Tempo fa CJ Strock, un agente che ha lavorato con l’ultima formazione dell’Allman Brothers Band, s’è trovato di fronte a uno strano dilemma. Era chiaro dalle vendite del catalogo e del merchandising che c’era ancora un mercato per gli Allman, per il loro southern rock verace e per i loro concerti all’insegna dell’improvvisazione. E però la band non esisteva più. Avevano suonato per l’ultima volta dal vivo nel 2014 e Gregg Allman era morto di cancro al fegato tre anni dopo.
Per conquistare nuovi fan, Strock ha deciso di mettere assieme in buona sostanza dei nuovi Allman. Ha contattato musicisti che conoscevano il repertorio o che avevano avuto un qualche legame col gruppo, senza averne mai fatto parte. È nato così The Allman Brothers Band Presents Trouble No More (così è annunciato il progetto su poster e biglietti dei concerti), un ottetto multietnico che propone il repertorio della band ma, avendo l’approvazione degli eredi degli Allman Brothers, non è una semplice tribute band. Il primo show dei Trouble No More si è tenuto a marzo 2022 al Beacon Theatre di New York, un luogo che evoca gli Allman originali e la loro lunga residency fra quelle mura.
«Il modello che abbiamo creato è fantastico», dice Strock. «Si prende il repertorio amatissimo della band originale e si utilizzano musicisti molto più giovani per suonarlo. Il brand ha ancora una sua forza».
Età, morte e pensionamenti hanno decimato il classic rock, lasciando molti gruppi (fra cui Rolling Stones, Who, Eagles, Temptations, Lynyrd Skynyrd, Steely Dan, Skatalites) con solo uno o due membri fondatori in formazione. In molti casi, il pubblico li segue ancora ed è contento di ascoltare le hit e vedere un gruppo leggendario sul palco, qualunque sia la formazione: quelli degli Stones, degli Eagles e dei Dead & Co. sono stati fra i cinque tour con gli incassi più alti del 2021 negli Stati Uniti, totalizzando nel complesso 225 milioni di dollari.
Johnny Van Zant, che nel 1987, dieci anni dopo la morte del fratello maggiore Ronnie, ha assunto il ruolo di frontman nei Lynyrd Skynyrd, ha la prova di questa devozione. Dice di avere visto alcuni fan portare le ceneri dei loro cari in prima fila, a bordo palco, ai loro concerti. «Se non si esagera, va bene tutto pur di continuare», dice degli attuali Lynyrd Skynyrd, che contano un solo membro originale, il chitarrista Gary Rossington. «Pensa alla Ford. L’hanno fondata tempo fa, poi qualcuno è arrivato e ha detto: ok, qui c’è del buono, continuiamo. Non avrei una Ford Raptor nel mio vialetto se non fosse andata così».
Aggiunge Rossington: «Allen [Collins], Ronnie ed io abbiamo fondato questa band col sogno di renderla grande. Quel sogno lo abbiamo realizzato. A loro piacerebbe sapere che ancora si suona la loro musica».
Che cosa accade quando i fondatori si ritirano dalle scene o passano a miglior vita? Come si possono soddisfare i fan che hanno seguito una band per decenni e vogliono ancora ascoltarne la musica dal vivo in qualche forma, suonata da qualcuno? Musicisti, manager e promoter che girano attorno al mondo del classic rock hanno cercato modi per tenere in vita (e trarre proditto da) band e brand.
Come dimostra il caso dei Trouble No More, una strada consiste nell’ispirarsi ad ensemble come la Duke Ellington Orchestra che ha continuato a proporre il repertorio con musicisti più giovani dopo la morte del compositore e pianista avvenuta nel 1974. C’è anche una Glenn Miller Orchestra, che prende il nome dal bandleader morto durante la Seconda guerra mondiale. Ha impegni che la terranno occupata per tutto l’anno prossimo, con circa 20 spettacoli solo in questo mese.
Un’altra strada, quella presa da Blood, Sweat & Tears, Wailers e Yes, consiste nel proporre line-up senza alcun membro originale (il chitarrista degli Yes, Steve Howe, è nella band da molto tempo, ma ha iniziato a suonarci solo ai tempi del terzo album del 1971). I Foreigner, che l’anno prossimo s’imbarcheranno in un tour d’addio della durata di 18 mesi, rientrano nella stessa categoria: il chitarrista e fondatore Mick Jones, l’ultimo della formazione originale, spesso non partecipa ai concerti. «Mick suona con noi tutte le volte che le sue condizioni di salute glielo consentono», ha detto a Billboard Kelly Hansen, il cantante dei Foreigner che ha sostituito Lou Gramm. Come dice un portavoce della band, «alla fine del tour d’addio, Mick Jones sarà stato per quasi 50 anni alla guida dei Foreigner. Avrà anche compiuto gli 80 anni e passato abbastanza tempo on the road. La band non ha intenzione di continuare oltre».
Qualunque percorso decidano di intraprendere le band, devono esplorare una terra ignota per il classic rock, ora che i suoi protagonisti più importanti si avvicinano o superano gli 80 anni d’età. «Tutti invecchiamo, alcuni muoiono: come possiamo mantenere vivo il gruppo?», chiede Ross Schilling, manager dei Lynyrd Skynyrd. «È la domanda a cui gruppi ed eredi sono chiamati a dare una risposta».
Nel caso dei Trouble No More, Strock spiega che l’idea era di assemblare una band in grado di «replicare l’energia originale creata da Duane Allman agli inizi, nel 1969». Dopo avere ottenuto l’imprimatur del manager degli Allman, Bert Holman, e dei vari eredi, ha assoldato l’ex tastierista della Gregg Allman Band, Peter Levin, il cantante Lamar Williams Jr. (figlio del compianto bassista degli Allman degli anni ’70) e i fratelli Brandon “Taz” (alla chitarra, dal musical di Broadway School of Rock) e Dylan Niederauer (al basso). Per rendere il gruppo «appetibile a un pubblico femminile, che è molto importante dal punto di vista culturale», Strock ha ingaggiato la batterista di Beyoncé, Nikki Glaspie.
Williams dice che non è mai stata presa in considerazione l’ipotesi di usare il nome Allman Brothers Band («Eravamo tutti d’accordo, è roba sacra»), per cui hanno optato per il titolo dello standard blues di Muddy Waters, appuntamento fisso nelle scalette degli Allman.
Brandon Niederauer aveva 8 anni quando il padre, un fan del gruppo, lo ha portato a vedere gli Allman. «Tra i miei primi concerti ci sono proprio gli Allman al Beacon. I miei genitori li ascoltavano sempre, sono la ragione per cui ho iniziato a suonare la chitarra. Dieci anni dopo, eccomi al Beacon dove suonavano loro. È pazzesco».
L’approccio dei Trouble No More alla musica degli Allman è frutto di un altro modo di dare una rinfrescata a una band famosissima. Al posto di ricreare in modo fedele le registrazioni originali, il gruppo ha lavorato sui ritmi suonando i pezzi «più veloci, così che li possano apprezzare i 15-30enni di oggi», dice Strock. «Difficile che i più giovani s’appassionino a vecchie musiche che non sono considerate supercool. L’idea è prendere gli originali e farli suonare a gente figa, come se fosse musica loro».
Williams, che canta pezzi come Trouble No More, Whipping Post e Ain’t Wastin’ Time No More, ha uno stile R&B moderno e non scimmiotta la voce roca di Gregg Allman. «Le persone che lavorano con noi sono state legate alla band negli ultimi 25-30 anni», spiega. «È un altro modo di dire che tutto è approvato. Ma non stiamo raccogliendo un’eredità, piuttosto offriamo interpretazioni della musica e la reinventiamo».
Al momento i Trouble No More hanno impegni fino al prossimo autunno. Quest’anno la band ha riproposto sul palco, nella sua interezza, il doppio album del 1972 Eat a Peach. In cantiere c’è il progetto di rifare un altro album per intero (potrebbe trattarsi di Brothers and Sisters, di cui cadrà il prossimo anno sarà il 50° anniversario).
I Trouble No More godono di buona accoglienza, ma loro sono preparati anche alle reazioni dei fan che si lamenteranno non vedendo sul palco Jaimoe o Dickey Betts (o anche Warren Haynes e Derek Trucks). «Gli hater ci saranno sempre», dice Brandon Niederauer (che è anche laureato in economia a Yale). «Se qualcuno viene a un concerto e non gli piace, va bene. Del resto non è possibile resuscitare i morti, no? È ovvio che alcuni saranno indignati per la mancanza di membri originali sul palco, ma le persone non vivono in eterno. Cerchiamo di fare del nostro meglio e rendere giustizia alla musica».
Suonare musica di 50 anni fa di fronte a gente che di anni ne ha 25 è un buon motivo per tenere una band classica on the road, ma non è l’unico. Il manager degli Skynyrd ha visto cosa accade quando band del genere non sono più on the road: «I passaggi nelle stazioni radio di classic rock e gli streaming scemano e le vendite del catalogo fanno registrare un calo percentuale molto sensibile. Non voglio dire che la musica va a morire, ma di sicuro riceve molta meno attenzione quando si elimina la componente live».
Nel pop, poi, c’è un altro problema noto da tempo: gli artisti che usano il nome di una band senza avere il permesso. Il manager degli Allman che fa da consulente ai Trouble No More dice che tenere on the road una band con una line-up diversa è fondamentale per mantenere vivo il marchio e prevenire il fenomeno dei finti tour. «Ho capito che se gli spettacoli fossero stati approvati e presentati dagli Allman Brothers avremmo avuto modo di mantenere il controllo del marchio».
Stando a Stacy Grossman, avvocata che rappresenta vari artisti per questioni di diritti e copyright, sono disponibili marchi in campo musicale in diverse categorie, dalle performance live al merchandising fino alle incisioni. «Se una band non suona dal vivo, non può mantenere l’esclusiva sul marchio, che scade», spiega. Nella maggior parte dei casi, i diritti vanno rinnovati fra il quinto e il sesto anno dopo la registrazione iniziale e poi a intervalli di 10 anni. Nel caso degli Allman Brothers, il marchio per le esibizioni live dovrà essere rinnovato nel 2027.
I Trouble No More sono anche un mezzo intelligente per vendere merchandising, musica registrata e (in un futuro prossimo) una linea di prodotti a base di cannabis degli Allman. «Se i Trouble No More non esistessero, non ci sarebbe un mercato legato alle esibizioni live per il brand ABB», dice Strock (parte del ricavato dai biglietti viene anche devoluto per programmi educativi del Big House Museum, il museo degli Allman a Macon, Georgia).
Altre band iconiche intendono continuare finché ce la faranno. Un po’ come Mick Jones dei Foreigner, anche l’unico membro fondatore rimasto nei Lynyrd Skynyrd, il settantenne Rossington ha avuto un bel po’ di problemi di salute. Ha avuto un infarto e ora ha degli stent. Non ha più la forza per reggere un intero concerto, per cui ha saltato alcuni show per intero o in parte, lasciando il posto al nuovo arrivato Damon Johnson. Nell’arco della loro storia, gli Skynyrd hanno visto avvicendarsi più di 25 componenti, metà dei quali sono morti. Durante l’esecuzione live di Free Bird, su uno schermo sono mostrati i 13 membri deceduti, compresi Ronnie Van Zant, il chitarrista Ed King e musicisti entrati nella band più di recente come il bassista Ean Evans.
Quando la band si è esibita al Ryman di Nashville, lo scorso mese, Rossington si è unito agli Skynyrd sul palco per la seconda parte dello show, mentre ha osservato la band che iniziava il concerto senza di lui. «Entrano in gioco tante emozioni diverse», dice Rossington. «Le note sono quelle e le canzoni anche. Mi piace. Sembriamo noi». Però, «se la guardo non vedo la band originale. Vedo uno che mi rimpiazza ed è strano. Ascoltare le canzoni senza di me che le suono dal vivo è bizzarro». Fa una risatina ironica. «Però vedere i giovani che si godono il concerto scalda il cuore».
La versione 2022 degli Skynyrd, che ancora suona classici come Sweet Home Alabama, Simple Man e Gimme Three Steps, ha avuto il permesso dagli eredi di utilizzare il nome fino alla fine del 2024. Rossington, uno dei detentori dei diritti unitamente agli eredi di Van Zant e Collins, spera di fare più concerti possibile il prossimo anno, specialmente in occasione del tour estivo da co-headliner con gli ZZ Top. «Sono ancora in grado di suonare», dice. «A pesarmi sono i viaggi, i voli e gli hotel. È faticoso, specie se hai problemi cardiaci»
Cosa accadrà fra due anni? Rossington non è contrario al fatto che la band (che include Rickey Medlocke, che ha suonato la batteria negli Skynyrd nei primi anni formativi ed è entrato al gruppo come chitarrista nel 1996) continui senza di lui se dovesse lasciare le scene. «Al momento è una tribute band e tutti sanno che non si tratta degli originali. Chi viene a vederci viene informato durante lo show e probabilmente lo sa già prima ancora di entrare. Eppure la gente viene comunque a sentirci. Nel giro di un paio d’anni potrebbe finire, ma anche no. Non si può predire il futuro. Decideremo cosa fare più avanti».
Altri sono elettrizzati dalle possibilità di un classic rock 2.0, anche se in modo semiserio. «T’immagini quanto sarebbe figo se qualcuno del giro dei Beatles dicesse: mettiamo assieme Harry Styles, Post Malone ed Ed Sheeran e facciamo i Beatles moderni?», dice entusiasta Strock. «E vai al concerto e trovi il merchandising ufficiale dei Beatles. Sarebbe un successo enorme. E per i fan, sarebbe fantastico».
Tradotto da Rolling Stone US.