Il Boléro di Ravel è senza dubbio una delle composizioni più famose del canone della musica classica. Per quanto riguarda la cultura pop, è apparsa in diversi film e programmi TV; è stata insignita di una cover reggae molto discutibile di Frank Zappa e omaggiata da Jeff Beck; infine campionata da vari gruppi hip hop tra cui Big Dada Sound nel Regno Unito e Saïan Supa Crew in Francia. Senza contare le innumerevoli versioni elettroniche, che qui sorvolerò volentieri, ma che in qualche modo mi serviranno come scusa per un breve esercizio musicologico. Ma prima, partiamo dalle consuete coordinate storiche.
Nato da una commissione voluta dalla danzatrice russa Ida Rubinstein, Boléro di Maurice Ravel è un brano orchestrale in un movimento composto nel 1928 ed eseguito per la prima volta il 22 novembre all’Opéra di Parigi con la direzione di Walther Straram, la coreografia di Bronislava Nijinska e le scenografie di Alexandre Benois. Con grande sorpresa di Ravel divenne presto un successo e rimane ad oggi una delle sue opere più amate. È interessante notare che la sua fama è dovuta principalmente a due caratteristiche strutturali che ancora lo contraddistinguono nel canone della musica classica. Il primo è la sua natura ripetitiva: il lavoro di Ravel è costruito su uno schema ritmico costante e presenta due temi principali esposti più volte nei circa quindici minuti della sua durata. Anche se prende in prestito il suo nome da una danza tradizionale spagnola caratterizzata da tempo lento e temi romantici, usa il suo ritmo e la sua atmosfera come punto di partenza per un brano musicale sorprendentemente nuovo e originale.
Questa originalità ci porta verso la seconda caratteristica che ci aiuta a spiegare la sua presenza nei contesti più diversi dentro e fuori l’ambiente sempre più “brizzolato” della musica classica: Boléro è a tutti gli effetti un esperimento su cosa sia possibile fare con un’orchestra lavorando solo sulla dinamica (ovvero la gestione dell’intensità sonora) e sull’addizione e sottrazione di strumenti. Suona forse come qualcosa che conosciamo già?
Lasciate che vi indichi la direzione che ho in mente: quella della musica moderna orientata al dancefloor, che per semplicità possiamo chiamare EDM (sì, un’etichetta in parte condivisa con i grassi riempitivi da festival elettronico spacciati da tizi bianchi con scollo-a-V e mani in aria). La struttura più ricorrente di una traccia EDM comprende le seguenti quattro parti: intro, buildup, drop e outro. L’intro pone le basi per la traccia e introduce la melodia principale. Nel buildup la tensione aumenta gradualmente, mentre si aggiungono nuovi elementi musicali. Il drop è la parte più intensa della traccia dove vengono introdotti l’idea melodica principale e la sua struttura ritmica completa. L’outro è la sezione finale, dove l’energia viene gradualmente allentata e la traccia giunge al termine. Trattandosi di parti musicalmente meno dense, in un DJ set sia l’intro che l’outro sono il luogo in cui avviene il mixaggio, ovvero il passaggio di consegne al brano successivo.
Diamo un’occhiata a come appare questa struttura in Audacity, un software audio open source, importando Losing It del music producer australiano Fisher (che ho appositamente editato per rendere il brano più facile da osservare):
Ora, facciamo lo stesso con Boléro (ho scelto Karajan con i Berliner Philharmoniker, ma qualsiasi versione andrebbe bene ai fini di questa piccola indagine), ma comprimendo la sua durata da circa quindici minuti a un solo minuto:
Come si può osservare, la struttura dinamica del lavoro di Ravel è praticamente quella di un buildup ma senza il drop: una canzone EDM lasciata a metà che ci porta a chiederci se non sia già l’ora di dell’after a casa di sconosciuti. È quasi come se Ravel avesse deciso di ravanare nella sua cassetta degli attrezzi per scegliere uno specifico dispositivo musicale e renderlo il centro focale della sua composizione. Per quanto ne so, nessun altro autore classico aveva osato provare qualcosa di simile prima, e ci sarebbe voluto molto altro tempo ancora prima di imbattersi in qualcosa di così – per una volta, la parola è adatta – sperimentale.
Tornando al mondo EDM, il buildup è parte integrante del genere. La negoziazione tra tensione (buildup) e rilascio (drop) è, ovviamente, qualcosa con cui la musica classica ha sempre giocato (nel periodo barocco della musica si possono trovare tutti i buildup e drop che si vuole: pensiamo ad esempio alle Quattro Stagioni di Vivaldi…). Tuttavia, con la musica orientata al dancefloor, questo costante tira e molla diventa un dispositivo narrativo fondamentale per la maggior parte del repertorio. Quindi, se vi capita di far suonare il Boléro di Ravel al vostro prossimo DJ set come faceva un pioniere come Daniele Baldelli, assicuratevi solo di mettere in sequenza un drop adeguato subito dopo, così da permettere il giusto rilascio di endorfine al pubblico che vi sta ascoltando.
Dalle note di copertina di Bo-lé-ro, ventesima uscita della collana discografica su abbonamento 19’40”. Fondata nel 2016 da Sebastiano De Gennaro, Enrico Gabrielli e Francesco Fusaro, è gestita dai musicisti con Marcello Corti ed è dedita a un approccio trasversale e non gerarchico alla musica classica, elettronica, contemporanea.