Ci sono dischi natalizi che funzionano più di altri. È il caso di un grandissimo classico della musica pop che non è solo una raccolta di canzoni di Natale (e qui sta la chiave della faccenda). Stiamo parlando di A Christmas Gift for You from Phil Spector, anno 1963.
Della vita controversa e delle opere di Spector, forse il più grande produttore pop di sempre, abbiamo già avuto modo di parlare in occasione della sua scomparsa. Di questo lavoro invece si parla troppo poco. È forse il più grande disco di Natale di sempre. Se, per fare un esempio, la gente conosce Happy Xmas (War Is Over) della premiata ditta Lennon-Ono lo deve indirettamente a Christmas Gift in quanto è proprio Spector a produrre il classico della coppia. È un disco importante non solo per aver dato inedita e inaudita potenza a cover pop dei classici natalizi, secolari o meno (si va da White Christmas a Silent Night senza farsi mancare quasi nulla), ma anche per aver usato tali cover come banco di sperimentazione per le innovative tecniche di stratificazione e sovraincisione sonora ideate da Spector e per perfezionare il “muro di suono” che era il suo personale marchio di fabbrica, e in sostanza per dimostrare che col suo tocco da Re Mida della musica poteva trasformare qualsiasi cosa in oro.
C’è tutta la scuderia di Spector in questo disco, dalle Ronettes alle Crystals fino alle Blue Jeans (per tacer di Bob B. Soxx) e a Darlene Love, le grandi interpreti femminili che hanno influenzato tanti, dai Beatles ai Ramones, di per sé un atto rivoluzionario la loro esistenza nel mondo discografico di allora. Come sottolinea il titolo, Spector è il “burattinaio” neanche troppo occulto del successo dei suoi assistiti, il protagonista assoluto del disco (cosa all’epoca piuttosto inusuale) che tiene la pistola puntata alle loro schiene, facendo pressione psicologica per ottenere la perfezione musicale, probabilmente anche nella lavorazione di un disco di Natale che suggerirebbe tutt’altro approccio. Ed è qui che l’album prende una piega interessante: sotto la superficie lussureggiante degli arrangiamenti e dell’esplosione vitalistica dei suoni che celebrano la festa lieta per antonomasia si nasconde un dark side, una specie di rancore per una vita che gli ha spezzato per sempre la gioia del Natale (il padre di Spector si suicidò quando lui aveva 8 anni, evento dal quale non si è mai ripreso).
Ascoltando la versione di Rudolph the Red Nose Reindeer, per esempio, sembrerebbe che la simpatica renna sia una specie di serial killer, a giudicare dagli arrangiamenti a mitraglia. La solennità wagneriana delle cover a volte sembra un richiamo alla guerra più che alla festa, una battaglia per resistere alla dura realtà con la magia del Natale. E a sottolineare la cosa, incredibilmente il caso vuole che l’album esca il giorno dell’assassinio di John F. Kennedy, trasformando quello che sulla carta sarebbe stato un best seller (visti gli act coinvolti, tra quelli di maggior popolarità sulla piazza) in un flop oscurato dal lutto nazionale (per quanto con successo di critica). Con la ristampa sulla beatlesiana Apple nel 1972, riesce a arrivare finalmente al numero sei della classifica inglese, ma solo nel 2018 entra nella Billboard 200 americana, salendo in classifica anno dopo anno fino al numero sette del 6 gennaio 2024, segno che lo status di classico non era poi così scontato.
La perdita dell’innocenza è uno dei motori del disco, il tentativo artificioso di riportare in vita uno sguardo puro e fanciullesco, alla ricerca di meraviglia sapendo che non c’è più ritorno alcuno dall’abisso. È la stessa cifra del Brian Wilson di Pet Sounds e di Smile, il quale prenderà a modello proprio questo lavoro, il suo disco preferito di sempre, per lo stile degli arrangiamenti e la compattezza sonora applicati al suo vissuto di adult child. Paradosso nel paradosso, il leader dei Beach Boys coinvolto nella registrazione di A Gift cercherà di contribuire al pianoforte nel brano Santa Claus Is Coming to Town, ma verrà scartato per la sua tecnica non proprio elevata. Un pezzo natalizio da lui scritto per le Ronettes sarà cestinato. Saranno eventi scatenanti per la produzione del disco di Natale dei Beach Boys.
Le cover dei brani più vicini a livello temporale, come ad esempio I Saw Mommy Kissing Santa Claus e la straordinaria (nella resa riveduta e corretta) Sleigh Ride affidata alle Ronettes riescono a superare gli originali in quanto a particolari disseminati nel mix e forma e sostanza perfettamente cesellati. Ma c’è in particolare un brano inedito a spiccare, che vede tra gli autori Spector, e risponde al nome di Christmas (Baby Please Come Home). Inizialmente pensato per Ronnie Spector – a quanto pare non in grado di entrare emotivamente in risonanza col pezzo – nella potenza vocale di Darlene Love e nell’arrangiamento compatto come una palla di cannone (o sarebbe meglio dire una valanga, visto il tema) esprime i sentimenti di malinconia e frustrazione nel vivere un Natale quando la tua storia d’amore è finita e i ricordi viaggiano indietro ai bei tempi, cercando di un appiglio contro la solitudine, sentimenti in cui la lacrima e la tristezza guastano la festa. Tutto questo è chiaramente confluito in altri classici del pop natalizio come Last Christmas degli Wham! e All I Want for Christmas Is You di Mariah Carey, due brani che anche musicalmente richiamano senza farne mistero lo stile di Spector.
Sentimenti contrastanti quindi, non solo dal punto di vista musicale: un album di Natale registrato nell’estate 1963 per poi uscire a novembre, oltre quattro mesi di lavoro divisi tra gentilezze estreme – Spector faceva regali a tutti se le cose giravano bene – e quello che LaLa Brooks delle Crystals chiama «abuso di minore» in quanto, teenager, era costretta a cantare ripetutamente dall’una di pomeriggio all’una di mattina del giorno dopo. Se era di buon umore Phil diventava quasi uno stand up comedian improvvisato, se gli girava rivolgeva urla belluine a Sonny Bono, suo assistente in regia. Nel monologo finale di Silent Night che chiude l’album Spector ringrazia tutti con toccante classe e sincera gratitudine, ma in quello scartato la sostanza era «ho fatto questo disco per voi, succhiacazzi!».
A Special Gift è l’attestato di schizofrenia di un genio che non riesce ad abbandonare l’ambizione michelangiolesca della sua musica neanche nel fare un disco di Natale, calcolatissimo al millimetro lì dove dovrebbe esserci un afflato spontaneo, cercando di fabbricarsi un cuore lì dove forse il cuore non c’è più, sperando nel miracolo del Natale. E nel suo sforzo «di portare qualcosa di nuovo e diverso alla musica di Natale e all’industria discografica», forse il miracolo c’è stato. Il miracolo è questo disco che è, al di là del bene e del male, un regalo per tutti noi.