse solo per smaltire l’alcol. Mi manda un messaggio più tardi, suggerendomi come trascorrere la mattina successiva, consigliando soprattutto una visita alla Reeperbahn, la strada in cui John, Paul, George e Ringo hanno suonato insieme per la prima volta. Sotto il sole di febbraio mi aggiro per il posto come un bambino in un negozio di dolci zuckerfrei.

Rinuncio ai Fab Four in cuffia, optando invece per Music Can Hear Us. È un album magnifico, che richiede molti ascolti prima di rivelare segreti e meraviglie. Koze l’ha intitolato così perché crede che la musica possa darci proprio ciò di cui abbiamo bisogno in questo periodo difficile: «Può percepire il nostro dolore, il nostro destino, la nostra euforia, i nostri desideri, le nostre richieste. In qualche modo è anche politica».

Fallo, tu che stai leggendo. Ascolta il disco cinque, dieci, cento volte e senti come Koze ti parla nel linguaggio universale e misterioso degli accordi, delle chiavi e del ritmo. Se presti abbastanza attenzione potresti arrivare a sentire che ti sta ascoltando a sua volta.

Da Rolling Stone US.

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