Lo stesso ragazzo che ha sbancato lo streaming (e ha già annunciato di voler mettere da parte la musica tra poco, quando si sposerà con la sua fidanzata di sempre, Cherry, e diventerà padre) dormiva sui vagoni della Circle Line, la linea di metropolitana più lunga e più lenta di Londra. «Finivo un concerto, bevevo fino alle cinque del mattino aspettando che aprisse la metropolitana, salivo e mi mettevo a dormire fino a quando non arrivava l’ora di fare un altro concerto». Era più o meno il 2008, Ed Sheeran era un adolescente che cercava di suonare ovunque per pagarsi l’affitto – visto che era andato via di casa a 16 anni, «la mia decisione più impulsiva» – e di intercettare un pubblico.
Oggi Ed Sheeran è la più grande popstar maschile del pianeta, l’uomo dei record che nel 2017 ha completamente dominato (e rilanciato) il mercato discografico mondiale: il suo ultimo album ÷ è il più venduto dell’anno, ha debuttato al numero uno in America, Inghilterra, Canada, Australia e Germania ed è finito al numero uno in Italia per due volte a distanza di 12 mesi, i singoli Shape of You e Castle On the Hill hanno sbancato Spotify con 13 milioni di stream in 24 ore e sono entrati in classifica in Inghilterra nello stesso momento occupando le prime due posizioni (alla fine dell’anno il numero di stream è arrivato alla cifra pazzesca di 6,3 miliardi), il singolo Perfect è l’unico a essere arrivato nelle prime tre posizioni della classifica di iTunes in tre versioni differenti e a un certo punto, durante la prima settimana di uscita, 16 canzoni nella Top 20 inglese erano estratte da Divide.
È diventato talmente versatile e apprezzato da poter scegliere le collaborazioni migliori, non solo quelle che gli servono per lanciarsi in orbita. Il duetto con Beyoncé, Perfect Duet, numero uno in America e singolo di Natale in UK, è quello che gli ha aperto la porta verso la collaborazione con i N.E.R.D. nell’ultima traccia del nuovo album del collettivo guidato dal magico Pharrell, e persino Eminem lo ha voluto per una collaborazione nel suo nuovo singolo River: «In assoluto il momento più alto della mia carriera», come lo definisce Ed Sheeran. Un’infilata di nomi che potrebbero portare la sua notorietà e il suo stile a essere apprezzato anche al di là della sua cerchia di ascoltatori affezionatissimi. Sempre in quest’ottica, Ed sta strizzando l’occhio anche al mondo latino: la canzone scritta per Camila Cabello, The Boy, non è finita sul caldissimo album della cantante, ma pare uscirà presto come singolo.
La sua storia è la rivincita di ogni adolescente che si sente invisibile agli occhi di un mondo in cui l’eccellenza è un obbligo farcito di “like”, e che trova nella musica e nell’accelerazione di ogni particella del proprio talento il suo riscatto. «La mia vita si può riassumere così», dice Ed Sheeran, «ero come tutti gli altri teenager, arrabbiato con la vita ma senza una vera ragione per esserlo. Dio ha guardato giù e mi ha detto: “Ragazzo, tu hai bisogno di aiuto. Eccoti una chitarra”». Una volta c’era il rock a dare una direzione ai sogni e all’insoddisfazione giovanile. Oggi c’è una cultura musicale nutrita di pop e R&B, fondata sulla mentalità imprenditoriale dell’hip hop e alimentata dai social che si muove in orizzontale, un suono globale che ti espone e ti moltiplica a una velocità spaventosa, in cui se riesci a sfruttare bene quello che sai fare arrivi ovunque.
Ed Sheeran è l’artista simbolo della sua generazione. Un cantautore tecnicamente impeccabile senza una vera appartenenza di genere (è un buon chitarrista acustico che scrive ritornelli pop che creano dipendenza e ballad strappalacrime, e all’occorrenza sa anche rappare) e un esempio di autodeterminazione guidata dalla passione per la musica che non si può fare a meno di prendere a esempio: Ed Sheeran è il nerd definitivo capace di trasformare la sua irregolarità nella chiave giusta per piacere a tutti (come ha detto la bambolona Katy Perry: «Tutti lo adorano e nessuno ha paura di lui. È una persona raggiungibile») e trasformare anche la sua chioma “ginger” – che a Framlingham nel Suffolk, l’Inghilterra di provincia dove è cresciuto, è garanzia di ribellione ma anche di infinite prese in giro – in un’icona pop del nostro tempo. «Uno fa musica per essere amato», ha detto semplicemente Ed, «il punto è tirare fuori le proprie emozioni e metterle in una canzone per stare meglio. È una fuga dalla vita quotidiana. È come l’alcol per qualcuno, però senza nessun lato negativo. È una questione egoista, ma alla gente piace».
Forse senza neanche rendersene conto, Ed Sheeran ha anche dato la ricetta più efficace per contrastare l’incontrollabile potere distruttivo del tweet, la minaccia più grave per la sua generazione, con una sola dichiarazione rilasciata a RS: «Per anni mi sono creato dei complessi su cose di cui in realtà non mi frega un cazzo». Nel manuale di sopravvivenza e successo che sta consegnando alla sua generazione c’è anche, ovviamente, la questione della celebrità. Ed Sheeran ha provato a sentirsi normale mentre andava ai party con Taylor Swift e Rita Ora, riceveva in regalo chitarre firmate da Paul McCartney («A Ed che è fantastico, Paul»), contagiava l’intero suono del mainstream americano e veniva elogiato da gente come Keith Richards, Elton John ed Eric Clapton, con cui ha duettato in I Will Be There, ricevendo in cambio un assolo di Slowhand nel suo album Divide.
Ha cercato di tenersi stretti i vecchi amici (celebrando nel singolo Castle on the Hill i tempi del liceo nel Suffolk che ha abbandonato nel 2008, a 17 anni), poi una lista di Forbes del 2015, in cui si diceva che aveva guadagnato 57 milioni di dollari e che il castello della canzone se lo sarebbe anche potuto comprare, «ha incasinato tutto». Soluzione? Ha eliminato lo smartphone dalla sua vita.
Comunica solo con un iPad e usa un vecchio cellulare per parlare con la sua famiglia. E dopo il tour di 66 date in America con Taylor Swift del 2010 («Ero il 22enne imbarazzato in tour con la più grande popstar americana circondata solo da amiche famose»), in cui ha combinato qualche casino e ha preso porte in faccia negli alberghi a cinque stelle (letteralmente, si dice, da Ellie Goulding, che si è infilata nella stanza di un suo amico invece della sua e poi lo ha anche raccontato in una canzone, On My Mind: “Tu volevi il mio cuore ma a me piacevamo solo i tuoi tatuaggi”), ha deciso che il suo mondo comincia e finisce con Cherry Seaborn, la ragazza che conosce dai tempi del liceo e con cui ha deciso di mettere su famiglia, annunciandolo in un rarissimo post social. Ha anche smesso di bere tutti i giorni perché ha capito che farlo durante il tour di Divide che lo porterà in giro fino alla fine del 2018 forse non è una buona idea. A 26 anni il busker diventato popstar ha mollato la strada della rockstar (che in fondo non è mai stato) ed è diventato un perfetto prodotto commerciale.
La sua espansione nell’immaginario globale ha toccato tutto, dal cameo ne Il trono di spade al fianco di Arya Stark, che definisce un’esperienza «incredibile e surrealista, in una delle mie serie preferite, assieme a The Wire e Buffy», alla canzone che ha detto di avere già pronta per la colonna sonora di un film di James Bond, dal titolo di Member of the British Empire (come quello dei Beatles), ricevuto dalle mani del Principe Carlo il 7 dicembre del 2017 a Buckingham Palace, all’endorsement a Jeremy Corbyn e alla nuova ondata di laburismo Britpop: «Corbyn è uno che si interessa agli altri, anche io sono stato educato così. Abbiamo bisogno di più persone che si occupino di tutte le classi, le razze e le generazioni». Ed Sheeran è diventato un colosso pop talmente grande da dividere le persone, come forse aveva predetto con il titolo del suo album dei record. «La mia ambizione è in calo perché ho ottenuto più di quello che avrei immaginato», dice. «Cammino da sempre sul filo della credibilità, ma non mi interessa. Le persone che mi hanno spinto a diventare un musicista sono fan della mia musica. Cosa me ne frega di quello che pensano gli altri?».
Del resto insieme ad Adele, Sam Smith e i Coldplay, Ed Sheeran sostiene l’intera industria musicale britannica, formando una specie di Million Dollar Quartet della musica liquida contemporanea. Si muove tra la paranoia della fama esasperata e la fiducia del talento, è allo stesso tempo un uomo d’affari innamorato dei numeri e un autore ipersensibile che mette le sue storie personali nelle canzoni e ha fatto dire ad Elton John una cosa clamorosa come: «Van Morrison sarebbe stato orgoglioso di scrivere un pezzo come Thinking Out Loud» (e anche lui ha avuto parole di apprezzamento per John, dicendo che probabilmente è lui il miglior compositore pop di tutti i tempi, assieme alla «coppia Lennon-McCartney, e anche Stevie Wonder»).
Oggi non ha più voglia né bisogno di spiegare come ha fatto a riempire il Madison Square Garden, lo stadio di Wembley e il main stage di Glastonbury armato solo della sua chitarra e di un pedale degli effetti. E a chi gli fa notare che Damien Rice lo fa da più tempo e meglio di lui, risponde mostrando l’autografo di Rice tatuato sul braccio in mezzo agli altri 60 tattoo: «Perché quando avevo 13 anni e lo ascoltavo, avevo l’impressione che stesse parlando con me». Nell’estate 2017 ha cancellato il suo account Twitter e da allora dice di non aver letto più niente che lo riguardi, e di sentirsi molto meglio: «La gente o ti ama senza limiti o pensa che tu sia l’Anticristo. Nessuno dice: “È uno a posto”».
Le regole del gioco sono queste e lui le ha imparate bene. È entrato nel music business a 19 anni con tutta la sua innocenza e vulnerabilità, la sua chitarra e un tocco per la melodia. Ora che ne ha 26 appena si sveglia la mattina, apre il computer, controlla i suoi dati di vendita, e ha fatto un business plan che va avanti per i prossimi due decenni. Lui dice di non essere mai cambiato, e in fondo è vero. È il mondo della musica che è cambiato per causa sua. Intanto ha deciso di allentare un po’ la pressione di fare solo cose gigantesche. Si è preso una pausa e ha girato il mondo con Cherry, è stato in Ghana e in Islanda, ha guidato lungo tutta la costa dell’Australia e ha attraversato il Giappone da Nord a Sud. In mezzo, ha trovato il tempo per stare un po’ nel Belpaese: si è preso una casa nelle colline umbre.
Ha in cantiere un film, con una grande parte musicale «di cui non posso dire molto, ma mi porterà via almeno tre anni», magari come Once, che ha fatto vincere un premio Oscar a un altro ex busker come lui, il dublinese Glen Hansard, e registrare un disco lo-fi ispirato a Nebraska di Bruce Springsteen: «L’album che venderà di meno della mia carriera, ma diventerà il più amato». Fare musica non è una gara, ammette Ed Sheeran, ma lui (come la sua amica Taylor Swift) è uno che da ragazzino si sentiva sempre l’ultimo, e non si è mai dimenticato di quella sensazione. «Ognuno di noi corre nella sua corsia, ma siamo tutti impegnati nella gara dei 100 metri per arrivare al numero uno in classifica. Non mi interessa chi sta facendo cosa. So solo che alla fine vinco sempre io».