L’agosto 1969 è stato un mese decisamente Creedence. Come tutti i mesi in quel periodo, del resto. I Creedence Clearwater Revival erano molto semplicemente la band più popolare d’America, autrice d’una serie di hit sfornate a un ritmo indiavolato. Il gruppo di John Fogerty ha pubblicato Green River nella prima settimana di agosto pochi mesi dopo il discone Bayou Country e un paio di mesi prima del capolavoro ottobrino Willy and the Poor Boys. La lista dei loro pezzi entrati nella Top 40 quell’anno comprende Proud Mary, Bad Moon Rising, Fortunate Son, Down on the Corner e Green River. Nel giro di due anni scarsi hanno tirato fuori cinque tra i migliori album rock di sempre: Bayou Country, Green River e Willy and the Poor Boys nel 1969, Cosmo’s Factory e Pendulum nel 1970. E quindi sì, nell’estate del 1969 i Creedence erano la band più popolare d’America. La cosa strana è lo sono anche nell’estate del 2024.
I Creedence Clearwater Revival sono un esempio magnificamente bizzarro di vecchia band che oggi è popolare senza che nessuno lo noti. Il loro greatest hits Chronicle è stabilmente nella classifica americana tra il 30esimo e il 40posto. Mentre scrivo queste righe è alla posizione numero 39, davanti al disco di Ariana Grande. Vanno meglio i Creedence dei Beatles, degli Stones, degli Zeppelin, dei Queen. Fa un certo effetto perché parliamo di una band priva di star power e culto della personalità, non c’è un Freddie Mercury e nemmeno una coppia alla Nicks-Buckingham, niente drammi né carisma, nessun biopic o spot pubblicitario con la loro musica. Sex appeal sotto lo zero. Solo quattro tizi anonimi con le loro camicie di flanella e le loro perfette guitar songs in cui cantano di… beh, di fiumi.
Delle tante storie di classic rocker famosi per sempre, la loro è basata solo ed esclusivamente sulle canzoni. Ho l’impressione che la metà delle persone che hanno comprato o ascoltato in streaming Chronicle questa settimana manco sappia il nome del leader della band o qualche altra informazione sui CCR. Ma è anche vero che solo i fan conoscono i nomi degli altri tre musicisti. Se sai distinguere Stu Cook da Doug Clifford vuol dire che sei Stu Cook oppure Doug Clifford. Non è una storia con un eroe, non c’è narrativa, non ci sono star. Nessuna storia d’amore, né di morte. Ci sono solo le canzoni.
È stato un paio d’anni fa, quando Running Up That Hill di Kate Bush ha fatto il botto a sorpresa, che ho cominciato a notare che la musica dei CCR era sorprendentemente popolare. Mentre il mondo celebrava il trionfo di Kate, Chronicle era nella top 50 degli album al pari dei dischi delle icone anni ’60 e ’70. Ma non era un revival perché 1) queste canzoni non se ne sono mai andate e 2) dietro non c’era niente. Nessun meme o balletto di TikTok. Niente colonna sonora di film o serie. I Creedence Clearwater avevano bisogno di un revival.
Stento a trovare qualcosa di simile. Bruce Springsteen non ha dischi altrettanto popolari e nemmeno i Pink Floyd, i Van Halen, i Beach Boys, gli Eagles. Ci sono band che sono brand e sono spinte da personalità sopra le righe o da drammoni. L’esempio più scontato è rappresentato dai Fleetwood Mac. Chi li ama conosce le vicende sentimentali che stanno dietro alle canzoni. Può prendere qualunque pezzo di Rumours e dire con esattezza chi sta rompendo con chi e sotto l’effetto di quale droga. Chronicle invece è un discone senza sesso, né tragedie. Sulle session di Green River non baseranno mai un film, un romanzo, un musical di Broadway.
Amare le vecchie leggende del rock vuol dire anche sentirsi parte dei loro conflitti: John contro Paul, Mick contro Keith, Waters contro Gilmour, Eddie contro Dave, gli Steely Dan contro… Cuervo Gold and fine Colombian. Ditemi che avete il coraggio di dire che non state con Brian Wilson o con Mike Love guardandomi dritto negli occhi. Coi CCR non accade. Se mai vi chiedessero di tirare fuori un aneddoto gustoso per un documentario tipo Behind the Music, sarebbe questo: «Hanno fatto un investimento sbagliato in un paradiso fiscale che si è rivelato una truffa, al che hanno perso il controllo dei diritti sulle loro canzoni… ehi, aspetta, dove scappi, non ho finito!». Vi interessano la parte modaiola, i vestiti? Flanella. Il glamour, i gossip, il pericolo? Altra flanella.
Non c’è nemmeno una canzone che tira tutte le altre. Ok, Proud Mary è probabilmente il loro pezzo più noto, ma è tipo la sesta o settima loro grande hit. Negli Stati Uniti non sono mai andati al numero uno, ma si sono fermati per cinque volte alla seconda posizione. Non so se è un record, ma è un fatterello perfetto per una band come i Creedence. I loro pezzi sono finiti in infinite colonne sonore (presente il Drugo che nel Grande Lebowski batte il pugno sul tetto dell’auto?), ma non hanno la canzone per eccellenza legata a un film.
La popolarità fenomenale dei CCR ha una sola possibile spiegazione. Molto semplicemente, la gente continua a innamorarsi di queste canzoni fregandosene di considerazioni demografiche, cliché, trend. È il tipo di popolarità che teoricamente manco dovrebbe esistere.
Tutti i Creedence di cui abbiamo bisogno sono nelle loro canzoni. Sono 65, di cui almeno 40 indiscutibilmente grandi. Erano orgogliosi d’essere un gruppo da 45 giri, eppure i loro album sono pieni di pezzi meno noti, ma brillantissimi. Ramble Tamble, il migliore, va avanti per sette minuti passando da un tono bucolico a uno apocalittico. Non l’ho mai sentito in radio. Prendete le 20 hit di Chronicle ed eliminatele dal catalogo dei CCR e avrete comunque la miglior band della loro epoca, tolti i Beatles e gli Stones.
Ma perché mai farlo? Se è il greatest hits più amato d’America è perché è il migliore e mostra i CCR incazzati (Fortunate Son), che mettono paura (Born on the Bayou), che gridano (Travelin’ Band), che sognano a occhi aperti (Long As I Can See the Light). Ci sono il lato hippie (Up Around the Bend) e quello cattivo (Run Through the Jungle), il country-rock (Green River) e il divertimento (Lookin’ Out My Back Door), e i tre secondi migliori di Fogerty, quando canta “yeeeeah” nell’ultimo ritornello di Have You Ever Seen the Rain. La mia preferita non è neanche una canzone che ha scritto lui, è la loro versione del classico di Marvin Gaye I Heard It Through the Grapevine. Non si curano nemmeno di riportare il testo con esattezza e la trasformano in una guitar jam con un groove libidinoso e sexy che cresce per 11 minuti. Ditemi un’altra canzone che suona bene quanto questa in estate, in auto, coi finestrini aperti… tolti gli altri pezzi di Chronicle.
Nei riff dei CCR ci sono il sole della California settentrionale e una band che suona con allegria, ma sono diversi dai gruppi hippie dell’epoca visto che il loro batterista non faceva schifo. Cook e Clifford erano una sezione ritmica mostruosa, la risposta americana a Wyman e Watts. L’album a cui sono più affezionato è Green River, anche se Cosmo’s Factory è oggettivamente meglio. Sinister Purpose è un blues malvagio in cui Fogerty ringhia: “Brucia la bontà, restiamo solo io e te” (la facevano anche i Pavement, una delle tante band indie che hanno venerato i CCR). Tombstone Shadow ha l’assolo mononota più spettrale della storia dopo Cinnamon Girl. E alla fine arriva il lamento Wrote a Song for Everyone (“when I couldn’t even talk to you”), ma non è un vanto, Fogerty si sta sottostimando: ha davvero scritto non una, ma decine di canzoni per tutti quanti.
John Fogerty se n’è sempre fregato della grande macchina che produce le star. Era un tizio dalla periferia dalla Bay Area che trasformava le sue fantasie rock’n’roll in grandi miti americani. Ha scritto Born on the Bayou senza mai mettere piede in un bayou in vita sua. Ha inventato accenti locali che nessuno usava nella vita reale. È stato alla larga dal culto della personalità. Nella versione di Tina Turner Proud Mary diventa una pagina di storia americana, lo scontro tra passato e presente, rurale e urbano, misoginia e razzismo e rabbia di classe, un riassunto della memoria culturale della nazione. Quando la canta Fogerty, è su un tizio a cui piacciono le barche.
Ma, ironia della sorte, ci sono dei drammi anche nella storia dei Creedence, nel caso interessasse a qualcuno. Ci sono due fratelli che si odiano. I due, dopo che il maggiore Tom Fogerty ha lasciato la band, non si sono riconciliati, nemmeno prima della sua morte. John è stato una delle pochissime rockstar a essere arruolato nell’epoca del Vietnam. Ha servito nell’esercito ed è tornato dopo un anno miserabile per lottare nella scena delle bar band della Bay Area. Nessuno dei suoi coetanei poteva vantarsi di avere affrontato qualcosa del genere, ma era una carta che lui si rifiutava di giocare, anche quando protestava contro la guerra in Fortunate Son.
C’è anche l’incredibile causa intentata dopo il suo successo da solista del 1985 con The Old Man Down the Road. Siccome era in uno stile parecchio simile ai Creedence la sua ex etichetta lo portò in tribunale, rendendolo l’unico rocker della storia a essere citato in giudizio per aver plagiato sé stesso. È andato al banco dei testimoni con la chitarra per dimostrare alla giuria perché le sue canzoni suonavano alla John Fogerty.
Sono grandi storie, ma le conoscono solo i fan, anche perché a Fogerty non è mai interessato parlare di sé stesso. Dopo la fine dei CCR non mai smesso di prendersela con gli ex compagni per la gestione del business della band, ma la cosa non interessava a nessuno. Il suo memoir del 2015 è a malapena leggibile. Anche nel periodo in cui erano al top, le interviste del gruppo non erano altro che banali lamentele sul fatto di non venivano presi abbastanza sul serio. Come ha detto una volta Cook a Rolling Stone, «la gente conosce la nostra musica, ma non sa cosa pensiamo».
È ancora così, ma la cosa non ha mai danneggiato la musica. E se c’è una hit che riassume il genio populista di Fogerty, quella è Travelin’ Band, ovvero Huey “Piano” Smith suonato alla velocità dei Ramones, l’anello di congiunzione tra la Crescent City e il CBGB (una volta l’ho sentita suonare dai Bon Jovi, con Sebastian Bach, e Lainey Wilson ne ha fatto quest’anno una bella versione country).
Fortunate Son e Don’t Look Now sono due dei più feroci rock politici, li si sente su Willy nel giro di meno di cinque minuti e parlano di privilegi di classe in modo preveggente. Fogerty è stato il primo cantante a sbeffeggiare Reagan (“Ronnie the Populist”), lamentandosi degli attori alla Casa Bianca. Ha intravisto il futuro del fascismo americano più chiaramente di qualunque hippie moralista. It’s Just a Thought è una meditazione dolceamara sulla crescita, scritta a soli 25 anni. Anche la tanto criticata Sailor’s Lament è una fan-fiction dei Dead: è Uncle John Fogerty’s Band, il Workingmans Dead del workingman (o come lo definisce brillantemente il mio editore Jon Dolan, proto-yacht).
I CCR sono sempre stati una band amata da tutti. Il loro populismo parlava ai ribelli punk, dalle Sleater-Kinney (Fortunate Son) ai Clash (ascoltate London Calling dopo Walk on the Water) fino ai Minutemen, che hanno avuto le palle di usare Don’t Look Now contro la farsa reaganiana del 1984. Mike Watt ha messo nel primo disco dei Firehose un autografo del suo eroe: “A Mike. Keep on keepin’ on”. Si potrebbe fare una grande playlist con le imitazioni dei CCR: Long Cool Woman (In a Black Dress) degli Hollies, la versione di September Song di Lou Reed, Stick It Where the Sun Don’t Shine di Nick Lowe. La migliore resta Harness Your Hopes dei Pavement, un lato B anni ’90 che nessuno ha filato per vent’anni, finché non ci si è improvvisamente accorti che era un classico perduto.
A distanza di tanti anni, è ancora uno shock sapere che i Creedence hanno fatto così tante canzoni leggendarie nell’arco di due soli incredibili anni. Ma è uno shock ancora più grande il modo in cui questi pezzi reggono oggi. Chronicle non ha mai superato il numero 18 in classifica, eppure è lì ogni settimana. Nessun altro gruppo che basa il proprio appeal solo ed esclusivamente sulla musica è stato altrettanto popolare per così tanto tempo. Queste canzoni rimangono, come rimane il loro più famoso fan immaginario, il Drugo. I Creedence saranno un successo nel settembre del 2024, proprio come lo erano nel settembre del 1969. Queste canzoni continueranno a girare, finché come dice la canzone la grande ruota continuerà a girare.
Da Rolling Stone US.