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‘In memoria di’ Lamante, cantautrice vivissima che racconta i suoi primi 25 anni

Giorgia Pietribiasi ricostruisce nel debutto la storia sua e della famiglia. C’entrano una bambina che s’addormentava ascoltando i CCCP, una zia morta per overdose, silenzi omertosi. «Nel mio disco parlano finalmente le donne»

Foto press

Quando guardiamo i video o le foto della nostra infanzia ci capita di rimanere ipnotizzati. Ci scappa un sorriso nostalgico mentre cerchiamo di riconoscerci, di ricordare come eravamo. Capita anche che all’improvviso arrivi una fitta allo stomaco. Tra un video e una foto si insinua una domanda: che cosa penserebbe di noi quel bambino o quella bambina se ci vedesse oggi? Lamante, nome d’arte di Giorgia Pietribiasi, ha scavato tra i suoi ricordi, li ha racchiusi in 11 brani e ha cercato di trovare una risposta ricostruendo il suo passato nel disco d’esordio In memoria di.

Gli 11 brani dell’album raccontano i suoi 25 anni: dalla bambina che si addormentava ascoltando i CCCP, che scriveva poesie durante l’ora di matematica, che ascoltava la mamma leggere Il capitale di Marx e che non è riuscita a finire il suo primo concerto, quello dei Massimo Volume, perché «stavo male, dentro mi vibrava qualcosa che non mi spiegavo», alla ragazza che ha lasciato le montagne dell’Alto vicentino e si è trasferita a Milano. Lamante riscrive la storia della sua famiglia e delle sue radici “in memoria di” sé stessa. Non a caso la cover del disco è una foto di quando aveva 6 anni, con un sorriso furbetto e la stella rossa sul berretto.

La memoria di Lamante cambia quando ritrova i diari di suo nonno, i suoi ricordi prendono una forma nuova e la portano a scrivere, a dare inizio al processo creativo che la porterà a In memoria di. Ha vissuto col nonno fino ai 7 anni, immersa nei campi veneti tra «tirar su patate e mungere vacche». Crescendo ha deciso che voleva diventare una perdente come suo nonno: «Un contadino ha poche cose nella vita: la fede, la speranza, il saper conservare e il saper perdere. Fa parte del rapporto con la terra, coltivi per mangiare e perdere ciò che avevi». Per Lamante imparare a perdere è una rivoluzione. Perdere se stessi, perdersi in ciò che è altro o che non ti appartiene. «In questo momento sto perdendo 11 canzoni che racchiudono 25 anni della mia vita».

Ci sono voluti tre anni per completarle. «Ho scelto tra 100 canzoni che avevo scritto: ordine del mio produttore Taketo Gohara. Avevo sei mesi di tempo per scrivere. Stavo quasi per impazzire». Gohara, che ha lavorato con Capossela, Verdena, Negramaro, Afterhours e molti altri, è per lei quasi un padre musicale. «Quando si è interessato a me, pensavo che fosse uno scherzo. Mi ha chiamata mentre stavo passeggiando in mezzo alla campagna veneta. Era in studio con Andrea Rondini quando ha ascoltato per caso una delle mie pre produzioni fatte con cuffiette e Garage Band. Ha chiesto chi fossi e da lì è iniziato tutto».

 

Se un tempo partiva dalla scrittura per comporre un brano, ora Lamante inizia da un suono. «L’intero disco è nato nella mia casa di Schio. I musicisti che suonano con me sono amici di una vita. Quando andiamo in studio registriamo in presa diretta, qualche accordo, una bozza della struttura del pezzo e loro mi seguono». In studio la chiamano «capo» e a lei piace: «Devo dire che è bello essere chiamata così da sei uomini».

Nel disco, racconta la storia della sua famiglia, difendendo la memoria della parte femminile. «La morte di zia per overdose negli anni ’70 è stata una grande ferita. È morta prima che io nascessi, eppure ho vissuto e sentito intensamente la sua perdita. Forse perchè nella mia famiglia non ne abbiamo mai parlato, sai, al tempo ci si vergognava». Lamante racconta che sono stati anni diffcili per Schio, in generale per tutta la zona dell’Alto vicentino, anni di lotta, di eroina e di silenzi omertosi. «Tutte le storie che abbiamo ereditato sono state sempre narrate da uomini, dalla classica figura del padre padrone. Quella da cui è scappata mia zia quando era molto giovane. Nel 1973 è andata ad Amsterdam perché voleva allontanarsi dal padre che non accettava il fatto che la figlia portasse avanti delle lotte, anche sul suo corpo, dal non volersi sposare o avere figli al volersi fumare le canne. Alla fine è riuscito a riportarla a casa, poco dopo è morta di overdose. Questa violenza degli uomini, questo voler fare la storia delle donne della mia famiglia si è propagata generazione dopo generazione fino a me. Per me è molto importante quest’album, perché qui finalmente sono le donne a parlare».

Nel breve video con cui ha lanciato il disco ci sono donne riunite in un cimitero. Una di loro legge un testo a una bambina: «C’era una volta una donna che cantò la sua libertà, donne di tutto il mondo presero coraggio e fecero altrettanto». Lamante racconta in maniera fiabesca un mondo diviso a metà: da una parte le donne e dall’altra gli uomini che, spaventati dal canto d’indipendenza femminile, iniziano una guerra. «L’idea nasce da un sogno che ho fatto: stavo passeggiando tra i campi mangiando un melograno, quando sono apparsi alcuni uomini e hanno iniziato ad urlarmi contro. Per difendermi ho urlato più forte».

 

In pezzi come Non chiamarmi bella, Rossetto e Ultimo piano Lamante racconta che cosa significa per lei essere donna, il rapporto col sesso, il corpo e l’amore. Il sesso è una dipendenza, il corpo è po’ casa e un po’ prigione. Potrebbe divorare vivo chiunque provi a chiamarla bella. «Sia chiaro, spiegare il mio essere donna non è il motore della mia musica, ma ci tengo a raccontarlo».

Quand’era piccola Lamante ha fatto una lista di cose che avrebbe voluto fare entro i 25 anni: scrivere un libro, girare un film, entrare in parlamento con un partito chiamato I Testimoni di Giorgia, pubblicare un disco. «Ora sto scrivendo un libro, ho in programma di girare un corto con Nicolò Bassetto, ho scritto una ventina di pezzi per il mio secondo album. Sto ascoltando La natura delle cose di Gaia Morelli, mi sta piacendo tantissimo ed è fuori da qualsiasi etichetta di genere. Per il mio secondo album vorrei meno arrangiamenti, brani più scarni. Mi sono rotta il cazzo della solita struttura strofa-ritornello».

Il 23 maggio uscirà anche un suo featuring con Levante nella nuova versione di Duri come me contenuta nella nuova versione per il decennale dell’album Manuale distruzione. Carriera politica a parte, Lamante sta spuntando quasi ogni voce di quella lista. Chissà cosa penserebbe di lei la bimba sulla copertina di In memoria di? «Forse sarebbe incazzata, forse stupita. Comunque ormai lei non esiste più, l’ho persa facendo questo disco».

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