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I Coldplay cantano l’amor che move il sole e l’altre stelle: la recensione di ‘Moon Music’

Pop d’ogni tipo, buoni sentimenti, pezzi ballabili su una pista grande quanto il creato, un viaggio “cosmico” per ritrovar sé stessi. Ecco com’è il sequel di ‘Music of the Spheres’

Foto: Kimberley Ross

I Coldplay torneranno alle origini o pubblicheranno altra fuffa commerciale? La domanda, che appariva in un thread di Reddit dedicato al decimo album del gruppo che uscirà il 4 ottobre, può sembrare bizzarra visto che fin dalle origini la band ha trasformato il sound dei Radiohead anni ’90 e degli U2 anni ’80 in soft rock svenevole. Ma qualche ragione ce l’hanno anche i “puristi” dei Coldplay. I fan di Clocks, Yellow o The Scientist devono essersi sentiti spaesati di fronte all’ultimo disco degli inglesi, Music of the Spheres, dove c’erano Selena Gomez, i BTS e il mago del pop Max Martin, e dove la band abbinava musiche patinate a testi “cosmici” sulla necessità di riconciliarsi con la propria umanità.

Si capisce fin dal titolo del disco, Moon Music, che i Coldplay non hanno alcuna intenzione di tornare sulla Terra, tant’è che l’album è di fatto il seguito di Music of the Spheres e contiene pezzi con titoli come Aeterna o Jupiter. È ambizioso come ve l’aspettate, musicalmente vario, emotivamente sconfinato. Diversamente da altri musicisti rock, pop o soul che si sono rifatti a temi “spaziali”, Chris Martin non s’immagina a bordo d’un razzo sparato verso la Via Lattea per fuggire da questo mondo infame. È la fuori, nello spazio profondo, per trovare sé stesso.

“C’era una volta in cui ho cercato di mettermi in riga ed essere più simile al cielo”, canta Martin nel pezzo che apre il disco e da cui l’album prende il titolo. È un vortice new page d’orchestrazioni che finiscono per risolversi in una parte pianistica in cui pare d’ascoltare Elton John che suona Erik Satie. “Cerco di confidare nel cielo e di confidare in un mondo pieno d’amore”.

Nel resto del disco si scoprirà che, sì, Martin può confidare nell’amore. Da Moon Music si passa al singolo electro-pop Feelslikeimfallinginlove. “Sento che mi sto innamorando, mi stai lanciando un’ancora di salvezza”, canta Chris prima di lanciarsi in un falsetto dalle proporzioni epiche alla Bono, un vero momento-Coldplay. La ricerca di un qualche forma di conforto non prevede alcuna compiacenza dal punto di vista musicale. Martin è sempre stato un turista del suono dal cuore d’oro. In We Pray ci sono la rapper Little Simz e il titano nigeriano dell’afrobeats Burna Boy, mentre in Good Feelings, che è un pezzo feel good tra Michael Jackson e i Maroon 5, c’è un’altra artista nigeriana, l’emergente Ayra Starr, con cui Martin si lancia in una danza la cui pista è grande quanto il creato.

Con Max Martin co-pilota assieme al cantante, l’album sbanda a destra e a manca come una navicella spaziale che deve schivare degli asteroidi. Si passa così dalla ballata acustica piena di gioia Jupiter, su una ragazza talmente lontana da prendere il nome dal pianeta, ad Alien Hits/Alien Radio, un pezzo in cui pare di sentire Brian Eno che fa Enya e che poi diventa una sorta di inno meditativo con tanto di campionamento di Maya Angelou, e fino a IAAM, che ricorda i Coldplay di un tempo e in cui Martin naviga in “un mare di dolore” e alla fine esclama “sono una montagna!”.

Moon Music contiene appena dieci canzoni, ma bastano e avanzano. Il punto è proprio questo: è un album pop-rock pensato come un viaggio sociale, psicologico, metafisico. Quando Chris Martin è venuto negli uffici di Rolling Stone per farcelo ascoltare, si è seduto per terra come se volesse ancorarsi a qualcosa per afferrare l’enormità della sua stessa creazione. “Un mondo, solo un mondo”, canta nei sette minuti di One World, la ballata utopica e sognante che chiude l’album. La vita è un filo più complicata di così. Ma urlate al cringe quanto vi pare. Martin sarà sempre il tipo seduto per terra che vorrebbe sfondare il soffitto, superare i propri limiti e scrivere nel cielo i suoi grandi sogni dozzinali.

Da Rolling Stone US.

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