I Foo Fighters si stanno appropriando dell’immaginario delle piccole band che girano l’America a bordo di un van scassato? Ieri la band di Dave Grohl ha annunciato un nuovo giro di concerti. Si chiama Van Tour, serve per festeggiare i 25 anni di attività e si riallaccia idealmente alla tournée che il gruppo fece nel 1995. L’idea è toccare le stesse città. Nel frattempo i Foo Fighters sono diventati enormi e perciò i concerti si terranno in grandi palazzetti come la Talking Stick Resort Arena di Phoenix, Arizona che ospita solitamente partite di basket e hockey o la Rocket Mortgage Fieldhouse di Cleveland, Ohio che è il luogo più grande in cui si giocano le partite della NBA, con oltre 19 mila posti a sedere. A dispetto del nome 2020 Van Tour, non sono i tipici posti dove suona un gruppo che gira l’America a bordo di un furgone.
L’idea dietro all’operazione è un ritorno simbolico alle radici. E così, laddove possibile, i concerti nei palazzetti saranno affiancati da esibizioni nei club toccati nel 1995, o così ha fatto intendere un tweet del gruppo di ieri. Non solo. Gli show dei Foos saranno accompagnati dalla proiezione di What Drives Us. Si tratta di un documentario in cui Dave Grohl cerca di capire perché i musicisti scelgano una vita di sacrifici, stando per gran parte dell’anno lontani da amici e famiglie, viaggiando spesso stipati in un piccolo van, vivendo male in nome della musica. E fa rispondere a gente che l’ha fatto e che ha suonato in Black Flag, Dead Kennedys, Metallica, Beatles, tutti musicisti partiti dal basso come del resto lo stesso Grohl, che prima di far parte dei Nirvana girava l’America e l’Europa con gli Scream, esibendosi non nei palasport, ma nei centri sociali.
Subito dopo l’annuncio del tour, sul cui poster c’è un bel van rosso che è un po’ il simbolo dell’operazione, il cantautore americano Ryley Walker se l’è presa via tweet con Grohl. “Non lasciamo che una manica di ricchi stronzi che suonano al Super Bowl coopti la vita delle band che vanno in tour coi van. Sti tizi hanno bazzicato i bassifondi per tipo due settimane trent’anni fa, per poi passare agli aerei privati. E che cazzo, ho appena portato 35 chili di merchandise in giro per l’Europa in treno. Ecco il mio furgone, figlio di puttana”.
Stop letting rich asshholes who play the fucking super bowl co-opt tour van life. These dudes maybe slummed it for like 2 weeks before they had private planes- 30 years ago.. Bitch I just drug 80 lbs of merch around Europe on the train. That’s my van mother fuck. pic.twitter.com/U4hABbHntI
— Ryley walker (@ryleywalker) February 18, 2020
Non pago, Walker ha rincarato la dose in un altro tweet, riferendosi al fatto che i musicisti squattrinati, quando sono in tour, non alloggiano in hotel a cinque stelle, ma cercano sistemazioni di fortuna e dormono spesso nelle case di chi si offre d’ospitarli: “Ehi Dave Grohl, ho un divano su cui puoi dormire, scemo”.
Hey dave grohl- I got a couch you can crash on. You dingus.
— Ryley walker (@ryleywalker) February 18, 2020
Immagino che i Foo Fighters viaggeranno nel comfort che possono permettersi dopo 25 anni di carriera, 12 milioni di copie vendute solo negli Stati Uniti, centinaia di concerti in tutto il mondo. Sì, sono milionari che giocano con l’immaginario evocato dal libro di Henry Rollins sui giorni on the road con i Black Flag, Get in the Van, e con le storie raccontate da Michael Azerrad in Our Band Could Be Your Life, due fra i libri fondamentali che hanno definito lo stile di vita rock underground. Ma può darsi che l’operazione tour + film faccia capire a un vasto pubblico che anche dietro a storie di successo ci sono stati fatica e sacrifici, che si trasformino insomma una celebrazione di un aspetto della vita rock poco noto.
Ma al netto del tono rancoroso e della sensazione d’essere preso in giro, i tweet di Ryley Walker dicono una cosa vera: il rock rischia di essere tanta narrazione e poca sostanza. Meglio i Led Zeppelin che posavano davanti al Boeing 720 preso in affitto e brandizzato per i tour americani o i Foo Fighters che evocano gli spostamenti sui furgoncini e i concerti nei piccoli club, ma poi viaggiano in aereo e suonano nei palasport? È il paradosso di questi tempi: più il rock suonato è minoritario nel mainstream e più il suo immaginario diventa popolare, coi grandi magazzini che vendono merchandise dei gruppi metal e modelle che indossano t-shirt dei Ramones. Il divario fra realtà e rappresentazione si allarga e il rock corre il rischio di diventare un accessorio.