I Jet festeggiano il ventennale (+1) del loro primo album Get Born, quello di Are You Gonna Be My Girl, con un tour che toccherà l’Italia per due date, il 26 settembre all’Alcatraz di Milano e il 27 all’Orion di Roma. La band sta lavorando al quarto disco, il primo da Shaka Rock del 2009. Abbiamo chiesto a Nic Cester di raccontarci gli anni del boom di Get Born e dei Jet.
Dunque, è il 13 settembre 2003 ed è appena uscito il nostro disco di debutto Get Born. Nella mia vita ci sono un prima e un dopo quella data. Una straordinaria serie di circostanze stava prendendo forma davanti ai miei occhi. La mia esistenza stava per cambiare, per sempre.
Eccomi dunque sull’orlo del precipizio, pronto a gettarmi a capofitto in un mondo inimmaginabile fatto di alti esaltanti e di bassi tremendi.
Ma facciamo un passo indietro. Fino ad allora avevo fatto la vita di buona parte dei ragazzi della mia età che crescevano nei sobborghi di Melbourne. Negli anni ’90 era una città eccitante dove vivere. Offriva un sacco d’opportunità, era il cuore culturale pulsante dell’Australia. Pure la scena musicale australiana era fuori dall’ordinario. Il circuito dei locali era bello vivo e pieno di band che mettevano assieme un certo gusto melodico e la durezza “no nonsense” tipica degli australiani.
Da noi c’è sempre stata una scena rock’n’roll, è una tradizione che comprende Easybeats, Saints, Radio Birdman, Masters Apprentices, AC/DC e molti alti. Alla fine degli anni ’90, tuttavia, si cominciava a capire che il grunge stava esalando gli ultimi respiri e la scena stava diventando un po’ stanca. L’elettronica stava prendendo il sopravvento e gente come Fatboy Slim, Avalanches e Prodigy segnalava l’avvento d’una nuova era.
È in questo clima che nascono i Jet. Volevamo suonare rock’n’roll divertente, eccitante, sexy. Il tipo di musica su cui puoi ballare e con dentro tutte le cose che c’erano negli anni ’70 e che erano sparite dalla musica: sfacciataggine, spavalderia, innocenza e anima, con un pizzico di melodia per mandare giù tutto quanto.
Seguivamo con interesse alcune di band, una di Sydney chiamata You Am I, gli Even di Melbourne e un gruppo canadese, gli Sloan. Nel complesso, erano la bussola che usavamo per orientarci. Immagino ci fosse un sacco d’altra gente nel mondo che provava bene o male le stesse cose visto che quando abbiamo cominciato a suonare nei pub e nei bar attorno a Melbourne le cose hanno cominciato a muoversi a una velocità pazzesca.
È tutto cominciato suonando nei weekend in un pub della città chiamato Duke of Windsor. A vederci il primo venerdì c’erano 50 persone. Il venerdì dopo il posto era pieno. Il quarto venerdì la fila faceva il giro dell’isolato ed eravamo subissati di richieste da parte dei discografici delle major australiane. Avevamo 20 anni e il mondo ai nostri piedi. Qualche mese dopo, siamo andati a Sydney, coi discografici delle principali etichette americane che ci offrivano quello che sarebbe diventato il contratto discografico più ricco della storia australiana.
Il rock’n’roll era tornato di moda e una nuova scena era esplosa grazie e Strokes, Hives, White Stripes e agli australiani Vines. Le etichette discografiche facevano a gare per scovare la next big thing. E noi eravamo lì al momento giusto, nel posto giusto, con le canzoni giuste, col taglio di capelli giusto. Nel giro di pochissimo tempo ci siamo trovati in uno studio di Los Angeles a registrare il primo LP e lanciati nel nostro primo tour nazionale coi Rolling Stones.
Sembravano curiosi, gli Stones, d’incontrarci durante quel tour e capire cosa c’era dietro tutto quel clamore. Tutti a turno sono entrati nel nostro piccolo camerino per salutarci e chiacchierare. Una volta Mark, il nostro bassista, è entrato dopo essersi ingollato un bel sorso di birra, che ha sputato dopo aver scoperto che là dentro c’era Charlie Watts che parlava tranquillamente con noialtri. Senza fare una piega, Charlie s’è alzato, ha detto «Tornerò quando vi sarete calmati» e se n’è andato.
Essendo un gentiluomo, è tornato davvero dopo una decina di minuti e abbiamo continuato a chiacchierare per un po’. Che tipo adorabile. Tutti in realtà erano alla mano, una cosa che ci ha sorpresi.
Abbiamo imparato a conoscerli meglio durante un altro tour con loro in Spagna. Ricordo in particolare una serata pazzesca trascorsa con gli Stones su una terrazza da qualche parte a Barcellona a vedere un’esibizione privata di artisti di flamenco. È stato in quel contesto di balli, canti e musica che Kieth ha raccontato di quand’era caduto da un albero di cocco pochi mesi prima. Cose che succedono ai pirati .
Quella sera a un certo punto chiacchierando con Angie, la figlia di Keith, ho menzionato Lars Urlich. Prima che potessi finire la frase m’aveva già interrotto dicendo che i Metallica li odiava di brutto. Mica aveva capito che la mia introduzione serviva per presentarle Lars, che era giusto dietro di noi. Per dirla con Rick James, «la cocaina è una droga infernale», ma pace è stata fatta.
Tutto questo succedeva prima che uscisse Get Born, per far capire l’attesa che c’era per quel disco. Dire che le aspettative erano alte sarebbe un eufemismo. Come ho detto spesso a proposito dei Jet, ed è una cosa che immagino valga per qualsiasi band che sperimenta un grandissimo successo, sono le circostanze contingenti a creare la tempesta perfetta. I pianeti si allineano ed è una cosa fuori dal tuo controllo. È una forza della natura che minaccia d’esplodere da un momento all’altro. E alla fine è esplosa.
Quando alla fine l’album è uscito, nulla è stato più come prima. Sono stati, quelli dopo il disco, gli anni più dissoluti della mia vita. Eravamo sempre in viaggio, in tour ovunque, suonavamo in ogni città, in ogni festival, eravamo invitati a esibirci in ogni singolo programma tv che esisteva al mondo.
Avevo 21 anni e mi divertivo come un pazzo a vivere tutti i possibili cliché. I Jet erano la party band per eccellenza in quegli anni. Dormivamo a malapena, eravamo una festa mobile, non ci fermavamo mai. Il ciclo dell’album si sarebbe comunque chiuso con un tour finale negli Stati Uniti e in Canada con Oasis e Kasabian, non prima di essere stati ospitati da ogni stazione radiofonica di merda lungo la strada per fare versioni acustiche di Cold Hard Bitch, Are You Gonna o Look What You’ve Done o qualunque altro singolo avessimo fuori in quel momento. Eravamo pronti per tornare a casa. Anzi, lo desideravamo disperatamente.
A quel punto, però, casa era diventata un posto strano e non c’era un interruttore per spegnere tutto quanto. Non c’era posto dove andare senza che qualcuno mi riconoscesse o mi guardasse male. Sentivo che la gente bisbigliava attorno a me ed ero sempre più consapevole della necessità di tornare al lavoro e scrivere un altro album.
Penso che le band siano definite dall’intesa o dall’alchimia che c’è tra i musicisti. Puoi fare il tuo primo album solo una volta nella vita e quando te lo metti alle spalle nuove circostanze e sfide ti si parano innanzi sfidandoti a fare un passo avanti o rischiare d’essere mangiato vivo. Ma questa, come si usa dire, è un’altra storia.
Get Born ha venduto oltre 6,5 milioni di copie nel mondo, ottenendo una decina di dischi di platino in Australia, e un platino negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Dall’album sono usciti singoli classici come Are You Gonna Be My Girl, Rollover DJ e Look What You’ve Done. La band ha portato a casa sei ARIA Awards. Sia Are You Gonna Be My Girl che Cold Hard Bitch sono arrivati alla posizione numero uno dei singoli della classifica US Modern Rock e hanno spinto la band in cima ai cartelloni dei festival e delle classifiche di tutto il mondo.