Giulia Mei non è solo quella di ‘Bandiera’ | Rolling Stone Italia
“Credo nella vita ma non pratico”

Giulia Mei non è solo quella di ‘Bandiera’

‘Io della musica non ci ho capito niente’ è il secondo album della cantautrice uscita da X Factor (e dal conservatorio, e si sente). E invece qualcosa ha capito, ad esempio a mescolare dolore e ironia, il canto di Rosa Balistreri e il pianoforte di Tori Amos

Giulia Mei non è solo quella di ‘Bandiera’

Giulia Mei

Foto: Agnese Carbone

Per far capire subito chi è, Giulia Mei si è presentata sul palco dell’ultima edizione di X Factor cantando Hey You dei Pink Floyd. Un pezzo devastante, che nella versione originale trasuda disperazione da ogni nota, ma nel suo arrangiamento trova una morbidezza che divide. Bandiera invece è il pezzo manifesto con cui è rimbalzata su tutti i social, uno di quelli capaci di ammiccare al grande pubblico senza snaturare un cantautorato popolare che richiama Rosa Balistreri, ma anche Mannarino, con tutta l’ironia di una ventenne cresciuta con il linguaggio di internet.

Abbiamo voluto incontrarla in occasione dell’uscita del secondo album Io della musica non ci ho capito niente. «Con questo titolo provocatorio ho voluto raccontare l’esigenza di decostruire un po’ la forma canzone e il modo di pensare alla musica, ho voluto creare in maniera più spontanea. Ho studiato tutta la vita musica in conservatorio, ma a volte tutto questo studio mi ha un po’ ingabbiato all’interno di strutture che mi allontanavano da quello che volevo dire veramente». Viene spesso associata ai grandi cantautori italiani come Gaber e Rino Gaetano, ma tra le sue ispirazioni cita Joan Baez, Carmen Consoli e Tori Amos. «Nel modo di suonare il piano devo molto a Tori Amos. Il pianoforte lo vedo come un filtro tra me e il mondo esterno, una sorta di protezione e lei sicuramente mi ha ispirata in questo. Di Rosa Balistreri amo il modo disperato di cantare, pieno di dolore e di amarezza, i suoi canti erano veramente dei moti di ribellione enormi. Mi piacciono anche Carmen Consoli e Cristina Donà».

Le sue canzoni sembrano appunti annotati sulle pagine di un diario, pensieri scritti di pancia. «Questo disco è proprio pensato come un diario. C’è una canzone che ho scritto in aereo anche se ho paura di volare perché quando c’è quell’esigenza là, non importa dove sei. È un diario dove racconto un po’ il mio interiore, la mia famiglia, la mia infanzia, il mio rapporto con questa città, col posto da dove vengo che è Palermo, insomma tutto il mio mondo».

Io della musica non ci ho capito niente è anche un lavoro che spiazza: tra un pezzo in siciliano e una ballata folk, appaiono all’improvviso un paio di tracce da club, che Giulia ha voluto inserire quasi per divertimento. «Mi sono avvicinata in particolare alla drum & bass e alla dubstep, ma anche alla techno, che vivo con una curiosità fanciullesca».

In Giulia si coglie tutto il carattere della città da cui proviene. «Palermo ha influito prima di tutto sulla mia formazione esistenziale, ha plasmato il mio modo di vivere, di camminare, di parlare, il modo di utilizzare le parole. Se fossi nata in un’altra città, la mia musica non sarebbe la stessa. C’è una parte di me che parla solo in palermitano e non saprei veramente tradurla in italiano».

I testi sono però tutt’altro che scritti sotto il sole di Palermo: partono sempre da sentimenti forti, di rabbia, delusione, ribellione, che Giulia lenisce scrivendo. La sua musica si inserisce in una scena pop contaminata sempre più dalla riscoperta del folk da parte di una nuova generazione di artisti che attinge dalle proprie radici, dai propri dialetti, dalle proprie regioni per restituire una versione contemporanea della musica popolare. La Niña, ma anche Daniela Pes o Massimo Silverio che cantano in lingue antiche e ormai sconosciute mixandole all’elettronica sperimentale sono solo alcuni degli artisti che rientrano in questa categoria.

«Daniela Pes è una cantautrice incredibile, mi sono ritrovata ad ascoltarla e a rimanere estasiata da quello che fa. Il cantautorato creato da donne è fortissimo oggi, secondo me c’è tantissima roba bellissima. Ho ascoltato anche il disco della Niña e ho trovato veramente la rabbia, la disperazione e la rivalsa di tutte le donne che sono state in silenzio per anni. Anche io in realtà ho un progetto folk alternativo, oltre a questo, ho un progetto in cui canto De André in siciliano».

Io della musica non ci ho capito niente è soprattutto un inno alla libertà espressiva, che non per forza deve portare al primo posto in classifica, ma a volte è semplicemente la scelta che ci permette di star bene in quello che facciamo. «In questo momento in cui tutti fanno trap e portano un certo messaggio, la musica sembra sempre la stessa. Sento che c’è una pochezza a livello armonico e di tematiche, data probabilmente da pressioni più commerciali, radiofoniche. La musica che faccio io è musica in sordina, ma sento che c’è intorno a me un gran risveglio, una grande rinascita, un’agitazione positiva per cui, chi sceglie di portare avanti la propria cifra, alla fine vince. Penso a Lucio Corsi, penso a tutta quella gente che ha detto no quando c’era da dire no, ha detto sì quando sentiva che quel sì era la cosa giusta da fare».

La saluto chiedendole qual è il pezzo a cui è più legata, in un disco che brano dopo brano rivela il racconto biografico della sua vita: «Io amo tutti i pezzi del disco, ma c’è una canzone che mi spezza, che sento veramente molto vicina a me in questo momento ed è Mio padre che non esiste. Non è il mio pezzo preferito, però è uno dei più catartici, quello in cui sono riuscita a mettere tutto il dolore che avevo in quel momento. Il testo racconta il dolore della malattia di mio padre che lo ha cambiato, lo ha fatto diventare un’altra persona e lo racconta nel migliore dei modi in cui potessi raccontarlo perché parlare di dolore non è facile. Ogni volta che l’ascolto riesco a ritrovare quel dolore, ed è bello, non è una cosa brutta, il dolore va accolto, in particolar modo quel testo mi ricorda l’amore che provo per lui».

Il lavoro di Giulia è anche un lavoro corale. Con gli archi di Rodrigo D’Erasmo, la voce di Anna Castiglia e la collaborazione con Mille, Io della musica non ci ho capito niente è un disco a più mani. «È un lavoro collettivo, il disco non lo fai da solo e bisogna sempre essere grato alle persone che ti accompagnano in queste cose perché sono preziosissime. Finché avrò vita ringrazierò tutte le persone che ci hanno lavorato».

Giulia Mei - Bandiera (Video)

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