È sempre più difficile riconoscere le scintille che fanno gli artisti prima di esplodere, accecati come siamo dal fuoco d’artificio in loop del marketing discografico, bengala di palazzetti sold out e top 10 di Spotify. Non basta l’hype liquido degli affollatissimi social o la spavalderia dell’algoritmo, forse è necessario un Grande fulmine come quello che dà il titolo al nuovo album dei Thru Collected – che esce il primo dicembre – e al lungo video che lo presenta, da oggi su YouTube e che ho visto in anteprima domenica a Milano, sonorizzato dal vivo dal collettivo con base a Napoli.
Attraversato il buio vicolo tra un capannone e l’altro della città che si fa Rogoredo, entro nella sala dove proiettano il video e sento chiaramente l’elettricità, riconosco le scintille sopra la testa di un pubblico di ventenni come non ne osservavo da tempo: niente telefonini a riprendere la performance, poco conformismo nel look, pochissimi brand, sigarette rollate, birrette e la curiosità partecipata di chi sa di trovarsi in uno spazio nuovo, una via di mezzo tra una festa e un’assemblea d’istituto, un rave e una manifestazione. Guardandoli con un pizzico di invidia mi vengono in mente due espressioni ormai desuete: “alternativo” e “centro sociale”. A togliermi l’imbarazzo ci pensa il primo pezzo che ascolto in questo corto (o lungo video) sovraccarico di estetica di internet e metafore accelerazioniste con militari armati – saranno le major discografiche o i trapperini che vanno a Sanremo? – che stanano e sterminano il collettivo in fuga dallo squat che è quartier generale e sala prove: “Che fine ha fatt’ l’underground? Se ‘o chiedevano ‘e guagliune pe’ ‘ffore ‘e local” cantano Specchiopaura…
Già, che fine ha fatto l’underground? L’alternativo? C’è ancora qualcuno disposto a raccogliere questa sfida – al sistema, al mondo e a se stessi – senza annegare nella retorica, nella nostalgia (anche quella di un passato che non si è mai vissuto) o nel buco nero degli happy few, con la sindrome da riserva indiana? C’è ancora qualcuno che si accolli il fardello del “politico” e allo stesso tempo faccia musica potente e nuova? C’è chi può rinnovare una tradizione anche cambiandone i connotati, rivoluzionando il linguaggio e l’estetica, hackerandone il significato? Eccoli, sono loro, Thru Collected.
Li aspettavamo da tempo. I critici più curiosi, tra cui qualcuno qui da noi a Rolling, li avevano sgamati già un paio d’anni fa, intuendone il potenziale da una manciata di singoli e video. Avevano sentito la scossa del nuovo nuovissimo: Burial e cazzimma, hyper pop e sentimento, o come cantano in una dei pezzi finali del video: “Primm’ sunavamo tammorra e mandulin’/Mo’ sunamm cu’ ‘na rack e ‘nu synth”. Ora Il Grande Fulmine sta per arrivare davvero, l’aria intorno è finalmente elettrica, come se questi ragazzi artisti from Naples rispondessero a una necessità, alla chiamata di un pubblico stufo di non trovare qualcuno che lo rappresenti. Se ne prenderanno carico? Hanno le spalle abbastanza larghe da poterci appendere un manifesto generazionale? A giudicare dalle trenta – 30! – canzoni che andranno a comporre in nuovo disco direi di sì. Lì ci sono tutta l’energia e la leggerezza del fulmine, la poetica e il romanticismo dei temporali e la consapevolezza di andare nella direzione giusta, chissenefrega dei palazzetti sold out, dei dischi d’oro! Per molti, ma non per tutti, orgogliosamente!.
Se la trap in questi anni ha fotografato la realtà – e non facciamogliene una colpa – mentre il l’it-pop ci ha fatto da anestetico, serviva qualcuno a cui affidare il compito più difficile, quello di immaginare un futuro. O un’utopia concreta, a partire dal suono. Ecco, i Thru Collected sono sulla buona strada, andiamogli dietro.