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Il mistero di Billy Preston, il musicista che ha suonato coi Beatles e i Rolling Stones

Il documentario ‘That’s the Way God Planned It’ racconta il talento e lo spirito vitale, ma anche la tossicodipendenza e il periodo di detenzione del tastierista e cantante che «ti rubava la scena senza che te ne accorgessi». Parola di Eric Clapton

Foto: Joe Bangay/HultonArchive/Getty

Basta una manciata di minuti del documentario That’s the Way God Planned It per capire che pochi musicisti trasmettevano una sensazione di gioia sfrenata quanto Billy Preston. Nella prima scena, tratta dal concerto per il Bangladesh organizzato da George Harrison nel 1971, Preston inizia a cantare il gospel carichissimo che dà il titolo al documentario. Trascinato dalla musica, lascia la postazione dietro alla tastiera per lanciarsi nei passi di danza che ha imparato in chiesa, portando lo show e la canzone a un altro livello.

Nelle immagini del documentario diretto da Paris Barclay il musicista scomparso nel 2006 sfoggia di continuo il suo sorriso enorme e il suo diastema mentre si cimenta nella parte di piano elettrico di Don’t Let Me Down dei Beatles oppure balla sul palco con Mick Jagger e i Rolling Stones o suona alla grande il piano accompagnando Joe Cocker e Patti LaBelle che duettano sulla sua You Are So Beautiful. Non c’è un istante nelle performance che si vedono nel film che non comunichi la volontà di trovare la felicità attraverso la musica, e questo vale anche quando Preston è stato coinvolto nel mostruoso flop della versione cinematografica di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band.

Però, per dirla con Smokey Robinson, le lacrime di un clown si vedono solo quando non c’è nessuno nei paraggi. Il documentario fa capire che Preston ne tratteneva di lacrime, eccome. È il ritratto di un musicista talentuoso che merita di essere ricordato non solo per i camei nei dischi dei Beatles e degli Stones o per certe canzoni allegre (vedi Will It Go Round in Circles o Outa-Space). È la storia di un uomo che, per un trauma o per la paura di ripercussioni nel suo ambiente, ha sempre mantenuto il massimo riserbo sulla sua vita privata, così che tutto quello che è accaduto dopo (tossicodipendenza, scandali e detenzione) somiglia a un’esplosione di rabbia e frustrazione.

Preston era un bambino prodigio che ha conosciuto il gospel grazie alla madre. Non era neanche adolescente e già padroneggiava l’organo Hammond B3 e appariva in tv, anche con Nat “King” Cole come si vede nel film. È andato in tour con Little Richard, si è appassionato di Ray Charles, ha inciso diversi album strumentali. Nel documentario si dice che abbia influenzato Sly Stone. Sembra una forzatura finché non si ascolta Advice, il pezzo in collaborazione con Stone dall’album Wildest Organ in Town! del 1966. L’amicizia coi Beatles nata ad Amburgo, dove i quattro aprivano per Little Richard (Preston era nella sua backing band), l’ha portato a suonare nell’album Let It Be e a stipulare un contratto con la Apple (grazie al cielo, a quel punto non cercava più di farsi i capelli da paggetto).

All’inizio degli anni ’70 Preston si è rilanciato come performer solista, con tanto di parrucconi enormi, singoli di successo (tra cui Nothin’ From Nothin’) e camei sul palco e in studio con la crema del classic rock. Ha contribuito a ravvivare il difficile tour solista di Harrison del 1974 ed è stato il primo ospite musicale del Saturday Night Live. Sembrava avere tutto, compreso il rispetto dei colleghi: Jagger ricorda di aver scherzato affettuosamente con lui a proposito di quelle parrucche ed Eric Clapton racconta che un assolo di Preston poteva distogliere immediatamente l’attenzione del pubblico dagli headliner: «Ti rubava la scena senza che te ne accorgessi». I suoi dischi non erano all’altezza di quelli di Stevie Wonder o di George Clinton dello stesso periodo, ma alcuni, come I Wrote a Simple Song del 1971, meritano di essere rivalutati per il modo in cui mescolano con disinvoltura il gospel, il funk trainato dal Clavinet e l’energia positiva del R&B.

In pubblico si mostrava ottimista, ma più lo si conosce, più si ha l’impressione che indossasse una maschera. I problemi erano iniziati in gioventù. È cresciuto senza un padre, da cui a quanto pare è stato abbandonato in tenera età, ed è stato sfruttato dai musicisti gospel più navigati con cui andava in tour da ragazzo. Eppure non ne ha mai o quasi parlato con gli amici, i parenti o i colleghi che danno la loro testimonianza nel film. Dicono tutti di aver pensato che fosse gay (o che per un certo periodo sia stato bisex), anche se Preston non ha mai fatto coming out. Uno dei membri di lungo corso della sua band dice di essere rimasto addirittura scioccato nel sapere che You Are So Beautiful era stata scritta per la madre di Preston e non per un’amante. «Ha tenuto nascoste tante cose», aggiunge un altro amico, ed è un concetto che sentiamo ripetere più volte in That’s the Way God Planned It.

Quindi cos’è andato storto? Ci sono state scelte professionali sbagliate, come il ruolo in quel disastro cinematografico che è stato Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (Preston interpretava Pepper e cantava in uniforme una versione squinternata di Get Back). A un certo punto il suo stile funk leggero è passato di moda e la sua musica è sparita dalle radio di black music nonostante un tentativo maldestro di incursione nella disco music. Tutte le persone interpellate ammettono che la sua presunta storia con Syreeta Wright (ex compagna e collaboratrice di Stevie Wonder, al fianco di Preston nel suo ultimo grande successo, la ballad With You I’m Born Again) era un escamotage per farlo sembrare etero.

Forse, per via di questi problemi, Preston ha iniziato a calare la maschera. Diventato dipendente dal crack, si è ritrovato al verde ed è diventato una specie di parìa della musica, arrivando a chiedere di essere pagato in cocaina per una session in studio. Senza fare del sensazionalismo, Barclay racconta che Preston ha passato nove mesi in una clinica di riabilitazione, nel 1992, dopo essersi dichiarato innocente di fronte alle accuse di possesso di cocaina, violenza sessuale verso un adolescente e pornografia. Dopo aver violato più volte i termini della libertà vigilata, è stato condannato a tre anni di detenzione ed è pure stato riconosciuto colpevole di frode assicurativa. Dopo il periodo di carcere, Preston ha ripreso dal punto in cui aveva lasciato, suonando in dischi dei Red Hot Chili Peppers, Johnny Cash e Neil Diamond. Ma le morti della madre e del mentore Ray Charles l’hanno segnato, fino a farlo tornare a farsi di crack. Clapton, evidentemente scosso, racconta di aver aspettato che il suo amico gli facesse intendere che voleva disintossicarsi, ma quel segnale non è mai arrivato.

Un merito di That’s the Way God Planned It, che è stato presentato in anteprima al festival DOC NYC, è che non si sottrae al racconto dell’ultimo periodo, decisamente buio, di Preston. La sua morte, giunta per insufficienza renale nel 2006 a 59 anni d’età, sembra inevitabile alla luce di ciò che sappiamo oggi. Ma per via della parte che recitava in pubblico, il suo declino è stato ed è ancora scioccante. Lo scrittore David Ritz spiega che il progetto di un’autobiografia non è mai andato in porto perché il musicista non voleva parlare della sua vita privata. Billy Preston rimane un mistero affascinante.

Da Rolling Stone US.

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