La recensione di ‘Becoming Led Zeppelin’ | Rolling Stone Italia
Bello, ma il resto della storia?

E allora, com’è ‘Becoming Led Zeppelin’?

Il documentario autorizzato che vedremo nelle sale italiane dal 27 febbraio al 5 marzo si concentra sugli anni formativi di Page, Plant, Jones, Bonham e si ferma al 1970. Niente controversie, al centro c’è la musica

E allora, com’è ‘Becoming Led Zeppelin’?

I Led Zeppelin nel 1970

Foto: Michael Ochs Archives/Getty Images

Bernard MacMahon dà per scontato che si sappiano un sacco di cose sui Led Zeppelin. Immagina che la maggior parte dei fan abbia ascoltato migliaia di volte dischi e riff, che possieda dei bootleg, che abbia setacciato YouTube per vedere vecchie esibizioni, che abbia letto Il martello degli dei e sia in grado di citare gli aneddoti sulle loro follie (che coinvolgano o meno creature marine e/o il regno dell’occulto). E poi, che tutti sappiano com’è finita la storia degli Zep.

La domanda che pongono il regista di Becoming Led Zeppelin e la produttrice/co-autrice Allison McGourty è questa: la gente sa che cosa facevano Jimmy Page, Robert Plant, John Paul Jones e John Bonham prima di mettersi assieme? Come sono stati i primi anni di questa band, che appena un mese dopo essersi formata già iniziava a fare concerti nei piccoli club americani?

Becoming Led Zeppelin è il primo documentario autorizzato sul gruppo e funziona se siete il tipo di fan che vuole sapere tutto della prima apparizione di Page alla tv inglese col suo quartetto skiffle (è successo nel 1957, durante il talent All Your Own). O del lavoro da turnisti che lui e Jones hanno fatto in Goldfinger di Shirley Bassey. O di come James Brown ha influenzato il drumming lineare di Bonham nella hit dei Senators She’s a Mod. Volete immergervi a fondo nella Dazed and Confused cantata da Keith Relf nella fase psichedelica degli Yardbirds 2.0 di Page? Volete capire cosa passava per la testa del chitarrista quand’ha scoperto la Gibson Les Paul Black Beauty, la sua Excalibur? Se la vostra risposta alla domanda «quante volte ancora si possono ascoltare Plant e Page che parlano del giorno in cui i quattro hanno suonato assieme Train Kept a Rollin’ e hanno scoperto quel suono esplosivo?» è «infinite volte più uno», allora questo film fa per voi.

Fate porò bene attenzione al titolo che dà una chiara indicazione d’intenti: il documentario si ferma al 1970, all’uscita di Led Zeppelin II, quando i quattro hanno appena iniziato a trasformarsi in giganti del rock. Essendo un documentario autorizzato c’è la possibilità di ascoltare canzoni complete e nuove interviste ai membri viventi (c’è anche una chicca d’archivio, una rara intervista audio del 1971, recuperata dopo un anno di ricerche, che Bonham ha rilasciato a un giornalista australiano). I musicisti parlano della loro infanzia, dei primi eroi musicali, dei primi gruppi in cui hanno suonato. E però non si può dire che sia il documentario definitivo sul loro conto, giacché non racconta quel che è accaduto dopo l’album che si chiudeva con Bring It On Home.

Il documentario è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia dove Page ha detto ai giornalisti che le proposte ricevute in passato di raccontare gli Zep erano state «decisamente penose», perché non puntavano a raccontare la musica su cui invece si sono concentrati MacMahon e McGourty (il regista ha definito più volte il film un «musical»). Hanno deciso di fermarsi un attimo prima che la storia mettesse in ombra la musica, motivo per cui probabilmente Page ha detto loro di sì. I due hanno anche prodotto uno storyboard, cosa rara per un documentario, che ha fatto capire al chitarrista che erano effettivamente preparati. Per il grande supervisore all’eredità della band, il musicista che aveva l’ultima parola su tutto ciò che riguardava i Led, deve essere stato un bel sollievo. Ma c’è un “ma”: manca un po’ di spontaneità nel racconto delle origini.

Foto: Dick Barnatt/Redferns/Getty Images

Ma in nome del buon Dio che sta in cima alla stairway to heaven, avete idea di cosa c’è qui a livello di filmati, soprattutto quando si giunge finalmente alla nascita della band? È una rivelazione anche per chi conosce le versioni dal vivo di questi pezzi. È roba semplicemente sbalorditiva.

MacMahon ha setacciato gli archivi e ha contattato i cameraman che avevano filmato la band all’epoca per vedere se esistevano riprese da angolazioni diverse, bobine extra e outtake, trovando delle chicche. Alcuni frammenti di show del primo tour scandinavo erano già noti, ma nel filmato di Good Times Bad Times ci sono sequenze prese da angolazioni diverse. La performance londinese del 1969 di Dazed and Confused ha una qualità audio-video migliore. Un concerto in un auditorium con gradinate (decisamente minuscolo rispetto agli stadi in cui avrebbero suonato di lì a poco) è pieno di quelle che sembrano famiglie in vacanza, con parecchi bambini piccoli che si coprono le orecchie mentre la band suona Communication Breakdown. Si vedono e si sentono spezzoni del loro concerto leggendario al Fillmore West, dov’erano in cartellone fra Taj Mahal e Country Joe and the Fish, idem per la loro apparizione a un festival blues a Bath.

Quest’ultima parte è inframmezzata da pezzi del filmato dell’allunaggio dell’Apollo 11 che avveniva in quello stesso giorno, il che permette a Plant di pontificare su cosa significa suonare davanti a un pubblico mentre un uomo cammina sulla Luna. È una scelta registica discutibile, come quella di lasciare che il cantante spieghi senza un briciolo d’ironia che «cercavo i frammenti migliori della musica nera e li passavo nel tritacarne» o che Page paragoni l’aspetto imponente del manager Peter Grant a quello di «un mafioso» (vero però che alcune delle tattiche di Grant, se anche solo un quarto delle storie che lo riguardano sono vere, farebbero impallidire i veri mafiosi). È sempre bello ascoltare Whole Lotta Love, uno dei cinque pezzi migliori degli Zep, ma dovevamo proprio sentirla abbinata per tutti i suoi sei minuti abbondanti a un montaggio di titoli di riviste che parlano di queste quattro stelle nascenti del rock? Dubito, anche se poi Page si dilunga a lungo su come ha ideato quella sbalorditiva sezione centrale avant rock.

Al di là di momenti come questi, ci sono molti passaggi favolosi per chi ama i Led Zeppelin. Le prime prove dal vivo ti fanno capire benissimo quanto sesso e quanta potenza c’erano nella loro musica, quanto fossero fisici, viscerali e carnali fin dall’inizio. Vale la pena vedere Becoming Led Zeppelin anche solo per questi spezzoni. E però il film finisce bruscamente, proprio nel momento in cui sta per cominciare la storia vera e propria e quindi viene da dire: un attimo, è tutto qui?

In un mondo perfetto, questo sarebbe il primo di una serie di capitoli in stile Anthology dei Beatles in cui Page, Plant e Jones raccontano gli altri album, gli altri riff, i tour, gli alti e, sì, i bassi. Ma ci dobbiamo accontentare di questo e comunque MacMahon ha messo in fila un resoconto dettagliatissimo e fatto direttamente dal gruppo. Quel primo periodo glorioso è trattato con amore, ma resta la voglia di saperne di più di quel che è successo poi.

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Da Rolling Stone US.