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I Litfiba, i Diaframma e i giorni dell’I.R.A.

Il racconto del periodo in cui la band di Piero Pelù e Ghigo Renzulli registrava il primo album e il rock italiano risciacquava i panni in Arno. Un estratto dal libro ‘Eroi nel vento. Quarant’anni di Desaparecido dei Litfiba’ che uscirà domani

Foto: Luciano Viti/Getty Images

«Signora, si sieda e parliamo un momento».
«Mi dica, professore».
«Il bambino mi ha detto tutto, siamo al corrente della vostra situazione familiare».
«Ma a cosa si riferisce? Non capisco…».
«Signora, abbiamo chiesto alla scolaresca, a ogni bambino, che lavoro fanno i genitori».
«E quindi?».
«Beh, il vostro ci ha preoccupato: ha detto che ogni sera il papà scende in cantina».

Mai come quella mattina Alberto è sorridente. Il sole è luminoso, il Lungarno risplende, il produttore dei Litfiba si gode il sigaro passeggiando verso Via De’ Bardi. Mano sinistra in tasca, cappotto aperto, passo lento che ha arginato il pensiero fisso che dopo la fine delle registrazioni, oramai agli sgoccioli, ci sarà da rimboccarsi le maniche più che mai.

Meglio sorridere ripensando al racconto di sua moglie al ritorno dai colloqui: «Un giorno Marie andò ai colloqui di mio figlio che all’epoca faceva la prima elementare. Il professore era piuttosto preoccupato e le disse: “Siamo al corrente della vostra particolare situazione familiare”. Marie era stranita, non riusciva a capire, così l’insegnante si spiegò: avevano chiesto al bambino che lavoro facessero i genitori, e lui aveva detto che ogni sera il papà scendeva in cantina. A scuola pensavano fossimo degli alcolisti!».

Anche Alberto Pirelli, soprattutto Alberto Pirelli, come tutti coloro che gravitano nell’orbita Litfiba, scende sempre in cantina. È il produttore. Come tale assiste il gruppo, lo pungola per migliorare, lo dirige in modo inflessibile, essendo alla guida di un’etichetta indipendente svincolata dal dominio delle major, con poche deleghe esterne e limitati capitali da investire. I Litfiba sono un treno in corsa, gli unici stop sono le sedute ai G.A.S. per il disco. La band lo attende, il pubblico lo brama, la critica lo aspetta al varco, Pirelli ha predisposto le condizioni per partorirlo, finalmente, con la sua neonata casa discografica.

Alberto sa bene che i Litfiba un titolo all’attivo di fatto lo hanno, quell’Eneide alla quale lui stesso aveva partecipato in studio, di notte, scappando all’alba a prendere i cornetti col Maroccolo. Ma sa anche che serve un disco fatto e finito: i Litfiba hanno chance per una affermazione su vasta scala, più dei Diaframma con cui alla fine del 1984 la sua etichetta ha pubblicato Siberia. Insomma urge il primo, vero, necessario biglietto da visita: le canzoni definitive, il documento sonoro. Uscirà con la struttura che da un anno sta coordinando l’attività del gruppo: si chiama I.R.A.

Alberto ha incontrato i Litfiba in G.A.S. nel 1983 e li ha seguiti, anche se non erano proprio la sua cup of tea. Egli era infatti un cultore di jazz, amante di Jimi Hendrix poi apertosi alla musica contemporanea, alla body art, all’arte concettuale, alle sperimentazioni. Con la troupe Aleph aveva realizzato dei servizi per Mixer, il rotocalco di Giovanni Minoli su Rai 2, intervistando personalità come Sun Ra, Ravi Shankar, Fela Kuti, Charlemagne Palestine. Nel 1979 aveva prodotto Lago di Vico (m. 507) di Loy & Altomare, tre anni dopo sarebbe diventato loro socio in G.A.S. Osservata la crescita dei Litfiba, approvata la loro scelta di cantare in italiano, Alberto e la moglie Anne Marie Parrocel vogliono sopperire alle lacune della G.A.S.: pensando ai Litfiba e alla wave cittadina, dai Moda ai sempre più lanciati Diaframma, immaginano qualcosa di più di una semplice casa discografica, ovvero una realtà che si occupi di produzione, distribuzione, management, edizioni, booking. Come dieci anni prima era accaduto con quella che è considerata l’etichetta indipendente italiana per antonomasia, la Cramps di Gianni Sassi, nata principalmente per gli Area, I.R.A. si mette in moto certa del talento e delle possibilità dei Litfiba.

Operare in regime indipendente in un’epoca d’oro per l’industria del disco non significa solo situarsi in un mercato di nicchia, ma anche prendere una posizione in campo artistico. Significa prediligere l’autenticità rispetto al consenso, la cura dell’artista rispetto all’esposizione indiscriminata. Osservando i principali dischi ultramilionari a partire dall’anno del punk, tra i titoli che trionfano ai piani alti delle classifiche spiccano le colonne sonore di Saturday Night Fever e Grease, oppure Rumours, Breakfast In America, The Long Run, The Wall. E che dire del primo scorcio di anni ’80, con gli irraggiungibili Thriller, Back In Black, Synchronicity, Born In The USA e Purple Rain. Vista la mole di copie vendute in tutto il mondo, questi bestseller stellari non sono semplici contenitori di canzoni: sono un prodotto culturale che orienta gusti, scelte, abitudini, costumi. E questo accade anche in Italia, benché la prima metà degli anni ’80 sia un periodo di crisi del disco, tuttavia la progressiva diffusione del nuovo supporto compact disc dal 1983, e anche la crescita della cultura video con l’avvento di DeeJay Television di Claudio Cecchetto su Canale 5 e poco dopo di VideoMusic, rappresentano novità rilevanti per il mercato. Ne sono al corrente etichette indipendenti già operanti a Firenze come Materiali Sonori, Contempo, Industrie Discografiche Lacerba, KinderGarten, ispirate a modelli alternativi quali Rough Trade, 4AD, Factory, Mute, Crammed, le principali indie-label del momento.

“Nuova musica italiana cantata in italiano”. È lo slogan usato per la reclame delle imminenti produzioni I.R.A. ma anche una scelta di campo, un assunto ideologico, un manifesto programmatico. Il punk-rock aveva creato una cesura generazionale definitiva, la lunga nuova onda arrivata anche in Italia ha assecondato il distacco dai moduli del passato. Se per il rock progressivo e i cantautori l’italiano era stato un veicolo espressivo e politico naturale, da più parti per il punk si sosteneva l’inadeguatezza della nostra lingua, ma a partire dagli Skiantos, passando poi per i vari Gaznevada, Decibel, Garbo, Faust’O, l’italiano si è affermato come una lingua di schieramento per questa nuova scena che sintetizza, a volte anche ingenuamente e affollatamente, glam, new wave, rock decadente, post-punk, electro-pop. Con la generazione fiorentina, Pirelli intuisce che c’è un nuovo mondo che ha bisogno di una spinta forte dopo aver risciacquato i panni in Arno.

Ottobre 1984, Litfiba, Diaframma, Moda e i monzesi Underground Life sono i protagonisti di Catalogue Issue, un LP di otto brani, due a testa per band. Il primo titolo del catalogo I.R.A. è il disco del lancio, del tuffo – come si evince dalla copertina, tratta dalla grafica di costumi da bagno degli anni ’20. I Litfiba, con la produzione di Maroccolo e un Ringo ormai in pianta stabile, presentano Onda araba e Versante est. I due nuovi pezzi imprimono una svolta, anticipano il futuro prossimo con arrangiamenti meno minimali e una verve melodica più spiccata, lasciando al passato le atmosfere dark e gotiche per occupare l’area etnowave, neologismo caro a Piero. L’aspetto poetico e introspettivo è invece caro ai Diaframma, presenti con Siberia e Delorenzo che a dicembre compariranno sul memorabile Siberia.

C’è una sottile ma onesta via di mezzo tra l’acredine della rivalità e l’ipocrisia della “sana competizione”: è la sfida. In prima battuta verso sé stessi, per migliorarsi e diventare sempre più inattaccabili. Tra le band fiorentine è questo il sentimento prevalente in un’epoca in cui tutte le arti si rincorrono per assorbire stimoli, figurarsi la musica. Archiviata la diatriba Litfiba vs. Diaframma, annosa come quella tra Equipe 84 e Dik Dik negli anni ’60 e Banco e PFM nei ’70, è più utile riflettere sulle differenze tra i due gruppi. Lo fa Federico Fiumani.

«Noi Diaframma eravamo diversi da Litfiba in tutto: loro erano più organizzati dal punto di vista tecnico, strumentale e logistico, erano davvero messi meglio rispetto a noi. I Diaframma erano meno strutturati dal punto di vista manageriale, più disorganizzati. Io non ero un grande chitarrista, venivo dalla lezione post punk e i miei numerosi difetti divennero i miei pregi: leggevo moltissimo, i miei testi avevano una dignità letteraria. Eravamo decisamente più sudici dei Litfiba, che apparentemente erano ribelli ma in realtà erano solidi, anche emotivamente. Insomma erano uomini fatti e maturi, gente tosta pronta al successo: la loro musica non poteva non trasmettere questa stabilità. L’ingresso in I.R.A. per i Diaframma fu diverso dal loro: per noi fu come prendere contatto con la realtà. Bene fece Pirelli a spingere i Litfiba, che erano determinati e pronti ad avere successo: non a caso con i Moda non accadde. Un’altra differenza era nella vitalità. I Litfiba giravano, suonavano all’estero, vivevano attraverso tanti contatti, relazioni, personaggi, la loro musica trasmetteva quel clima così attrattivo. Noi eravamo tristi, solitari, introspettivi. Loro vivevano nelle feste, nei concerti, noi nella nostra cameretta a leggere poesie. Dai nostri testi emergeva l’amore per la notte, per l’oscurità, loro sprizzavano vita: Litfiba e Diaframma erano come il sole e l’ombra».

Reclutati in I.R.A., presentati ufficialmente con la compilation, Diaframma e Litfiba sono pronti per i rispettivi album di debutto, che usciranno a pochi mesi l’uno dall’altro. Finora i Litfiba hanno fatto tutto in proprio, tessendo una rete di connessioni alla quale manca solo una figura che li indirizzi, disciplini e governi. Onda araba e Versante est sono nate con la produzione di Gianni, sempre pignolo sulla resa sonora e sulla necessità di un controllo qualità. Consapevole che l’anima orientale e mediterranea dei due brani è un nuovo segnale da annotare e che eguagliare un disco come Siberia è complicato, Gianni è ai nastri di partenza: «Eravamo molto easy, anche ironici, ci si divertiva. Anche se nei testi si percepiva che il contesto storico e sociale dell’epoca ci condizionava, non eravamo certo dei poeti maledetti, neanche dei darkettoni a dire il vero. Credo fossimo più lisergici o psichedelici, e molto rock. Ci davamo da fare, avevamo una bella concorrenza, infatti uscire dopo un album del calibro di Siberia non era facile, ma eravamo stakanovisti, determinati, sempre presenti in concerti, locali. Cercavamo la vita».

È con quella solarità, quel calore, quella storia accumulata nei cinque anni di cantina e concerti, che i Litfiba si accingono a registrare i loro migliori brani dopo aver plasmato le fondamenta nell’umidità e rodato la grinta sotto le luci e davanti al pubblico. Lo sostiene Ghigo Renzulli: «Eravamo un gruppo solare e vitale, anche nei brani in tonalità minore, non eravamo certo tristi, tantomeno depressi. Fondamentalmente eravamo una band di rock & roll, spesso malinconici viste le nostre influenze dark, oppure a volte eravamo gotici come sono ora le band di gothic metal, anche per la presenza delle tastiere. Eravamo una band di grande socialità, con tanti tour stranieri, tanta voglia di fare e una capacità di assorbire gli influssi che trovavamo sul nostro cammino. Il nostro modo di essere era desideroso di palco, di condivisione della nostra energia con il pubblico: i brani che eravamo pronti a inserire nel primo disco erano la colonna sonora di quella esplosione dei primi tempi dei Litfiba».

Tratto dal libro Eroi nel vento. Quarant’anni di Desaparecido dei Litfiba di Donato Zoppo, Aliberti Compagnia Editoriale.

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