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È stato l’anno di Beyoncé e Taylor Swift, ma niente confronti, per favore

Grazie al successo dei rispettivi tour e film, le due popstar sono al picco delle rispettive carriere e perciò vengono continuamente paragonate. Eppure sono tenute a rispettare standard completamente diversi

Foto: John Shearer/Getty Images for TAS

Il desiderio di essere unica, la numero uno, la sola è quel che muove Beyoncé. Nel 2023 è entrata nella storia dei Grammy quale artista più premiata di sempre e ha realizzato il tour più ambizioso della sua carriera, portando negli stadi di mezzo mondo la celebrazione della cultura black e queer di Renaissance. Nel frattempo, anche Taylor Swift raggiungeva il medesimo livello di rilevanza culturale, frantumando record di classifica e portando negli stadi l’Eras Tour. Entrambe hanno lavorato per decenni prima di tagliare questi traguardi che ne definiscono la legacy.

Anche se in passato le loro strade si sono incrociate raramente, quest’anno Beyoncé e Swift sono state continuamente messe a confronto per via dei tour e dei relativi film-concerto usciti in autunno. «Ci sono state tantissime tournée negli stadi in estate, eppure le uniche che sono state paragonate sono la mia e quella di Beyoncé», ha detto Swift al Time, che l’ha proclamata persona dell’anno 2023. Il formato comune del film-concerto ha dato origine a facili confronti numerici: capienza degli stadi, numero di biglietti venduti, statistiche al botteghino. «Chiaramente, per i media e la stan culture è molto intrigante mettere l’una contro l’altra due donne», ha detto Swift, «anche quando le due artiste in questione si rifiutano di prendere parte a questa discussione». Eppure i paragoni sono andati avanti.

Questo dibattito sterile prescinde da una verità fondamentale: il valore dell’esperienza che le due offrono al pubblico non può essere espresso in termini numerici e i singoli eventi non esauriscono il lascito di un’artista. Negli ultimi 26 anni, tantissimi momenti hanno permesso a Beyoncé di ridefinire l’idea di icona culturale irraggiungibile nell’era digitale. Negli ultimi 17 anni, un’altra serie di momenti hanno consentito a Swift di diventare il titano del pop che oggi conosciamo. Un diagramma di Venn che confrontasse le due figure e le circostanze che ne hanno determinato il successo comprenderebbe solo e unicamente i loro risultati economici.

Anche se la loro musica può avere un ruolo simile nel creare spazi di evasione e di condivisione per il pubblico, i loro cataloghi sono frutto di manifestazioni artistiche decisamente diverse. La bravura come autrice di canzoni è la dote più apprezzata di Swift: la sua descrizione della femminilità e la sua analisi delle relazioni interpersonali spesso suscitano negli ascoltatori reazioni emotive viscerali. D’altro canto, Beyoncé è una performer con un forte approccio visivo e vocale. Usa campionamenti e interpolazioni, impila armonie intricate, offre percorsi vocali da brivido e attorno alla sua musica costruisce un immaginario radicato nella cultura che l’ha formata. Beyoncé scolpisce, Swift dipinge. Non hanno in comune molto più di quanto avessero Michelangelo e Van Gogh.

Le loro attività si sono effettivamente sovrapposte in un episodio significativo: la famigerata interruzione di Kanye West agli MTV Video Music Awards del 2009, quando il rapper s’è precipitato sul palco per dire che Beyoncé avrebbe meritato il premio per il miglior video femminile al posto di Swift. «Ricordo che la mia prima candidatura a un MTV Award con le Destiny’s Child, quando avevo 17 anni, è stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita», ha detto Beyoncé sul palco, poco dopo, quella stessa sera. «Quindi, vorrei che Taylor si godesse il suo momento». Per la prima volta Swift ha avuto l’occasione di rivendicare pubblicamente o almeno di rinnovare la propria identità, dopo un attacco diretto di fronte a tutti. Negli anni successivi ha perfezionato quest’arte, in parte proprio grazie a quell’esperienza. «È stato meraviglioso e gentile da parte sua», ha detto Swift ai giornalisti quella sera. Non che fosse una sorpresa per chi conosceva Beyoncé, nota per la cortesia infinita, soprattutto in occasione delle premiazioni.

Nel 2010, per la prima volta sia Beyoncé che Swift sono state candidate al titolo di album dell’anno ai Grammy, rispettivamente per I Am… Sasha Fierce e Fearless. Ha vinto l’allora star del country, in compenso Beyoncé è diventata la prima artista donna nella storia della manifestazione a conquistare sei Grammy in una sola serata. Questo è, a oggi, l’unico frangente in cui le due star hanno gareggiato l’una contro l’altra per il premio più prestigioso. Sono passati altri dieci anni prima che venissero nuovamente nominate contemporaneamente in una categoria. La Recording Academy continuava a snobbare Beyoncé nelle categorie più importanti, Swift non aveva alcun ruolo in ciò che accadeva: i rispettivi album hanno sempre lasciato pochissimi spiragli per generare sovrapposizioni e competizione.

Una sconfitta particolarmente emblematica si è verificata proprio quest’anno, quando Harry Styles ha vinto il premio per l’album dell’anno battendo Renaissance, nella stessa serata in cui Beyoncé è diventata l’artista più premiata nella storia dei Grammy Awards con 32 vittorie totali nel corso della carriera (una sola in una categoria delle Big Four e quasi due dozzine in quelle R&B, rap e urban contemporary). Beyoncé ha fatto ancora una volta la storia, mentre a un artista bianco è stato attribuito il più alto onore della cosiddetta notte più importante della musica. Si potrebbe obiettare che non c’è bisogno di fare tanto i pignoli e che quel record, da solo, è più che sufficiente. Ma è chiaro che non lo è. Come ha detto Jay-Z in un’intervista rilasciata a Tidal, pochi giorni prima della cerimonia del 2023, «siamo cresciuti col desiderio di partecipare ai Grammy, era il nostro obiettivo. Vorremmo solo che facessero le cose per bene».

Per tre anni, dopo che 25 di Adele è stato premiato come album dell’anno battendo Lemonade ai Grammy del 2017, Beyoncé ha disertato le cerimonie, anche negli anni in cui era in nomination. Altri musicisti come Drake, Frank Ocean e The Weeknd hanno contestato a gran voce la manifestazione e criticato la Recording Academy per la scarsa considerazione nei confronti degli artisti neri. «Il successo ora, per me, è qualcosa di diverso», ha dichiarato Beyoncé a Elle nel 2020. «La mia vera vittoria è creare arte che duri nel tempo, molto più a lungo di me».

Il rapporto di Swift con la Recording Academy è di tutt’altra natura. In totale ha vinto una dozzina di Grammy, un quarto dei quali per l’album dell’anno. Nel documentario Miss Americana si vede il momento in cui la cantante apprende che Reputation, il disco del 2017 frutto di quella che ha recentemente definito «la morte di una carriera», non era in nomination nella categoria più prestigiosa. Swift ne ha tratto la necessità di fare un disco migliore. Poter esprimere il proprio disappunto e individuare quasi immediatamente una potenziale soluzione è un privilegio speciale. Artisti come Beyoncé non possono cambiare la loro blackness senza un pesantissimo compromesso creativo. In casi del genere, o cambia l’istituzione o cambiano le aspettative degli artisti.

«È una picconatrice delle regole dell’industria musicale», ha detto Swift al Time a proposito di Beyoncé. «Ha insegnato agli artisti come far saltare il tavolo e sfidare le pratiche commerciali più arcaiche». Forse è qui che le due hanno qualche punto in comune. Per tre anni, Lemonade è stato disponibile in streaming solo su Tidal, il servizio musicale di cui Beyoncé è proprietaria con Jay-Z. Anche Swift, per un periodo di tre anni iniziato nel 2014, ha eliminato tutto il suo catalogo da Spotify. «La musica è arte, e l’arte è importante e speciale. Le cose importanti e speciali sono preziose. Le cose di valore dovrebbero essere pagate», scriveva sul Wall Street Journal. In entrambi i casi, l’unica alternativa possibile era quella di acquistare i loro dischi in formato digitale o fisico, il che era ancora più redditizio per le loro tasche. Ma i soldi veri arrivano dai concerti.

In agosto, il New York Times ha stimato che l’Eras Tour «potrebbe generare circa 4,6 miliardi di dollari di indotto nel solo Nord America, tenendo conto sia della capienza degli stadi sia delle previsioni di spesa dichiarate dalle persone per cose come biglietti, merchandise e spostamenti». È stato stimato che il Renaissance Tour avrebbe toccato i 4,5 miliardi di dollari. Il film-concerto tratto dall’Eras Tour ha incassato 92,8 milioni di dollari in Nord America. Renaissance: A Film by Beyoncé ha debuttato incassando 22 milioni di dollari. Swift e Beyoncé hanno presenziato alle anteprime di entrambi i film, distribuiti a livello internazionale da AMC (le due artiste sono state criticate per la proiezione in Israele, ma anche lodate per non essersi esibite laggiù).

«Qual è quella cosa che esiste fin dalla notte dei tempi? La società patriarcale. E cosa alimenta la società patriarcale? Il denaro, il flusso di entrate, l’economia», ha detto Swift parlando col Time. «Quindi, se vogliamo osservare la faccenda nel modo più cinico possibile, le idee di donne che si rivelano redditizie finiscono per produrre col tempo più arte femminile. Ed è una cosa confortante». Non si tratta di un punto di vista cinico, è la realtà: anche l’arte creata all’insegna del femminismo viene modellata e confezionata per incrementare il valore da un punto di vista capitalistico. Durante l’esibizione di Beyoncé ai VMA del 2014, la parola “femminista” è apparsa sullo schermo a caratteri cubitali, mentre veniva diffuso il discorso di Chimamanda Ngozi Adichie “We Should All Be Feminists” anche se l’autrice ha detto di non condividere il particolare tipo di femminismo di Beyoncé. Quello stesso anno, anche Swift si è dichiarata femminista, attirando non poche critiche.

Come è capitato a molte altre donne bianche, Swift ha maturato il suo pensiero imparando un po’ maldestramente dove si trova il confine tra solidarietà e autoconservazione. All’inizio dell’anno girava voce che stesse frequentando il frontman dei 1975 Matty Healy, che di recente aveva fatto dei commenti razzisti su Ice Spice. In aprile, Healy si è scusato in modo madestro con la rapper del Bronx che, il mese successivo, è apparsa nel remix di Karma di Swift, ora in nomination ai Grammy. Per quanto breve, quella parentesi è stata indicativa delle ragioni per cui i fan di colore trovano difficilmente uno spazio nel suo mondo, a dispetto dell’accessibilità della sua musica. La comprensione limitata di Swift del femminismo intersezionale e di cosa significhi sostenere altre donne, anche senza un tornaconto, ne ha spesso ostacolato la narrazione pubblica.

Beyoncé è invece arrivata alle sue idee politiche per il semplice fatto di essere una donna di colore. La sua identità è inscindibile dai modi in cui il suo lavoro viene percepito. Nell’inno autocelebrativo Alien Superstar introduce una figura visionaria fondamentale per il suo “rinascimento”: Barbara Ann Teer, fondatrice del National Black Theatre. “Ci vestiamo in un certo modo, camminiamo in un certo modo, parliamo in un certo modo, dipingiamo in un certo modo, facciamo l’amore in un certo modo”, dice nel campionamento tratto da Black Theatre, il discorso contenuto nell’album Black Drama pubblicato dalla etichetta Folkways nel 1973. “Tutte queste cose le facciamo in un modo diverso, unico e specifico, che è solo nostro”. Questi 15 secondi sono un breve assaggio della registrazione di 20 minuti durante la quale Teer sottolinea l’importanza di fare in modo che l’individualità black si manifesti, nella creatività, senza essere filtrata attraverso lo sguardo dei bianchi.

Anche Swift, parlando dei paragoni tra lei e Beyoncé (in parte scatenati online dai fan), fa riferimento all’assenza di esperienze comuni. I confronti imperversano «anche quando le due artiste in questione si rifiutano di prendere parte a questa discussione», ma a Beyoncé sono concesse meno tolleranza e meno scivoloni in pubblico, mentre Swift può rimanere in uno stato perenne di maturazione e apprendimento. Gli standard che le due incarnano, nel lessico della cultura pop, sono diversissimi, proprio come quelli a cui sono vincolate socialmente. Non significa che una sia migliore dell’altra o che una offra al pubblico qualcosa di valido e l’altra no. Significa che non le si può confrontare.

All’inizio di Black Theatre, Teer parla di un fattore chiave che caratterizza anche l’etica creativa di Beyoncé, ovvero il “bisogno collettivo di muoversi in un contesto libero, aperto, che si sforzi di arrivare alla verità, senza che qualcun altro ti imponga come fare le cose, quelle che tu sai fare meglio di chiunque altro”. Pochi istanti dopo, arriva una dichiarazione nettissima: “Voglio determinare il mio destino; voglio determinare il modo in cui parlerò sul palcoscenico; non voglio essere massificata; non voglio essere monodimensionale”.

Da Rolling Stone US.

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