Vent’anni fa, un giornalista del Village Voice scherzava sul futuro scrivendo nello speciale di fine anno: «Chissà se nel 2020 ci sarà qualcuno disposto a pagare 300 dollari un biglietto della reunion dei Backstreet Boys all’Hard Rock Café?». È la quantità di denaro che il 21 luglio 2020 vi avrebbe consentito di entrare nel pit del concerto dei Backstreet Boys al Jiffy Lube Live di Bristow, in Virginia, se solo quel concerto ci fosse stato.
Come tutti, anche i Backstreet Boys si sono chiusi in casa. I cinque membri si sono riuniti per uno dei momenti più stranamente toccanti dell’anno: il concerto di beneficienza in tv dello scorso aprile, quando in diretta su Zoom hanno armonizzato I Want It That Way ognuno dalla sua abitazione. Forse riuniti non è la parola giusta: l’anno scorso hanno piazzato un disco nuovo al primo posto in classifica (nel 2009 cancellarono un tour perché Brian aveva l’influenza suina: prima di quest’anno, era quella l’idea di pandemia nel pop). Eppure sembravano a disagio, insicuri sulla quantità di swag da metterci, timorosi di sembrare ridicoli a fare le pop star di fronte ai divani. E avevano ragione: era tutto ridicolo ed era bello proprio per questo.
Forse non è quello che sognavamo ai tempi di I Want It That Way. Del resto, come ha detto Mick Jagger durante l’esibizione degli Stones a Together at Hone, “you can’t always get what you want”.
Il 2020 è stato l’anno che i fan hanno vissuto in clandestinità. Nel 2020, essere fan ha significato ascoltare musica da soli, come mai prima d’ora, mentre il coronavirus ci distruggeva la vita. Essere un appassionato di musica nel 2020 è stato assurdo in modi inediti. L’intera cultura pop è cambiata di botto. Non abbiamo potuto ascoltare WAP in un club o a una festa. Non ci siamo scatenati nei concerti con le nostre nuove canzoni preferite. Non abbiamo condiviso la musica in modo tradizionale, ma ha fatto parte dell’isolamento che è diventato un aspetto centrale delle nostre vite. Per molti di noi, la musica è la chiave che ci connette al mondo esterno. Ma nel 2020 la musica è diventata il mondo esterno, perché gli spazi pubblici sono sempre meno e sempre più distanti. È stata l’esperienza condivisa di cui avevamo bisogno.
Forse è per questo che il pop non è mai stato così lussurioso ed eccitante. Ariana Grande ha pubblicato un fantastico disco intitolato Positions, una specie di disco trap arrapato da club. Racconta alla perfezione quest’anno di fandom pop: una fantasia erotica costruita con cura da gente che non ha fatto le cose assurde e selvagge raccontate nelle canzoni. Ricordate l’Ariana che cantava Break Up With Your Boyfriend, I’m Bored? Lo ricorda anche lei e c’è qualcosa di eroico nel suo tentativo di tenere vivo quello spirito in questi mesi. Cardi B e Megan Thee Stallion hanno pubblicato il singolo perfetto per l’estate, WAP, annunciando il ritorno delle ragazzacce. Il pezzi è arrivato al primo posto in classifica, scalzando Watermelon Sugar di Harry Styles. Fantastico: le due canzoni parlano della stessa cosa, sono musicalmente diversissime ma in qualche modo affini, sono le due hit più erotiche dell’estate meno erotica di tutti tempi. Watermelon Sugar, in più, sembrava perfetta per questi tempi grazie al video girato in spiaggia a gennaio, che si apre con la frase: “Questo video è dedicato a toccarsi”.
Due dei miei album preferiti dell’album, quelli di Dua Lipa e Jessie Ware, sono fantasie disco music concepite per evocare il sudore e i neon della pista da ballo, cose che i fan potevano solo immaginare da lontano. C’è qualcosa di bello in tutto questo, un po’ come i musical di Busby Berkeley durante la Grande Depressione. Non lo chiamerei escapismo, ma piuttosto un desiderio comune e condiviso.
Essere un appassionato di musica nel 2020 è stato diverso da tutti i punti di vista. Nessuno si aspettava di rischiare la vita per ascoltare Crazy Bitch a un concerto di Buckcherry in un festival “super spreader”. Voglio dire, Super Spreader potrebbe benissimo essere il titolo di una canzone di Buckcherry, no? Poi c’è stato lo Sturgis Motorcycle Rally in South Dakota, in agosto, praticamente un concerto a favore della diffusione del virus, concepito per protestare contro l’idea di emergenza sanitaria, con un cast di band che speravamo migliori: Smash Mouth, Lit, 38 Special, Quiet Riot, Night Ranger. Sembra ridicolo sentirsi delusi dalle scelte morali di Buckcherry, ma quest’anno ci ha riservato anche questo (e comunque resto un ammiratore del suo periodo anti-guerra in Iraq). Gli Smash Mouth, famosi per un concerto del 2015 in cui il cantante gridava al pubblico di smettere di tirargli croste di pane, hanno dichiarato: «Ora che siamo qui stasera, siamo di nuovo umani. Vaffanculo a quella merda di Covid!».
Purtroppo, arrivato l’autunno, in South Dakota si sono moltiplicate le infezioni e ora guida gli Stati Uniti per numero di casi e morti. Ora di novembre, i decessi hanno superato quelli della Corea del Sud.
Continuano a tornarmi in mente tutti i concerti per cui ho comprato i biglietti, ma che non sono mai avvenuti. Ticketmaster mi ha mandato una mail con il peggiore oggetto di tutti i tempi: “Stephen Malkmus è stato cancellato”. Dave Grohl ha passato l’anno registrando video per una drum battle con una ragazzina di 10 anni e alla fine ha ammesso di avere perso. Miley Cyrus ha cantato Wish You Were Here dei Pink Floyd a SNL: un pezzo perfetto per la sua voce e per il momento. Paul McCartney l’ha definito “rockdown”, un modo molto Paul per raccontare l’isolamento. Lo ha passato in una fattoria registrando un album che altrimenti non sarebbe mai nato, esattamente come ha fatto Taylor Swift. Gli artisti hanno pubblicato dischi fatti in casa che normalmente sarebbero rimasti negli hard disk.
Il pubblico ha dovuto riempire un vuoto, trovando nuovi modi per condividere il rituale dell’esperienza fan, dalle battle di Verzuz ai Bandcamp Friday. Tim Burgess dei Charlatans ha organizzato dei listening party su Twitter, un’idea che si è rivelata una terapia sorprendente per i fan che si sono ritrovati con gli artisti ad ascoltare i dischi. Rock star che sembravano perdute, recluse o totalmente dimenticate sono tornate allo scoperto: i membri dei New Order, per esempio, non si parlavano da anni e si sono messi a litigare su Twitter. Ma sapevano tutti che quello era il pubblico più grande per cui potevano esibirsi.
La musica ha anche preso parte ai movimenti culturali dell’anno, dalle proteste estive di Black Lives Matter ai festeggiamenti delle presidenziali di novembre, quando Joe Biden e Kamala Harris hanno battuto Trump e tutti si sono riversati in strada a ballare. Un’ora dopo l’assegnazione della Pennsylvania, mi sono ritrovato in un parco di Brooklyn, avvolto dalla luce del sabato pomeriggio, al centro di una festa improvvisata (tutti avevano la mascherina, nessuno si lamentava della cosa). C’era un trio di musica psichedelica che suonava, la prima band che ho visto dal vivo dopo otto mesi. Il DJ sparava Y.M.C.A., l’inno disco più gay degli anni ’70 e allo stesso tempo la canzone che Trump aveva scelto come bizzarra colonna sonora dei suoi comizi elettorali. Tutti i banger tirati fuori dal DJ sembravano perfetti: Thank U, Next, Bodak Yellow, Get Ur Freak On, Beautiful Day, Good Times degli Chic, FDT di YG e, ovviamente, Edge of Seventeen di Stevie Nicks.
Tutte le canzoni sembravano catartiche, piene di sofferenza, ma anche di speranza. In altre parole, la combinazione di cui sono fatti tutti i sogni del pop, e un momento da portare con sé nel 2021.