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Era un duro, era un santo: Tom Morello racconta Wayne Kramer e gli MC5

Ritratto d’un musicista e attivista unico e di una band che ha fatto la storia. L’album postumo ‘Heavy Lifting’, lo spirito rivoluzionario, gli anni in prigione, l’altruismo, la morte. «Questa è una storia di redenzione»

Foto: RMV/Shuttershock (1), Mike Lewis/Redferns/Getty Images (2)

L’impatto sonoro esplosivo, lo spirito rivoluzionario, le chitarre, la controcultura, la violenza. Come molti, ero convinto che la musica degli MC5 stesse alla base di quella dei Rage Against the Machine, un’impronta politico-stilistica lasciata dall’ascolto ripetuto dei dischi della band di Wayne Kramer, magari consumati su vecchi vinili prestati da amici più grandi o comprati in qualche negozio dell’usato. E invece no. «Ho scoperto gli MC5 più tardi, erano gli anni ’90 inoltrati», mi dice Tom Morello durante una breve telefonata. Come si spiega allora l’influenza del gruppo di Detroit sui Rage? «Col fatto che prima ancora che li scoprissi, il dna degli MC5 era nelle band che amavo, dai Clash ai Bad Brains ai Gang of Four».

Tom Morello è uno degli ospiti di Heavy Lifting, l’album degli MC5 a cui Wayne Kramer ha lavorato prima di morire e che uscirà fra pochi giorni. È suo il riff della title track cantata da Brad Brooks che parla d’un uomo che in qualche modo viene spinto a commettere un crimine. «Gli MC5 mi hanno dato tanto e quindi ho voluto assolutamente dare un contributo al loro ultimo grande album». Ma soprattutto, il chitarrista dei Rage era un grande amico di Brother Wayne Kramer, come lo chiama lui. E quindi può parlare con cognizione di causa, e lo fa con grande trasporto, dell’esperienza del musicista dentro e fuori gli MC5, dell’impatto sugli altri, della sua storia personale (Morello non parla altrettanto volentieri dello stato attuale dei Rage Against the Machine: non ci sono novità, altro non vuol dire).

Heavy Lifting è nato quando Kramer ha fatto ascoltare della nuova musica all’amico Bob Ezrin, il produttore di decine di dischi tra cui The Wall dei Pink Floyd, Berlin di Lou Reed, Killer di Alice Cooper. Quei demo dovevano servire da base per la colonna sonora di un caper movie, Ezrin ha convinto Kramer a trasformarla nel nuovo disco degli MC5 anche in assenza degli MC5 stessi, a parte il batterista Dennis Thompson in due tracce. C’è invece una sezione ritmica super formata da Don Was e Abe Laboriel Jr e ci sono ospiti come Slash (Guns N’ Roses), William Duvall (Alice in Chains), Vernon Reid (Living Colour).

«Wayne aveva avuto il cancro cinque o sei anni fa», spiega Morello, «ed era in fase di remissione. Ma quando il tumore è tornato, nel giro di tre settimane è peggiorato in modo irreversibile. Se n’è andato velocemente, ma è rimasto fino in fondo uno di quegli uomini tosti di Detroit. Quando aveva 75 anni, dico 75, un tizio si è introdotto in casa sua. Beh, Wayne gli ha fatto il culo, l’ha messo ko sul pavimento della cucina (ride). Subito dopo mi ha chiamato per raccontarmi tutta la storia. E io: ma Wayne, che cazzo, hai 75 anni… Era un personaggione. Non ha mai smesso di essere un duro di Detroit».

Kramer non sapeva che Heavy Lifting sarebbe stato il suo ultimo disco. «Ma per niente. Non vedeva l’ora di portarlo in tour, era orgoglioso di avere fatto un altro grande album degli MC5, così come io sono onorato di esserne parte». Il disco è stato chiuso nel 2023, lui è morto nel febbraio del 2024 e ha quindi fatto in tempo ad ascoltare il risultato finale. Il 19 ottobre, il giorno dopo la pubblicazione di Heavy Lifting, gli MC5 entreranno finalmente della Rock and Roll Hall of Fame ricevendo il Musical Excellence Award e se è successo dopo tanti anni è anche grazie all’attività di lobbying di Morello. Della formazione originale non è vivo nessuno: il cantante Rob Tyner è morto nel 1991, l’altro chitarrista Fred “Sonic” Smith nel 1994, il bassista Michael Davis nel 2012, Dennis Thompson nel maggio 2024.

Heavy Lifting è solo il terzo album in studio degli MC5 e del resto la fama del gruppo ha sempre superato l’effettiva popolarità della sua musica. Quasi tutti gli amanti del rock conoscono lo slogan «it’s time to kick out the jams, motherfuckers!», molti meno saprebbero citare il titolo di almeno tre loro canzoni. Pur essendosi riuniti in modo intermittente negli ultimi 20 anni, per vari motivi non hanno goduto del revival di altre band dell’epoca. Forse perché nei dischi non sono mai riusciti a catturare l’energia mitologica del primo live Kick Out the Jams, quello registrato alla Grande Ballroom di Detroit nel ’68. Forse per i casini che hanno dovuto affrontare per via delle loro idee politiche radicali. Forse perché la musica stava andando da un’altra parte. E forse c’entra il fatto che il loro ultimo album in studio risale al 1971 e nonostante Kramer abbia riportato in giro gli MC5 come supergruppo tirando dentro chi aveva influenzato, non c’è stato modo di ravvivare la memoria come hanno fatto gli amici Stooges, flop commerciali da giovani, grandi successi da vecchi.

Emersi dalla scena anni ’60 di Detroit, gli MC5 sono considerati il gruppo proto-punk per eccellenza. «Erano punk-rock prima che qualcuno inventasse quella parola», dice Morello. «Prima dei Ramones, dei Sex Pistols, dei Clash, c’erano loro con la loro musica coraggiosa e avventurosa, un’unione senza precedenti di potenza rock e posizioni politiche radicali». Allo stesso tempo, gli MC5 hanno sempre avuto un lato molto classico derivante dalla loro cultura rock’n’roll. Non caso, Heavy Lifting è un disco hard rock e non stupisce sapendo che gli MC5 erano ragazzi che negli anni ’60 amavano i dragster, le macchine di grossa cilindrata, i motori, con un look da delinquenti giovanili imbrillantinati. «We were metal before metal», scriveva Tyner nel libretto della ristampa su CD del 1991 del live Kick Out the Jams.

«Vero», concorda Morello. «Aggiungi al punk e al rock duro anche l’idea della sperimentazione che derivava dal free jazz, dall’influenza di Sun Ra. E un altro elemento: nella loro musica si sentiva l’industria pesante di Detroit», la città sede della Ford e di altri marchi automobilistici (il nome del gruppo significa “i cinque di Motor City”). «Senti l’eco dei rumore del macchinari nei loro dischi, il volume assurdo delle fabbriche, la vita della classe operaia. E tutti questi elementi si sono uniti nel creare una band unica nella storia».

Se agli Stooges le idee hippie facevano orrore, gli MC5 ci sguazzavano, complice l’influenza del loro manager e ideologo John Sinclair, l’uomo a cui John Lennon dedicherà una canzone. Nel discorso prima di Ramblin’ Rose nel live Kick Out the Jams registrato a Detroit nell’ottobre del ’68 (se avete solo Spotify cercate la versione giapponese), il religious leader e spiritual adviser J. C. Crawford lanciava ai fratelli e sorelle un messaggio politico molto rock’n’roll e semplicistico: «È il momento che decidiate se volete essere il problema o la soluzione. Ci vogliono cinque secondi per prendere questa decisione». Kramer ha sempre voluto essere parte della soluzione, ma la sua vita è stata molto più complicata di così.

«Gli interessava l’idea di rivoluzione ed era molto serio a tale proposito», assicura Morello. Anche se la musica degli MC5 è legata indissolubilmente a un periodo di tumulti, di richiami alla rivoluzione nelle strade, di raid violenti della polizia, di scontri razziali, di ideologie e pistole, e naturalmente ai disordini a Detroit del 1967 che portarono il gruppo a radicalizzarsi, nel fondamentale Please Kill Me Kramer smitizzava l’impegno della band. «Droga, rock’n’roll e sesso a più non posso erano i tre punti originali del nostro programma politico, che in seguito venne trasformato in un programma in dieci punti, quando cominciammo a far finta di fare sul serio» e cioè quando fondarono il partito delle Pantere Bianche, le White Panthers che in principio non erano che il fan club del gruppo. Lo fecero imitando il movimento rivoluzionario delle Pantere Nere, che però li consideravano «clown psichedelici». Eppure quei pagliacci drogati suonavano con un trasporto puro, un passo indietro rispetto alle avanguardie rock dell’epoca, un passo avanti per impeto.

Viene da chiedersi se i messaggi della loro musica, così come quelli dei Rage, non siano legati al loro tempo e quindi meno efficaci oggi. Parlo con Morello pochi giorni dopo la sua battuta su Elon Musk. Il miliardario aveva evocato su X l’espressione “rage against the machine” chiedendosi «perché tanta gente si incazza a favore della macchina», ovvero perché al posto di andare contro il sistema come lui o Donald Trump (ehm), molti se la prendono con loro. Morello si è sentito chiamato in causa e ha replicato prendendo in giro Musk scrivendo che «è strano, perché Elon era il ragazzo sulla copertina di Evil Empire». Lo scambio ha messo in evidenza quanta confusione c’è sotto il cielo della politica e quanto sfumati siano diventati nella conversazione pubblica i concetti di sistema e ribellione.

«Un pezzo come Kick Out the Jams ha un messaggio senza tempo», commenta Morello, «era un messaggio di identità e libertà e non ha nulla a che vedere col periodo in cui uscì. Parla ancora oggi a chiunque sia in cerca di un suo posto nel mondo, restando sé stesso. E Killing in the Name dei Rage, per fare un esempio, parla di opporsi a qualunque forma illegittima di autorità, tu dici sì e io dico no, e quindi vale anche per il presente. In quanto alla politica di oggi, conta quali interessi difendi. Le politiche semi liberiste dei Clinton, dei Bush e di Obama hanno fatto sì che una bella fetta di classe operaia si sia sentita lasciata indietro e ora è attirata da un aspirante dittatore che diffonde teorie del complotto razziste per perseguire gli interessi suoi e di un gruppo di miliardari. E sai cosa? Sono tutti dalla parte sbagliata. Pensare che uno come Musk che spara razzi nello spazio possa avere un punto di vista radicale è semplicemente ridicolo. La strada giusta è organizzare la classe lavoratrice affinché difenda i propri interessi. È nostra responsabilità mostrare che ci sono strade alternative e che sono effettivamente percorribili».

La prima parte della storia degli MC5 finisce nel 1972 dopo il live Kick Out the Jams e gli album Back in the USA e High Time. «Fu una cosa talmente dolorosa che nessuno disse una parola agli altri», ha ricordato Kramer. «Misi in valigia la mia chitarra e me ne andai alla casa dello spaccio, perché l’eroina uccide il dolore, e in quel modo non avrei dovuto affrontare nulla. Ovviamente, quel tipo di dolore apre le porte a qualsiasi tipo di comportamento bizzarro. Quando la band si sciolse, divenni un criminale. Commettevo qualche furterello, spacciavo e ricettavo di tutto, televisori, armi e droga». La musica era sparita dalla sua vita. «L’industria dell’automobile cominciava a declinare, quindi i locali non prosperavano di certo così se andavo a derubare tre o quattro case per notte ero di nuovo una star».

Non essendo granché come criminale, Kramer si è fatto beccare ed è stato condannato a quattro anni di reclusione. In prigione, ricordava a Rolling nel 2018, «ho imparato a gestire la droga, a fare rapine e un sacco di cose estremamente antisociali. Il carcere serve a questo: è una scuola di criminalità».

È stata anche un’esperienza trasformativa che ha raccontato nel libro The Hard Stuff: Dope, Crime, the MC5, and My Life of Impossibilities, un’esperienza che molti anni dopo lo ha ispirato a fondare l’organizzazione benefica Jail Guitar Doors, USA che mira a fornire strumenti musicali e occasioni di formazione ai detenuti delle carceri americani, oltre a proporre soluzioni per ridurre la violenza nelle carceri e riformare il sistema. Kramer l’ha modellata sull’omonima organizzazione inglese di Billy Bragg. «Io c’ero quand’è nata l’ho visto coi miei occhi», ricorda Morello, che racconta dell’incontro fra Kramer e Bragg e di quel nome, Jail Guitar Doors, preso da una canzone dei Clash in cui veniva citato proprio Wayne.

Uscito di prigione, Kramer è tornato a far musica, ad esempio con Johnny Thunders. Il grande ritorno sulle scene risale però a metà anni ’90 grazie all’etichetta Epitaph, all’epoca al centro del revival del punk-rock americano. È stato in quel periodo, quando aveva già pubblicato musica coi Rage Against the Machine, che Morello lo ha incontrato per la prima volta. «Provavamo nello stesso posto a Los Angeles. Gli MC5 li conoscevo, ma solo di nome. Quando ho sentito per la prima volta Kick Out the Jams ho capito che rivelazione dovevano essere stati».

Dopo averli conosciuti, Morello s’è innamorato perdutamente della band. «Brother Wayne Kramer è diventato uno dei miei migliori amici. Non solo: da allora in quasi tutti i dischi che faccio il titolo di lavorazione della canzone più veloce e cattiva è MC5. Era quello ad esempio il titolo iniziale di Sleep Now in the Fire. Da quel momento in poi ho sempre cercato di catturare in qualche modo lo spirito del rock di Detroit, veloce e feroce. È diventata una delle caratteristiche del mio modo di suonare la chitarra».

Kramer e Morello si sono incontrati spesso su e giù dal palco, ad esempio quando il primo ha raggiunto i Rage Against the Machine nel concerto contro la convention democratica del 2008, così come nel 1968 gli MC5 avevano suonato in occasione di quella di Chicago. «Era la persona migliore che abbia mai incontrato», dice Morello. «Era una misto di saggezza derivante dalla vita sulla strada e di compassione senza fine. Faceva tutto quello che era in suo potere e lo faceva in modo tangibile. Ha sempre aiutato le persone che più avevano bisogno. Mi sono esibito con lui nel carcere di Sing Sing e avresti dovuto vedere con quale rispetto i carcerati lo ascoltavano e questo perché capivano che grand’uomo era. Per me era un modello. Era il fratello maggiore che ti aiuta a perdonarti gli sbagli che hai fatto. Se c’era un concerto di beneficenza o un altro evento organizzato da attivisti, sapevi che lui avrebbe dato la disponibilità. Pochi al mondo come lui dicono sempre: ma certo, ci sarò».

La saggezza di cui parla Morello era il frutto anche degli anni passati sulla strada e in prigione. «Quella di Wayne è una storia di redenzione. Quando l’ho incontrato era un furfantello, è poi diventato uno che salva la vita alla gente. Ho visto coi miei occhi come si è trasformato Brother Wayne Kramer, ma ascolta: tanta altra gente fa esperienze dure come le sue, ma c’era qualcosa di speciale in lui, è scattato qualcosa. Era umile, si metteva a disposizione degli altri. Se c’era da andare a distribuire pasti ai senzatetto alla Midnight Mission di Los Angeles, lui ci andava di corsa. Era un vero altruista. Aiutava i ragazzi usciti di prigione, dava loro un posto dove andare, una ragione per vivere. Il mondo ha perso qualcosa di grande con la sua morte. Era umano, ma aveva l’anima del santo».

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