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Forse dovremmo chiedere scusa a Neil Young: gli Archives sono il futuro della musica

Mentre tutti ridevano di Pono e dell'ossessione per la qualità audio, il cantautore costruiva un sito che lo renderà ricco e che potrebbe cambiare il modo in cui consumiamo musica

Foto: Suzanne Cordeiro/Shutterstock

“È il 2015 e stiamo facendo musica ai massimi livelli. Non ha mai suonato così bene, eppure la ascoltiamo su una piattaforma che comprime il suono. Cerco di registrare musica alla massima qualità possibile, ed è per questo che questa cosa mi pare evidente. Se spiegate alla gente cosa stanno ascoltando davvero, allora sentiranno la differenza”. La storia di Tidal potrebbe – e forse dovrebbe – essere stata molto diversa. È con queste parole che Calvin Harris, dj e produttore, presentava il trailer di lancio della piattaforma fondata da Jay-Z e lanciata a marzo 2015.

Sfortunatamente per Tidal, il messaggio di Harris – questa è musica di alta qualità per fan di alta qualità – è stato sovrastato da altri, un coro di superstar che ha iniziato a raccontare una storia diversa. Per loro, Tidal era lo strumento utile a riconquistare il controllo che non avevano con piattaforme come Spotify. “Loro sono i distributori e noi gli artisti”, borbottava Madonna. “Le cose sono cambiate e noi siamo finiti sullo sfondo. Ora dobbiamo farci avanti”.

Ed è così che l’elevator pitch di Tidal è stato cannibalizzato da una serie di multimilionari che si piangevano addosso. Come prevedibile, sono stati coperti di ridicolo. Da allora la piattaforma ha saggiamente puntato sulla qualità audio, vendendosi come la casa dello streaming in alta fedeltà.

Raccontiamo tutto questo per dire che Neil Young ha battuto Tidal. Per non parlare di Calvin Harris.

In seguito a una campagna di crowdfunding grazie alla quale ha raccolto più di 10 milioni di dollari, nel gennaio 2015 Neil Young ha lanciato la piattaforma di download Pono (che offriva audio in 24 bit ad alta risoluzione) e il suo hardware complementare, PonoPlayer. Il lancio è avvenuto due mesi prima di quello di Tidal, che è stato accompagnato da un raduno di megastar e dalla risibile “Dichiarazione” firmata in pubblico.

PonoMusic non è stato un successo. Già nell’estate del 2015, alcuni report suggerivano che l’azienda aveva problemi di denaro. A un certo punto, Young avrebbe addirittura chiesto l’aiuto di Donald Trump. Pono ha chiuso nel 2016, impoverito e sommerso dalle critiche. ArsTechnica l’ha definito un sorso d’olio di serpente. Il Washington Post ha rilanciato chiedendo: “Neil Young è finalmente riuscito a fare qualcosa di peggio di Trans?”.

A mezzo decennio di distanza, però, forse dovremmo giudicare l’operazione e chi l’ha pensata da un punto di vista diverso. L’insistenza di Neil Young nel pensare che i veri appassionati di musica sarebbero stati disposti a pagare più denaro per migliorare la qualità dei loro ascolti digitali sembra meno assurda nel 2020 che nel 2015. Adesso, infatti, Amazon ha messo la qualità hi-fi al centro della sua offerta di streaming musicale. Questo cambio di passo è spiegabile perché Amazon Music, secondo Midia Research, potrebbe superare il volume di iscritti di Apple Music nel corso di quest’anno.

Come a chiudere un cerchio, Neil Young è stato direttamente coinvolto nel comunicato stampa con cui Amazon ha annunciato l’arrivo della sua offerta in HD. Il leggendario cantautore canadese ha detto – con giusto un filo di iperbole – che, grazie all’arrivo della musica in alta risoluzione di Amazon, “la Terra cambierà per sempre”.

Ridete pure, ma non c’è da stupirsi di fronte alle esagerazioni di Young. La sua vecchia ossessione per la musica in HD è appena stata vendicata da una delle più grandi aziende del pianeta.

Permettetemi, allora, di guidarvi attraverso una versione alternativa della storia; una versione che metterà a tacere chiunque abbia parlato di Neil Young come di un vecchio rammollito, incapace di accettare la realtà dell’era di Spotify, e che lo racconta come un uomo capace di prevedere i trend della tecnologia musicale.

È da questo punto di vista che dobbiamo guardare il servizio di abbonamento online del cantautore: i Neil Young Archives. Il sito non solo permette ai superfan di ascoltare tutto il suo catalogo musicale (in alta qualità, naturalmente), ma anche di accedere a reliquie digitalizzate provenienti da tutta la sua carriera: video esclusivi, foto, stream dei tour.

L’accesso agli Archives costa meno di 2 dollari al mese e, secondo Wired, alla fine di ottobre del 2019 aveva già attirato 25 mila abbonati, e ora punta ai 40 mila. Facendo i conti, il risultato è impressionante: questi 25 mila superfan di Neil Young lo pagano 600 mila dollari l’anno per accedere a contenuti premium gestiti direttamente dall’artista.

Alcuni si abbonano per divorare ogni minuscolo bit caricato online dal cantautore, note a margine comprese; altri sono felici di lasciare una “mancia” alla loro superstar preferita, una piccola percentuale di quanto guadagnano ogni mese; altri ancora sono solo entusiasti di far parte di un gruppo.

Qualunque sia la ragione che li spinge a pagare, questi 600 mila dollari dei fan sono più o meno l’equivalente di quanto guadagnerebbe un artista a fronte di 162 milioni di stream su Spotify. Nel caso di Neil Young, la sua traccia più ascoltata sulla piattaforma (Heart of Gold) ne ha raccolti solo 132 mila.

E ora il futuro. Di recente, alcuni esperti del settore hanno detto che per arrivare a ottimizzare i propri guadagni, i servizi di streaming devono superare la formula generalista di Spotify, il modello “50 milioni di canzoni per tutti i gusti”. La soluzione sarebbe la segmentazione, una delle possibili parole chiave per decifrare cosa succederà alla musica nel 2020.

Ci sono varie scuole di pensiero su come ottenere questa segmentazione. Qualcuno sostiene di focalizzarsi sui generi, qualcun altro su cataloghi (Blue Note, Motown ecc.) o ancora sui singoli artisti. In generale, l’idea è sempre la stessa: dare ai superappassionati di un certo tipo di musica l’opportunità di “approfondirla” con un leggero aumento del classico canone streaming da 9,99 euro al mese.

Neil Young, a quanto pare, è già avanti con i tempi. Secondo SimilarWeb, a dicembre il sito dei Neil Young Archives ha registrato quasi 60 mila visite: nonostante i molti probabili doppioni, è comunque più del doppio del numero di abbonati. Questa è una fanbase appassionata.

Su Spotify, Neil Young ha più di 5 milioni di ascoltatori ogni mese e 1,6 milioni di follower (cioè le persone che hanno cliccato su un pulsante per restare aggiornate su quello che Young pubblica sulla piattaforma). Quanti di questi ascoltatori sarebbero disponibili a pagare un paio di dollari in più ogni mese per accedere al suo archivio, magari attraverso il servizio di streaming che usano di solito? Di sicuro non la stessa percentuale di chi visita attivamente il sito degli Archives. Ma se anche l’1% dei 5 milioni mensili dovesse convincersi di pagare 2 dollari extra ogni mese, l’operazione genererebbe 1,2 milioni di dollari ogni anno, denaro che l’industria non ha ancora deciso (stupidamente?) di incassare.

Quanti altri artisti potrebbero approfittare di questa segmentazione da “fan club premium”, e quanto denaro si potrebbe guadagnare a livello macroscopico? Al momento, sono ancora poche le app lanciate dai singoli artisti, e ci sono aziende come Disciple Media (Rolling Stones, Luke Bryan) che sanno fare il loro mestiere e dominano il mercato. Dall’altra parte, il successo silenzioso degli Archives di Neil Young suggerisce l’esistenza di un futuro ricco in cui i servizi di streaming venderanno contenuti extra specifici per ogni artista. Suggerisce anche che forse è il caso di considerare Young come un visionario del business.

Il cantautore, comunque, è ancora ossessionato dall’audio in alta definizione, e se ne frega di cosa pensate di lui. Di recente ha criticato Apple e il Macbook Pro, colpevoli di offrire “una qualità audio Fisher Price” e “sbagliati” per gli artisti che prendono sul serio la registrazione.

Qualche anno fa, di fronte al panorama di Pono Players abbandonati, qualcuno avrebbe comprensibilmente riso di una sparata del genere. Ma ora che abbiamo ispezionato tutte le prove, forse Tim Cook dovrebbe preoccuparsi.

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