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I Limp Bizkit tra strip club e ricerca della credibilità: la prima intervista di Rolling Stone

È il 1999 e la band di Fred Durst si sta affermando come nuovo grande fenomeno. Un reporter li segue in un night con i Korn e in una festa di MTV con Carmen Electra per capire chi sono davvero: un mucchio di bianchi misogini o musicisti pronti a diventare adulti?

Foto: Kevin Mazur/Wireimage/Getty Images

«Chi vuole parlarmi?». Fred Durst guarda il cellulare con sospetto. «Adam Sandler?» Il leader dei Limp Bizkit ha chiacchierato col produttore Rick Rubin, suo amico, e ora pensa che lo stiano prendendo per il culo.

«Oh, ehm, Adam… ehi, come stai?», dice Durst. «Cosa? No non lecco culi!… Oh, spacchiamo culi… grazie, amico! Sì, lo so… Siamo della Florida, Jacksonville, la parte più merdosa».

Adam Sandler vuole un brano dei Limp Bizkit per il suo nuovo film Big Daddy. Durst lo ha già visto: «A un certo punto stavo per piangere, lo giuro».

Vedere Fred Durst che parla di Hollywood è strano quanto il Rolex Submariner da 8000 dollari che pende dal suo avambraccio coperto di tatuaggi (Durst ha regalato un orologio simile alla madre per la festa della mamma) o quanto i Limp Bizkit che mangiano in un costoso ristorante cinese di San Francisco dove i ricchi osservano le foto di ex clienti come Sammy Davis Jr. e George Bush. Ok, ma dove si collocano esattamente i Limp Bizkit?

I Limp Bizkit sono i figliastri del rock, la combo rude e rozza che gli ascoltatori più esigenti amano odiare. Il parafulmine di gran parte dell’ostilità è Fred Durst, un metro e 65 centimetri di white trash, con un pizzetto scompigliato, occhi azzurri e una grande bellicosità. È il tipo di faccia che potete vedere al Jerry Springer Show mentre viene rimproverato dalle madri dei bambini, o in Cops, mentre si fa arrestare per strada. È ancora un po’ scioccante vedere un tale ceffo su MTV, ma è lì che il formidabile numero fan di Durst lo ha messo. E non sembra che si voglia spostare.

Fin dal loro primo singolo di successo, la dissacrante versione di Faith di George Michael dello scorso anno, i Limp Bizkit sono stati visti come l’incarnazione vivente della virilità americana post-adolescenziale, tra ettolitri di birra e danni cerebrali, in altre parole un’accoppiata perfetta per un film di Adam Sandler.

Essere un paria populista ha i suoi vantaggi. Domani i Bizkit – ovvero Durst, il chitarrista Wes Borland, il batterista John Otto, il bassista Sam Rivers e DJ Lethal – assisteranno a un’anteprima speciale della Minaccia fantasma allo Skywalker Ranch di George Lucas, nella contea di Marin, e Fred Durst sta facendo arrivare la sua nuova ragazza da Los Angeles per il loro primo vero appuntamento. «Non riesco a capire tutte queste cose», dice guardando il buffet di cibo cantonese davanti a sé. «Un anno fa chiedevamo un sacchetto di Doritos in più per il nostro backstage, e ora…», dice guardando la vista panoramica del tramonto di San Francisco scuotendo la testa meravigliato.

Il secondo album dei Limp Bizkit, Significant Other, dovrebbe superare il milione e mezzo di copie vendute da Three Dollar Bill Y’Alls, il debutto, avendo venduto 635 mila copie solo nella prima settimana. Le recensioni sono buone, il tour estivo ha fatto il tutto esaurito e MTV, quando non trasmette il singolo Nookie, parla dei casini che i Bizkit stanno causando nelle principali città della nazione. In qualche modo, tra Dollar Bill e il nuovo album, i Limp Bizkit sono riusciti ad alzare il tiro come i Beastie Boys tra Licensed to Ill e Paul’s Boutique.

Per aumentare l’entusiasmo della band, il cantante dei Korn Jonathan Davis è arrivato a San Francisco per la presentazione della Minaccia fantasma. Sono stati i Korn a tirare i Limp Bizkit fuori dalla Florida, portandoli in giro più volte e fornendo loro agganci nel mondo della musica. Questo legame ha spesso portato i Bizkit a paragoni spiacevoli con i Korn, ma Davis pensa che tutto questo sia il passato. Ora che ha ascoltato Significant Other, vede i Limp Bizkit come pari, non come dei cuginetti sfigati. «Con questo album hanno veramente stabilito chi sono i Limp Bizkit», dice. «Siamo dei genitori orgogliosi», aggiunge con un ampio sorriso.

Davis si offre di portare i suoi figliocci all’O’Farrell Theater, uno strip club di San Francisco di fama nazionale. Accetta solo Durst senza rimarne deluso. Le belle in mostra nelle numerose stanze del club lo fanno rimanere con gli occhi vitrei. Chiede a una ragazza: «Ti piace leccare la fica?». Il manager di Durst gli presta 60 dollari per una lap dance privata. «La ragazza ha detto: “Ti ho visto su MTV oggi”», racconta Durst. «E io ho risposto: “Esatto, sono uno dei Backstreet Boys”».

Davis dà a Durst una rapida lezione di come funziona in uno strip club: mette sul tavolo una mazzetta da 20 e lascia che le signore vengano da lui. Non guasta il fatto che Got the Life dei Korn venga trasmessa dall’impianto di diffusione.

Se c’è una cosa che potrebbe ostacolare l’ascesa dei Limp Bizkit è la scarsa immagine della band tra le ascoltatrici. «Penso che le donne sentiranno il nuovo disco più del primo», dice Durst. «Prima non ci pensavo affatto».

Durst non ha intenzione di rinunciare alle sue amicizie con leggendari dongiovanni come Tommy Lee e Pauly Shore, né di scusarsi per il suo cameo nel film porno Bachstage Sluts #2, ma è disposto a spiegare il suo passo falso più misogino. Stiamo parlando di Stuck, una filippica di Dollar Bill che ha fatto guadagnare ai Bizkit la reputazione di band non politicamente scorretta, ma politicamente insensata.

«Ero arrabbiato con la mia ragazza e ho lasciato che tutto questo si accumulasse», spiega Durst. «Se solo aveste sentito come mi ha chiamato… Capisco che due torti non fanno una ragione. Ho reagito, non ho pensato alle conseguenze. Ho imparato la lezione. Ora rifletto e poi rispondo. E quando qualcuno critica i miei testi, ci rifletto. Sono stato un cazzone? Un omofobo? Un maschilista? No, ma torno indietro per accertarmene».

Il nuovo singolo, Nookie, è un’altra sfuriata con la ex fidanzata, ma il suo ritornello “Attaccati al…” è mitigato dal mantra masochista “Come un idiota, un idiota”. Durst ha scritto questa hit schizofonica quando ha scoperto la verità su una sua relazione: «Pensavo fosse una brava ragazza che lavorava in un negozio di animali. Poi ho scoperto che andava a letto coi miei amici».

Re-Arranged riprende uno dei temi centrali della vita di Durst. «Si tratta di non avere dalla propria alcun sostegno», dice. «Sono uno stacanovista e ho bisogno di approvazione e rassicurazione. Il mio cervello non si ferma mai: è un problema serio. Penso a me stesso per addormentarmi e mi sveglio prima del mio manager, chiamo l’ufficio finché non rispondono. Devo sapere tutto».

«Nella mia vita non c’è altro che il lavoro, ho bisogno di fare un passo indietro e sentire il profumo delle rose. Perché credo che le rose stiano iniziando a fiorire».

Durst pensa ad Adriana, la figlia che ha avuto a 19 anni. La bambina, che ora ha 9 anni, viene cresciuta in Florida dalla madre, che si è separata da Durst prima che la bambina nascesse. Durst ne capisce il motivo. «Stavo inseguendo i miei sogni e c’è voluto del tempo per far sì che ciò accadesse, per ottenere del tempo libero». Anche se ora è in grado di sostenere finanziariamente la figlia, l’investimento emotivo è al di là della sua portata. «Non sono riuscito a dedicare molto tempo al rapporto padre-figlia», ammette con rammarico. Poi si illumina. «Penso che quando sarà un po’ più grande riusciremo a legare».

Sebbene Durst si sia definito un secchione, i suoi sforzi scolastici sono stati offuscati dai sogni di successo nel rap o nello skateboard. Ha provato a studiare arte al Gaston College, ma ha abbandonato la scuola dopo quattro giorni. Al verde e accampato sui divani degli amici, si è fatto un esame di coscienza. «Ero un perdente del cazzo. Ho pensato: mio padre non mi sopporta, andrò in Marina e sarà orgoglioso di me».

Durst trascorre così 18 mesi in Marina «distruggendosi l’anima» prima di ferirsi a un polso sullo skate e ottenere un congedo per motivi medici. Ha poi lavorato in uno skate park a Charlotte, Carolina del Nord, e seguito i genitori a Jacksonville, Florida. Lì ha lavorato nell’azienda di giardinaggio avviata dal padre, un capo della narcotici in pensione.

A 21 anni, però, desiderava ancora il tipo di approvazione che aveva ottenuto ai talent show del liceo, dove aveva vinto dei premi con la breakdance in una performance in cui ballava con una giacca di Michael Jackson.

La prima volta che ascolta l’hip hop è grazie i compagni di classe della sua scuola elementare a maggioranza nera a Gastonia, North Carolina, che gli fanno ascoltare le cassette dei programmi radiofonici di New York. «Nel 1980 ascoltavo i Cold Crush Brothers, Grandmaster Caz, Treacherous Three!». Durst si meraviglia, «sono stato fortunato a essere nato nel 1970».

Al liceo, l’ossessione di Durst per l’hip hop gli ha permesso di avere un’identità più fluida di quella della maggior parte degli studenti. «C’era il gruppo degli atleti, quello dei redneck incazzati e quello dei ragazzi neri», racconta. «Io facevo parte di tutte e tre, in un modo strano». Nonostante questo l’intolleranza per i coetanei resta forte. «Fino a quando non sono usciti i Beastie Boys, mi chiamavano “amante dei negri”. Voglio dire, non potevo andare alle feste, mi avrebbero aggredito. Per questo imparato a combattere bene».

La saga hip hop di Fred Durst chiude il cerchio con il brano di N2 Gether Now, contenuto in Significant Other, in cui incrocia le spade laser con uno dei veri cavalieri Jedi del rap, il guerriero del Wu-Tang Method Man. Durst vede il duetto con Method Man come un’occasione per ottenere un altro tipo di approvazione. «Non voglio che il mondo dell’hip hop compri il mio disco», dice in un raro slancio di umiltà. «Voglio solo che dicano: “Ehi, almeno sappiamo che quel tipo fa sul serio”».

All’inizio degli anni ’90 le ambizioni musicali di Durst lo portano a cercare di conciliare il suo amore per l’hip hop con la musica rock che aveva sempre fatto parte del suo background. Nel 1994, dopo aver passato in rassegna «un fottio di musicisti», cannibalizza le band locali per creare la prima formazione dei Bizkit. Nel suo lavoro diurno, quello di tatuatore, Durst si imbatte nei Korn in tournée in Florida. Dopo aver tatuato la band, invia ai Korn una cassetta demo e la band inizia a far girare la voce. Quello è un momento cruciale nella carriera dei Limp Bizkit e un trionfo assoluto dell’ambizione sul talento.

«Fred ci disse che tatuava da anni», racconta Davis dei Korn. «Ma si è scoperto che quello era il suo terzo tatuaggio! Ha fatto un tatuaggio dei Korn sulla schiena del chitarrista, Head, e sembrava ci fosse scritto Horn».

La madre di Fred Durst lavora come segretaria in una chiesa luterana in Florida. «Credo in Dio e prego molto», dice Durst mentre entra in un negozio Gap di Haight Street a San Francisco. «Ma so anche che dico parolacce e che ho fatto sesso extraconiugale». D’altra parte, anche questo non devoto sa riconoscere la strada per Damasco quando la percorre.

La strada in questione è la Interstate 10, appena fuori Van Horn, Texas. Era il 1996 e i membri dei Limp Bizkit si stavano recando a Los Angeles a bordo di un furgone Ford bianco. Intorno alle 5 del mattino l’autista della band si addormenta brevemente e, svegliatosi in preda al panico, finisce per ribaltare il veicolo una mezza dozzina di volte. Miracolosamente, nessuno muore.

Quando Durst supera lo shock per essersi rotto entrambi i piedi e per aver visto i compagni di band strisciare insanguinati fuori dai rottami, ecco la rivelazione. All’improvviso pensa: «Questa è la mia occasione, la prendo come un segno del karma». La band stava per realizzare il suo primo disco, ma qualcosa non quadra. «È stato un po’ come se fosse stato Dio a rovesciare il furgone», racconta Durst, che aveva appena sostituito il membro originario Wes Borland con due nuovi chitarristi. «L’abbiamo preso come un segno per far tornare Wes e ricominciare tutto da capo».

Durst decide così che i Limp Bizkit hanno firmato con l’etichetta discografica sbagliata e chiede al suo amico Jordan Schur di intervenire. L’etichetta indipendente di Schur, la Flip Records, era stata la prima azienda a corteggiare i Limp Bizkit; aveva definito il gruppo «una certezza» e aveva investito 50 mila dollari nella band. Questo aveva così scatenato una guerra di offerte e la band era finita in una anonima sottoetichetta della MCA.

Uno più stronzo avrebbe riso dei Limp Bizkit per aver fatto una cazzata del genere, ma non Schur. «Sono cose che succedono», dice. Schur ha rilevato i contratti discografici e di management della band per 175 mila dollari e ha finanziato mesi di date dal vivo, spesso davanti a un pubblico ostile o apatico. Molte band implodono in queste condizioni, ma la determinazione dei Bizkit era troppo forte: durante l’OzzFest del 1998, i Bizkit si rivolsero ai loro detrattori entrando sul palco attraverso un enorme gabinetto. «Tutti dicevano: “I Limp Bizkit sono una merda”», sogghigna Durst, «Così abbiamo detto: “Ok, saremo una merda. Faremo un cesso gigantesco e ne usciremo come cinque stronzi”. Abbiamo attirato la loro attenzione. Hanno guardato lo show e poi subito a comprare i nostri dischi. Ogni tanto bisogna fare certe cose».

Lo scorso marzo la casa discografica dei Limp Bizkit ha compiuto l’insolito passo di pagare 5000 dollari a una stazione radiofonica dell’Oregon per trasmettere la musica della band. Lo stratagemma ha fatto notizia a livello nazionale, ma Fred Durst è troppo pragmatico per preoccuparsi di eventuali danni alla sua credibilità faticosamente conquistata. «Ho pensato che fosse una mossa intelligente», dice con un tintinnio sprezzante del Rolex.

Anche se i Limp Bizkit hanno superato tante avversità, la ricerca di Durst di approvazione continua. Dirigere i propri video (Faith e Nookie), chiacchierare con artisti del calibro di Adam Sandler e cercare di ottenere un contratto multimilionario con la propria etichetta sono per lui solo l’inizio. Al momento sta acquistando un trattamento cinematografico che descrive come The Breakfast Club che incontra The Game.

«Voglio essere l’unico musicista che mette pensieri veri e originali nella musica e nei film che hanno un grande impatto a livello globale. Voglio farlo a un livello enorme. Posso fare centro in entrambi i mondi, davvero. È lì che voglio arrivare: voglio essere Freddie Ford Coppola».

Un convoglio di limousine nere serpeggia per le strade di Marin County sotto il sole cocente di mezzogiorno. I veicoli si dirigono verso il cuore dello Skywalker Ranch di George Lucas, dove le troupe di MTV sono in attesa.

La prima auto porta con sé DJ Lethal e la sua ragazza, oltre a Fred Durst e alla sua dolce metà: nientemeno che Carmen Electra, ex pupilla di Prince, conduttrice di MTV e moglie presunta del bizzarro giocatore di basket Dennis Rodman (nonché un tempo consorte di Tommy Lee). Il fascino di Electra è accentuato da un maglione rosa aderente.

Il giudizio di Fred Durst in campo amoroso è ancora, a quanto pare, poco sofisticato. Non è che il cantante sia un improbabile compagno per una tale dea, è solo che l’ultima ex ragazza di Durst è una coordinatrice di eventi di MTV che in questo momento ha un’espressione davvero incazzata (e, guarda caso, un maglione rosa). Schur si precipita da lei e la tranquillizza mentre Durst si infila tra la gente.

Un tizio piccolo e pallido con un cappellino da baseball messo al contrario saluta Durst con un «come va?». «Il solito amico, spaccando e scopando», risponde Durst. L’amico in questione è Justin Jeffre dei 98 Degrees. I Limp Bizkit sono nemici giurati di tutte le boy band, ma è difficile portare questo tipo di rettitudine nel mondo reale. Soprattutto quando la tua società di management ha appena aggiunto i Backstreet Boys al suo roster.

Le giovani celebrità riunite si aggirano sul prato del centro fitness di Skywalker, stringendo le loro borse della Minaccia fantasma e fornendo doverosamente a MTV le proprie idee. Durst si mescola con Katie Holmes, tutti e tre gli Hanson, Alyssa Milano e il ragazzo dei Third Eye Blind; a rappresentare il lato oscuro della forza dello showbiz ci sono Ozzy Osbourne, Rob Zombie e Andy Dick.

Il contingente hollywoodiano è vestito con gli stracci più alla moda che Melrose Avenue possa offrire. Ancora una volta i Limp Bizkit non si adattano alla situazione. Il loro senso della moda rimane decisamente differente e, ad eccezione di DJ Lethal, uomo tutto Puma, sfoggiano le Adidas che i Beastie Boys hanno abbandonato cinque anni fa. «Siamo i brutti anatroccoli del gruppo», dice Sam Rivers.

Wes Borland, appassionato di Guerre stellari, torna dalla visita di routine alla casa principale dello Skywalker Ranch. È ora di avviarsi verso a casa. Fred Durst però, senza preavviso, ha riportato Carmen Electra a San Francisco in una delle auto della band. C’è solo un posto libero nell’altra limousine (con tanto di champagne in ghiaccio), il che significa che un individuo dovrà viaggiare 40 minuti con un po’ di disagio durante il viaggio di ritorno in città.

John Otto non ha intenzione di accettare. «Non mi infilo lì!», sbraita il batterista con tutta la furia che ha in corpo. «È uno schifo, farò il culo a tutti! Sono stufo di questa merda!». A quanto pare, qualsiasi discorso sulla maturazione dei Limp Bizkit è un po’ prematuro.

Wes Borland è il prossimo a esplodere, definendo l’evento «una stronzata da leccapiedi». Schur la prende sul personale: è tutto il giorno che Borland lo tormenta perché usa troppo il cellulare. Così Schur prende il chitarrista da parte e lo rimprovera e si offre poi volontario per organizzare il proprio trasporto.

Un’ora dopo l’uscita dei Limp Bizkit dallo Skywalker Ranch, non c’è ancora traccia del taxi di Schur. Chiede a Tori Spelling un passaggio sulla sua auto semivuota, ma la star di Beverly Hills 90210 rifiuta. È una scena tragicomica che sarebbe perfetta per il presunto home video «selvaggio» e «onesto» dei Limp Bizkit che uscirà in autunno. Volete sapere il titolo? Poop.

Da Rolling Stone US.

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