Rolling Stone Italia

E la benedizione dei Blues Brothers discenda su di voi e con voi rimanga sempre

Convention, gente che si veste come Jake e Elwood, concerti di tribute band, erba brandizzata. Storia e attualità di un gruppo nato per gioco e diventato una faccenda serissima e intergenerazionale

Foto: United Archives/Ullstein Bild via Getty

Prima d’arrivare alla Old Joliet Prison di Chicago, ora Joliet Area Historical Museum, Erik Devereux s’è vestito in perfetto stile Blues Brothers. I pezzi base non sono certo un problema. Ha 61 anni, insegna presso l’Università dell’Illinois-Chicago, un completo nero, una cravatta scura (un po’ troppo larga, ma passabile), un paio di calzini bianchi e degli occhiali da sole ce li ha. Non il Fedora nero, che ha commissionato a un artigiano.

Non che fosse del tutto convinto d’andarci, quando ha visto la pubblicità della Blues Brothers Con, una convention con concerto dedicata ai fan del duo formato 40 e passa anni fa da John Belushi e Dan Aykroyd. «Pensavo fosse uno scherzo». Alla fine s’è deciso e ora eccolo, coi suoi vestiti ispirati a Jake e Elwood, nell’ex prigione dove sono state girate le scene iniziali del film The Blues Brothers che Devereux ha visto almeno una ventina di volte, la prima delle quali col padre.

È in buona compagnia. Nel cortile dell’ex prigione sono state sistemate centinaia di sedie da giardino e alla fine altri 5000 fedelissimi dei Blues Brothers si metteranno in fila per acquistare merchandising d’ogni tipo, dalle magliette alla birra griffata Blues Brothers venduta da finte suore vicino a cartelli con la scritta “Siamo in missione per conto di Dio, per servirvi”. Uomini, donne e persino bambini indossano abiti scuri, camicie bianche e cappelli, una donna è vestita come la cameriera interpretata da Aretha Franklin nel film. Come dice Luke Pisano, figlio della vedova di Belushi, Judy Belushi Pisano, l’evento è la Disneyland dei Blues Brothers.

Il fatto che sia solo la seconda Blues Brothers Con ha qualcosa di sorprendente essendo passati ben 46 anni da quando il duo ispirato a Sam & Dave e altri artisti di colore ha debuttato al Saturday Night Live. Ideati da Belushi e Aykroyd proprio per lo show televisivo, i Blues Brothers rappresentano uno dei casi più singolari della musica pop. Quella dei due comici che interpretano «musicisti scapestrati che portano gli occhiali da sole giorno e notte», per dirla con Tom “Bones” Malone, trombonista e trombettista di lunga data dei Blues Brothers, sembrava solo una gag estemporanea. La pensava così anche Lorne Michaels, produttore e ideatore del SNL. E invece nel 1978 Belushi, alla voce principale, e Aykroyd, all’armonica, hanno ingaggiato una all-star band per suonare cover di classici del blues, del soul e dell’R&B. I critici non hanno granché apprezzato e qualcuno li ha anche accusati di appropriazione culturale. In compenso, l’album di debutto Briefcase Full of Blues ha venduto più di due milioni di copie. Due anni dopo, The Blues Brothers ha incassato più di 50 milioni di dollari solo negli Stati Uniti.

Quando Belushi è morto per un’overdose nel 1982, la formula dei Blues Brothers mostrava già la corda. E invece quello che pareva un episodio isolato nella storia del pop è diventato uno dei brand più longevi dello show business. Aykroyd e Jim Belushi, fratello di John, continuano a esibirsi come Blues Brothers ad eventi aziendali, feste private e alla Blues Brothers Con. In tutto il Paese e in giro per il mondo i fan possono andare a sentire la Blues Brothers Revue, una tribute band ufficiale, o vedere i membri del gruppo di Jake ed Elwood, la Original Blues Brothers Band, suonare il repertorio dell’epoca. Agli Universal Studios di Orlando, Florida, una tribute band dei Blues Brothers si esibisce più volte al giorno, nei teatri di Branson, Missouri, di Las Vegas, di Myrtle Beach, Carolina del Sud, e a volte anche su una nave da crociera si tiene regolarmente uno show dei Blues Brothers. I fan possono acquistare il Blues Brothers Coffee e altri prodotti come cover per cellulari, salsa piccante, cappellini, erba da fumare. Jake ed Elwood, così come Belushi e Aykroyd, sono anche stati oggetto di una biografia dettagliata firmata da Daniel de Visé: The Blues Brothers: An Epic Friendship, the Rise of Improv, and the Making of an American Film Classic.

Il sassofonista “Blue Lou” Marini, altro fondatore del gruppo, suona in Europa con la formazione originale e ha toccato con mano la fama planetaria dei Blues Brothers vedendo in posti come la Danimarca decine di uomini e donne vestiti come Jake ed Elwood ballare davanti al palco. «Solo nel Nord Italia ci sono almeno cinque band che lo fanno da 20 o 30 anni», dice. «Si danno tutti un nome che rimanda ai Blues Brothers e un paio di loro indossano un completo. Da qualche parte lassù Belushi ride a crepapelle».

A luglio è morta per un cancro all’endometrio Judy Belushi Pisano, guardiana tenace dell’eredità del marito e del marchio Blues Brothers. Considerando quanto Pisano è stata fondamentale, «contribuendo al look, al mito e alla costruzione della leggenda», come mi dice Aykroyd, poteva essere il colpo di grazia per il brand. E invece, prima ancora che le venisse diagnosticato il cancro, Pisano aveva iniziato a gettare le basi per far conoscere Jake, Elwood e la loro musica a millennial e generazione Z.

A prima vista, l’idea sembra troppo ambiziosa. È possibile riproporre un simbolo della cultura dei baby boomer a un pubblico che era a malapena nato all’uscita del sequel dimenticato Blues Brothers 2000? In un’epoca di popstar su TikTok, che attrattiva può mai esercitare il roadhouse R&B su una generazione per cui la storia della musica potrebbe essere iniziata con Britney Spears? «C’è sempre un legame con il blues da qualche parte, in qualche modo», dice Akyroyd. E il team attuale dei Blues Brothers sta per scoprire quanto è forte.

I Blues Brothers nel 1978 al SNL. Foto: Al Levine/NBCU Photo Bank/NBCUniversal/Getty Images

In una stanza dietro al palco improvvisato nella prigione di Joliet, Curtis Salgado si gode il fandom che ha contribuito a creare. «Mi guardo intorno e sono tutti vestiti da Blues Brothers», dice Salgado, col suo viso massiccio incorniciato da ciuffi di capelli bianchi. «Non mi ero reso conto di quanto fosse grande questa cosa. Sono sbalordito quanto voi».

Salgado, 70 anni, si appresta fare il suo set blues alla Blues Brothers Con prima che si esibisca la versione attuale dei Blues Brothers con Aykroyd e Jim Belushi. Nel 1977 Salgado si esibiva regolarmente con la sua band in Oregon e dintorni, quando allo Eugene Hotel uno spacciatore l’ha tirato per i pantaloni. «Stavo cantando un pezzo», ricorda Salgado, «gli ho detto di levarsi dalle palle. E lui: “Belushi è qui e vuole conoscerti”. Gli ho risposto: “Non so cosa sia un Belushi”».

Dato che il sabato sera di solito lavorava nei locali, Salgado non aveva mai visto il SNL. Belushi si è avvicinato, gli ha stretto la mano e gli ha detto che gli piaceva molto quel che faceva. «Poi m’ha detto: “Ho un amico che si chiama Dan Aykroyd, anche lui suona l’armonica”. E io ho pensato: ma chissenefrega, ogni singolo hippie di Eugene suona l’armonica». I due si sono messi a parlare di Animal House, il film che Belushi stava girando da quelle parti, e poi l’attore è salito sul palco con Salgado e la sua band, che comprendeva un giovane chitarrista blues di colore di nome Robert Cray, che è stato poi scritturato per il film.

La gente è andata fuori di testa quando Belushi è salito sul palco. «Era come coi Beatles», dice. «E intanto io mi chiedevo: ma chi è sto tizio?». Salgado non è rimasto particolarmente colpito dalla voce di Belushi, quando il comico ha fatto la sua imitazione di Joe Cocker al SNL. Gli ha detto che doveva prendere il canto più seriamente e gli ha suggerito di imparare Hey Bartender di Floyd Dixon. La volta successiva in cui Belushi è tornato, l’ha cantata alla grande.

Come ha poi confermato anche Judy Pisano, Belushi ha invitato Salgado nella casa che la coppia aveva affittato per il periodo delle riprese di Animal House, gli ha chiesto di portare i suoi dischi blues, soul e R&B, gli ha spiegato che lui e Aykroyd stavano formando una band. «Stiamo pensando di chiamarci Blues Brothers», gli ha detto, per poi chiedergli cosa potesse fare, insieme ad Aykroyd, per lui.«Gli ho risposto: date a Cesare quel che è di Cesare».

Belushi e Aykroyd hanno provato il numero dei Blues Brothers in alcuni club, tra cui il Lone Star Cafe di New York, dove hanno convinto Willie Nelson a farli salire sul palco. Malone era dubbioso quando i due comici gli hanno raccontato la loro idea. «John era di Chicago, ma non sapeva nulla del blues di Chicago: era un batterista garage rock», ricorda Malone. «Ma Dan frequentava la scena blues di Chicago. Volevano suonare Rocket 88 di James Cotton, così ho scritto un arrangiamento e l’abbiamo provato con la band del Saturday Night Live».

Inizialmente Michaels non ha affatto apprezzato la gag e i Blues Brothers non sono andati oltre le prove pre-show. Ma Jake ed Elwood hanno finalmente avuto la loro occasione nell’aprile del 1978, quando Michaels ha informato il cast che c’erano tre minuti da riempire. «John e Danny gli sono saltati addosso: “Lorne, i Blues Brothers!”», ricorda Malone. «Lorne ha detto: “Rendetevi pure ridicoli, intanto non abbiamo niente di buono per quei tre minuti”. Ci ha messi alla fine dello show. Il resto è storia».

Nella tv piazzata sopra il bar di un locale di Eugene, Salgado ha visto il pianista del SNL Paul Shaffer che, imitando l’impresario musicale Don Kirshner, presentava i Blues Brothers e lo ringraziava pubblicamente. «Pensavo: Belushi non è un bravo cantante e Aykroyd non è un buon armonicista, ma come frontmen spaccano. La gente mi diceva: ti ha copiato. Ma io non avevo quell’aspetto, non mi muovevo così. Quindi non ero arrabbiato, così come non sono arrabbiato ora e non m’importa. Ero solo sorpreso».

Il numero di Belushi e Aykroyd è diventato una cosa più seria quando Steve Martin ha ingaggiato i Blues Brothers per aprire una serie di show a Los Angeles a settembre del 1978. Invece di tenersi la house band del SNL, i due comici hanno assemblato un gruppo che comprendeva Shaffer, Malone, Marini, le ex colonne portanti della Stax Records Steve Cropper e Donald “Duck” Dunn, il bluesman di Chicago Matt “Guitar” Murphy e il futuro batterista degli X-Pensive Winos Steve Jordan (Belushi e Aykroyd avevano visto Cropper e Dunn nella RCO All-Stars di Levon Helm, l’inverno precedente).

«Ero un ragazzino, quindi ero estremamente esaltato da tutta la faccenda», racconta via e-mail Jordan, che ora suona coi Rolling Stones. «John e io vivevamo a pochi metri di distanza, quindi ho passato molto tempo con lui ad ascoltare le canzoni che voleva fare. Non era blues puro e semplice, era un mix di R&B e blues».

Per migliorare le performance, Aykroyd e Belushi hanno ingaggiato un vocal coach, un coreografo e, solo per Aykroyd, un armonicista veterano del Chicago blues. «Abbiamo dovuto migliorare in tutto», dice Aykroyd. «Anche se stavamo interpretando dei personaggi inventati, dovevamo sembrare reali».

Grazie al repertorio che includeva Soul Man di Sam & Dave, a musicisti che suonavano con un piglio d’altri tempi e alla spinta data dalla presenza della tromba, uno strumento che si sentiva raramente in radio all’epoca, i Blues Brothers hanno conquistato facilmente il pubblico di Steve Martin. Belushi si è calato nel ruolo del cantante Jake e Aykroyd andava alla grande con l’armonica e con quello che è poi diventato il suo marchio di fabbrica, il ballo che faceva portando le ginocchia al torace. Marini era il musicista più vicino al pubblico, ha sbirciato tra la gente e ha visto Jack Nicholson che ha alzato gli occhiali da sole e ha detto: «Wow». Come scrive Jordan, «sapevamo che avremmo spaccato, per via dei componenti della band. Ma la gente è rimasta scioccata quando ci ha sentiti. Non era una gag, si sono divertiti tutti tantissimo, sono rimasti tutti a bocca aperta».

Jim Belushi e Dan Aykroyd in versione Blues Brothers nel 2022. Foto:
Bobby Bank/Getty Images

Qualunque fosse il motivo (lo status di grandi comici di Belushi e Aykroyd o un pubblico già stanco della disco music e poco avvezzo a canzoni rifatte raramente come Soul Man o Groove Me di King Floyd), Briefcase Full of Blues, registrato durante quegli show a Los Angeles, è stato un successo immediato e la fantasia di Belushi è divenuta realtà. Col disco, però, è arrivata anche una raffica di frecciatine.

«Duck ed io abbiamo ricevuto un sacco di critiche», racconta Cropper, il chitarrista bianco di Memphis che aveva lavorato con star nere come Otis Redding e Wilson Pickett. «Dicevano: cosa ci fate là, a suonare con una coppia di comici matti? Non sapevano che John, prima dei Second City, era il leader di una band, suonava la batteria e cantava, e Dan suonava davvero l’armonica. “Sul serio?”, dicevano. Non ci credevano». Jim Belushi ricorda anche che Stephen Stills gli ha rinfacciato che i Blues Brothers potevano sembrare una presa in giro dei veri bluesmen bianchi come lui.

Alcune delle critiche più aspre sono arrivate dalla stampa che fino ad allora aveva sostenuto Belushi e adesso accusava lui e Aykroyd di appropriazione culturale. I due sostengono di aver sempre citato le loro fonti (Jordan dice che Belushi era «ossessionato» dalla versione di Taj Mahal di She Caught the Katy). Ma dopo un articolo particolarmente critico del 1979, Belushi ha accettato di parlare al telefono con Steve Bloom, giornalista del SoHo Weekly News, per rispondere a chi lo accusava di aver riportato in vita il minstrel show, il vecchio tipo di spettacolo americano in cui artisti bianchi si esibivano in rappresentazioni caricaturali e stereotipate di performer neri, spesso in blackface.

«È davvero strano», diceva a Bloom. «Perché mai dovrei fare questa roba? Cosa sono, un cazzo di Al Jolson? Dio mio! La gente che mi vede capisce perché lo faccio e i musicisti della band anche. In quanto agli altri, credo che entri in gioco della gelosia, perché sono stato in televisione, ho avuto un disco al numero uno e un grande successo cinematografico».

Quando Bloom gli ha chiesto di rispondere a una critica in particolare, quella secondo cui Belushi e Aykroyd, che per i Blues Brothers in parte si sono ispirati a Sam & Dave, si stavano arricchendo mentre «Sam e Dave possono a malapena permettersi di far lavare a secco i loro completi color lime», Belushi non è riuscito a trattenersi. «L’ho letto», è sbottato, arrivando a minacciare l’autore dell’articolo. «Se mai vedrò quel succhiacazzi, gli taglierò le palle e gliele ficcherò in bocca».

Per Sam Moore e il suo partner di allora, il compianto Dave Prater, il remake di Soul Man, uno dei loro cavallo di battaglia, è stato un’arma a doppio taglio. Poco dopo l’uscita della versione dei Blues Brothers, lui e Prater hanno suonato in un locale di Long Island. Mentre se ne stavano andando via, ricorda Moore, degli studenti universitari hanno urlato: «Ehi, Sam & Dave: fate questa canzone meglio di loro!». Dave è andato fuori di testa, racconta oggi Moore. «Ha risposto: “No, amico, questa canzone è nostra!”. I ragazzi hanno detto: “Sì, ok, va bene”. E io: “L’abbiamo incisa noi, che ci crediate o meno”».

Secondo Moore la visibilità non ha fruttato molti ingaggi extra («Semmai, che ci crediate o no, ci ha affossati», ha detto al Post-Tribune di Gary, Indiana, nel 1994), e che Prater, che era particolarmente infuriato per i Blues Brothers, ha persino rifiutato un’offerta per Sam & Dave di apparire nel primo film. Ma Moore, che all’epoca era ancora alle prese con la tossicodipendenza, ha finito per diventare compagno di bevute di Belushi; Aykroyd, più avanti, l’ha reclutato per il film Blues Brothers 2000 e per alcuni show dal vivo. «Da un lato, la cover di Soul Man è stata un bene per noi», spiega. «D’altro canto è un grosso peso che Sam Moore si trascina dietro. Spero, un giorno, di sentire qualcuno dire: “Erano Sam & Dave a cantarla, non John e Danny”».

Alla fine le critiche si sono placate e sono partite le riprese del film The Blues Brothers, una buddy comedy con budget ipertrofico diretta da John Landis, con apparizioni di Aretha Franklin, James Brown, Ray Charles e altri grandi cantanti R&B. Sono poi arrivati un album con la colonna sonora e un tour nazionale. «Si pensava a un concerto a Los Angeles», ricorda Marini. «Poi è uscito il disco, è stato un grande successo e all’improvviso si parlava di fare un tour e si gira un film. È decollato tutto a razzo».

Nel 1982 il razzo stava tornando sulla Terra. Il terzo album dei Blues Brothers, Made in America, non aveva venduto bene e il loro numero sembrava avere fatto il suo tempo. L’overdose fatale di Belushi allo Chateau Marmont di Los Angeles, a marzo, ha messo fine al gruppo, o almeno così sembrava. «Come entità operativa, la banda era finita», dice Aykroyd. «Non avrei mai pensato di suonare di nuovo in quel gruppo». Evocando involontariamente un ricordo di ciò che Aykroyd stava facendo quando ha saputo la notizia della morte dell’amico (stava scrivendo la sceneggiatura per Ghostbusters, con Bill Murray che alla fine ha avuto il ruolo destinato a Belushi), una coppia in fila per gli autografi alla Blues Brothers Con è vestita con le tute degli acchiappafantasmi, complete di zaini protonici.

E invece l’universo dei Blues Brothers continuava a chiamare Aykroyd a sé. Nel 1984 è stato convinto a far rivivere Elwood quando l’amico Isaac Tigrett ha aperto un Hard Rock Café a New York. «Indossavo una giacca blu, senza cappello, con gli occhiali da sole e una camicia scura», ricorda. «Non avevo affatto il look alla Blues Brothers. Non ci provavo minimamente. C’era Shaffer. C’era una band. Poi sono salito sul palco e la risposta è stata eccezionale. Funziona indipendentemente da chi canta». In onore dei Blues Brothers, Aykroyd e Tigrett hanno inaugurato il primo club House of Blues, nel 1992, a Cambridge, Massachusetts. Da allora ne hanno aperti quasi una dozzina.

Stando ad Aykroyd, i cloni dei Blues Brothers (ironia della sorte, imitazioni di un duo che a sua volta era un’imitazione di cantanti neri di blues e soul) hanno cominciato a spuntare in tutto il Paese. «Fin dalla nostra prima apparizione al SNL ci sono stati gruppi che ci imitavano, e poi via via in crescendo fino al primo disco e al primo film. La gente cominciava ad andare in giro a proporre il nostro repertorio e a imitare i nostri personaggi».

Una tendenza che si è intensificata dopo la morte di Belushi. Due fratelli adolescenti, ad esempio, si sono battezzati Junior Blues Brothers. I personaggi di Jake ed Elwood e il loro logo (disegnato da Judy Pisano) erano marchi registrati, ma in tutto il Paese gruppi continuavano a imitarne immagine e mosse. Venivano spedite regolarmente lettere di diffida alle band non autorizzate. «Ogni volta che pensavamo di aver finito la trafila», ha detto Pisano nel 2004, «spuntava qualcun altro che metteva in scena uno spettacolo dei Blues Brothers».

Pisano è sempre stata molto coinvolta nella gestione del brand Blues Brothers, in parte per il fatto che lei e Aykroyd ne erano comproprietari. Secondo il figlio Luke Pisano, anche la controversa biografia di Belushi del 1984, Chi tocca muore – La breve vita di John Belushi di Bob Woodward è servita a mettere in una luce più positiva il lascito dell’attore. «Negli anni ’80 l’overdose era un tabù. E credo che lei e la nostra famiglia ritenessero che quello fosse un modo piuttosto ingiusto per ricordare la vita di John. Credo che si sentisse in dovere di assicurarsi che tutta questa storia non venisse ricordata in quel modo».

A metà degli anni ’80, Dan Aykroyd e gli eredi di Belushi hanno dato il loro consenso per l’inclusione di due sosia dei Blues Brothers, accanto a quelli di Elvis Presley, Marilyn Monroe e Hank Williams, in Legends in Concert, uno spettacolo pacchiano di Las Vegas. «Era tutto un po’ scontato», dice Wayne Catania, un batterista canadese sosia di Belushi che ha impersonato Jake in alcuni di quei set da 12 minuti. «C’erano le ballerine e tutto il resto. Ma la paga era fenomenale».

Le imitazioni sono comunque continuate, esasperando un po’ tutti. «Jake ed Elwood sono personaggi, quindi le cose si sono fatte molto complicate con gli imitatori», dice Luke Pisano. «Non vogliamo fermarli. Vogliamo solo supportare la musica vera. Non vogliamo fare la parte dei cattivi. Ma come altro possiamo aiutare questi musicisti meravigliosi e talentuosissimi, che cercano solo un modo di sbarcare il lunario e al contempo legittimarli e ufficializzarli?».

Nel 2004, Judy Belushi Pisano e l’allora suo marito Victor Pisano hanno tentato di portare la storia dei Blues Brothers in una sede ufficiale producendo The Blues Brothers Revival, un proto-jukebox musical. La trama vedeva Jake bloccato in Purgatorio ed Elwood, con un gruppo di cantanti gospel, che cercava di mandarlo in Paradiso. Dopo la prima al Chicago Center for the Performing Arts, il musical ha ricevuto recensioni contrastanti ed è stato cancellato.

Il lato positivo, però, è stato il lancio di una tribute band ufficiale dei Blues Brothers che si esibisce ancora oggi, con Catania nei panni di Jake e Kieron Lafferty in quelli di Elwood. L’idea, come dice Luke Pisano, era: «Se tante band copiano l’originale, mettiamone una sotto contratto e mettiamo per iscritto che la proprietà intellettuale è la nostra. E facciamo in modo che porti in scena lo spettacolo migliore di tutti, così che la gente smetta di andare a vedere qualcuno che si veste come i Blues Brothers».

Catania ricorda che Judy Pisano voleva essere certa che lo spettacolo rispecchiasse in modo accurato il lavoro del marito e di Aykroyd. «Mi spiegava che a Jake piaceva lo zucchero nel caffè, mentre Elwood lo preferiva nero», racconta. «Così tutto si è delineato alla perfezione nella mia mente. Tutti i momenti che ho trascorso con lei mi hanno fatto comprendere le più piccole sfumature di questi personaggi».

Vent’anni dopo che lui e Lafferty sono stati ingaggiati, il tributo ufficiale ai Blues Brothers suona ancora alle grandi fiere e nei club, e Catania, che ha 66 anni, non riesce ancora a spiegarselo del tutto. «È una domanda da un miliardo di dollari. So che tutto ciò rende felici le persone e lo capisco dalle reazioni che vedo quando sono sul palco. Siamo fortunati a poterlo vivere e, grazie a Dio, sono ancora più fortunato a potere viaggiare, anche se nei panni di un personaggio di fantasia. Sono diventato l’unico Jake ufficialmente riconosciuto, ed è un onore».

Wayne Catania (a sinistra) e Kieron Lafferty, la Blues Brothers Revue nel 2012. Foto: Daniel Boczarski/Getty Images

Quando la scorsa primavera si è diplomata in Virginia, la diciottenne Helen Rumsey ha fatto una richiesta alla sua famiglia: partecipare alla Blues Brothers Con. Da bambina aveva visto Ghostbusters, l’aveva adorato e aveva cercato altri film in cui ci fossero gli stessi attori. È così che si è imbattuta in The Blues Brothers. Ha trovato la pellicola un po’ lenta, ma pian piano l’ha conquistata e il suo amore per il classic rock, compresi gruppi influenzati dal blues come i Rolling Stones, le ha fatto apprezzare la musica. «È per via della genuinità dei personaggi, soprattutto di Dan», dice Rumsey, che indossa un Fedora, in uno stand della Blues Brothers Con. «La musica è più soul». Il padre Kevin, che ha viaggiato per 11 ore con lei per arrivare alla convention, dice che Helen e i suoi amici, a casa, guardano il film ogni sei mesi.

Per chi gestisce il franchise dei Blues Brothers, fan come Rumsey rappresentano il futuro del marchio vecchio di quasi 50 anni, dopo alcune false partenze. Negli anni ’90, il progetto di far conoscere Jake ed Elwood a una nuova generazione non è decollato. Era stata persino preparata una serie animata, con le voci di Jim Belushi e del fratello di Aykroyd, Peter, ma non è mai andata in onda. Blues Brothers 2000, che vedeva John Goodman al posto di John Belushi, ha incassato solo 14 milioni di dollari ed è stato considerato un flop.

Il nuovo impulso al brand è partito quasi dieci anni fa, quando Luke Pisano ha creato una pagina Instagram e poi un TikTok per i Blues Brothers. «All’epoca era come dire: nessuno fa questa roba, non vogliamo che il brand muoia e questo è un modo facile per rimanere nella mente delle persone e costruire un seguito». Una clip del primo film, in cui Jake ed Elwood mangiano in un ristorante chic di Chicago, ha 100 mila visualizzazioni su TikTok e parla a una generazione che associa i Blues Brothers non tanto al concetto di appropriazione culturale, ma piuttosto a un film musicale divertente («Erano incredibilmente avanti», dice Devereux del film e dei Blues Brothers originali, «cercavano di ammazzare un gruppo di nazisti dell’Illinois, il che era un problema a quei tempi»).

In una serie di documenti ufficiali del 2014, Pisano affermava che i Blues Brothers erano un asset di valore, ma che era «impossibile prevedere in modo accurato quale flusso di entrate potrebbero generare in futuro». Cinque anni dopo ha reclutato Ashley Austin, la cui società, Artist Legacy Group, si occupa delle legacy e delle proprietà intellettuali di DMX, Sam Cooke e Bill Haley. La Blues Brothers Approved Ventures, la società madre che si occupa di licenze e approva le tribute band, ora ha Austin come brand manager insieme a Luke Pisano e alla figlia di Aykroyd, Stella. Insieme, stanno lavorando a vari modi per fare in modo che chiunque abbia meno di 30 anni si interessi a Jake ed Elwood. Tra i progetti in via di realizzazione o in fase di definizione ci sono un documentario, un flipper e un altro tentativo di jukebox musical. La birra Blues Brothers arriverà in autunno.

Un nuovo fumetto, la cui pubblicazione è prevista per l’anno prossimo, rivelerà ulteriori dettagli sulla storia di Jake ed Elwood e introdurrà nuovi personaggi in un’ambientazione moderna. Pisano (che è co-sceneggiatore insieme a Stella Aykroyd e allo scrittore Jim Werner) si è ispirato ai film del franchising Spider-Man – Un nuovo universo, che hanno inserito nelle storie nuovi personaggi di etnie diverse come Miles Morales, che ha origini africane e portoricane. «Di tutti i brand che hanno cercato di portare la propria proprietà intellettuale a una nuova generazione e di renderla credibile, loro rappresentano il gold standard», afferma Pisano.

Alla Blues Brothers Con, Jim Belushi sta fumando un sigaro dopo aver recuperato un golf cart all’interno della prigione. Seguendo le orme del fratello al SNL, Belushi si è fatto conoscere come attore di sitcom e di pellicole drammatiche; ha appena interpretato un ruolo nel prossimo film diretto da Kristen Stewart, The Chronology of Water. Ammette di avere tentennato al pensiero di unirsi ai Blues Brothers quando Aykroyd gliel’ha chiesto due decenni fa. «Mi dicevo: è troppo strano, non posso farlo», racconta Belushi, prima di lanciarsi in un’imitazione perfetta della voce di Aykroyd: «Ah, Jimmy, no, no, Jimmy. È come in uno studio legale quando uno dei soci muore e il fratello o il figlio arriva e prende il suo posto. È la stessa cosa. Qualunque attore vorrebbe interpretare McMurphy nel Nido del cuculo. E se ti si presenta l’occasione, lo fai. Solo perché altri attori l’hanno fatto non significa che tu non possa. Voglio dire, guarda Shakespeare».

Belushi ricorda il suo primo spettacolo con la band, alla House of Blues, nei panni di “Brother Zee” Blues, un lontano cugino di Jake. «Il pubblico saltava e si divertiva», racconta. «La musica era fortissima e mi spingeva ad alzare le braccia. In quel momento ho pensato: “Oh, John, ho capito! Grazie, fratello”. Danny mi stava facendo un regalo» («Gli ho dato un modo completamente nuovo di guadagnarsi da vivere, e lui lo adora», dice Aykroyd, imitando un po’ la voce di Irwin Mainway, il farabutto del SNL).

Aykroyd, che oggi ha 72 anni, è l’unico custode originale della fiamma dei Blues Brothers dopo la morte di John Belushi e Judy Belushi Pisano. Indossando metà della sua divisa da Blues Brothers (camicia bianca, cravatta allentata) e un cappellino da baseball prima dell’inizio dello spettacolo, sa che il suo tempo nei panni del misterioso Elwood sta per finire, e che la morte di Pisano avvenuta un mese prima ha aggiunto una nota triste alla convention. «Sono malinconico e guardo le cose attraverso un filtro agrodolce, perché abbiamo appena perso Judy», dice. «Era la nostra sorella blues. Quindi questa serata è una sorta di addio a Judy e chiude un capitolo a distanza di circa 40 anni».

Cosa significa esattamente? Aykroyd fa un rapido sospiro. «Vuol dire che arriverà una nuova generazione a mantenere vivo il ricordo. Ne sono scaturite cose belle e solide. E ora sarà tutto in mano loro. Io continuerò a fare questi concerti finché non mi ritroverò su una sedia a rotelle. Ma, per quanto riguarda la parte gestionale, credo sia arrivato il momento di lasciare spazio a una nuova generazione».

Potrebbero mai esserci dei Blues Brothers, ossia ragazzi bianchi che cantano musica nera, oggi, negli anni ’20 più attenti a certe problematiche? «Guardate Jack White», dice Aykroyd. «Naturalmente tutto dipende dalla professionalità dei musicisti. Ma se ne sei capace, allora vai e fallo. Eric Clapton è un esempio preferito. Perché non potrebbe suonare il blues? Non è appropriazione culturale: quando suona quella musica è una celebrazione».

Detto questo, Luke Pisano è convinto che una versione 2024 dei Blues Brothers potrebbe trascendere l’aspetto originale dei personaggi e potrebbe essere interpretata da artisti di colore, come quelli da cui Belushi e Aykroyd hanno tratto ispirazione. «Si presume che i Blues Brothers siano due ragazzi bianchi, giusto?», dice. «Però io penso che chiunque possa essere un blues brother, soprattutto visto che si parla di blues, che è una forma d’arte nera per voci nere».

Per ora i progetti per una rivisitazione dei Blues Brothers restano in sospeso. Intanto all’Old Joliet, Aykroyd si sta preparando a portare in scena ancora una volta la sua versione di Elwood. Sposta lo sguardo su un muro di cinta della prigione, dove c’è ancora il filo spinato. «Guarda in che posto siamo», dice. «Immagina di guardare in alto e di dire: “Non c’è modo di uscire da qui”. È il 1908, sei stato arrestato per una rapina a un negozio di dolci e ti tocca scontare 15 anni. Non c’è via di fuga».

Da Rolling Stone US.

Iscriviti