Siamo nell’epoca in cui tutte le canzoni hanno immancabilmente successo, tagliano traguardi, dominano classifiche. Col risultato che siamo a tanto così dal registrare lo scollamento tra quel che ascoltiamo e quel che ci dicono che stiamo ascoltando. Salvo poi scoprire che col tempo abbiamo finito per ascoltare quel che ci avevano detto che stavamo ascoltando.
Confusi? Prendete Makeba, la canzone che fa “Makeba ma qué bella”. Ne avrete sicuramente sentito parlare, l’avrete sentita, magari anche canticchiata. Forse nel 2015, quand’è uscita contribuendo a rendere celebre una ventiquattrenne francese multiculti di nome Jain (all’epoca in verità andava più forte un altro singolo tratto dal suo album, Come). È più probabile che l’abbiate orecchiata nell’estate del 2023, quando la canzone dedicata a Miriam Makeba ha avuto un inatteso revival. È una storia che ha a che fare col marketing del passato e la curvatura del tempo provocata da Internet.
La scintilla che ha ravvivato la popolarità della canzone è stata la viralità (chiedo scusa per la parolaccia) su TikTok, dove Makeba è associata a milioni di video (un comunicato stampa diceva 13 ed era luglio). Ecco allora articoli a non finire sul pezzo “virale con otto anni di ritardo”, sul potere di TikTok, su chi sarà mai questa Miriam Makeba, a beneficio di chi è nato dopo la morte della cantante e ha una connessione Internet, ma non usa Google. Le cose sono un po’ più complesse.
«Sistemi automatizzati permettono il monitoraggio continuo di qualunque brano», spiega Luca Fantacone, direttore del catalogo di Sony Music, l’etichetta che ha curato il ritorno di Makeba. «Può essere di grande interesse anche un incremento di ascolti modesto in termini assoluti, ma significativo in termini relativi. E così ai primi di maggio ci siamo accorti che qualcosa si stava muovendo attorno a Makeba, si notava un incremento del numero di stream e dei contenuti creati su TikTok usando il pezzo».
TikTok è una delle piattaforme in cui le vecchie canzoni ridanno segni di vita. In alcuni casi, è il principale punto di partenza di storie di rinnovato successo, in altri può essere l’inserimento in una serie o la riscoperta direttamente sulle piattaforme di streaming. «L’attivazione di un revival di questo tipo è sempre organica», assicura Fantacone. «È il pubblico che lo crea, non puoi fingerlo». Anche un revival spontaneo, però, deve essere alimentato affinché non si esaurisca e diventi qualcosa di grande. «Dopo aver verificato che le cose si muovevano, abbiamo favorito il trend facendo compagne classiche di adv online su Instagram, TikTok, Facebook, e abbiamo commissionato contenuti agli influencer, per poi cercare di capire, settimana dopo settimana, qual era il potenziale della canzone in termini di streaming».
La parola chiave è conversione, ovvero il passaggio degli utenti dai social alle piattaforme di streaming, o se la volete vedere in un altro modo, dall’uso del pezzo come meme alla fruizione come canzone vera, dall’ascolto passivo a quello attivo. È la transizione che assicura che un pezzo diventi di successo e faccia davvero guadagnare. «Per farlo, siamo andati dai partner digitali trattando Makeba come se fosse un pezzo nuovo. Quando ci siamo accorti che il pubblico lo percepiva come tale e che c’erano risultati sul fronte della conversione, siamo avanti cercando di capire qual era la settimana di luglio migliore per rilancialo in radio esattamente come se fosse appena uscito».
A luglio è comparso a Milano anche un cartellone pubblicitario che annunciava Makeba come “la hit della tua estate 2023”. Era presentata volutamente come una canzone appena pubblicata, anche se non lo era. In verità, non era nemmeno una hit. In quel momento il boom era auspicato, forse probabile o persino sicuro per chi ci stava lavorando, ma non assodato: la canzone era oltre il settantesimo posto della Top of the Music. Era anche terza nella classifica italiana di Shazam che registra quanta gente apre la app chiedendosi «che pezzo è questo?». Oggi sempre meno gente lo domanda. «Finora ha totalizzato circa 270 milioni di stream nel mondo, di cui 150 milioni dai primi di maggio 2023. Da 60 mila stream al giorno è passata a quasi due milioni e mezzo. L’Italia è il quinto mercato nel mondo per Jain davanti addirittura alla Francia».
Nella nostra classifica, però, Makeba non è mai andata oltre la posizione numero 49, certificata due venerdì fa. È molto alta per una canzone del 2015, tanto più che all’epoca entrò nella parte bassa della top 100 italiana. Forse però non è il boom che uno immagina? «Intanto va detto che la classifica è stradominata dal repertorio italiano», replica Fantacone. «Per definizione, è difficile che un pezzo internazionale arrivi in top 10. Deve essere una megahit o deve trattarsi di una superstar, mentre Makeba non è un pezzo semplice che arriva a tutti come Flowers di Miley Cyrus. Il nostro obiettivo era affacciarci in top 50».
Un piccolo revival ha provocato una campagna marketing che a sua volta ha rafforzato il revival, segnando il passaggio dallo status di frammento musicale spinto dall’algoritmo a quello di canzone che la gente va effettivamente ad ascoltare su Spotify e sugli altri servizi di streaming. A forza di dire che è una hit, Makeba lo è diventata. In un certo senso, il suo successo dopo otto anni è una profezia che si è autoadempiuta.
Abituiamoci: ci saranno sempre più casi del genere. «L’utilizzo come strumento anche inconsapevole della musica può riguardare qualunque artista e qualunque repertorio, vedi il caso di Una magica storia d’amore». È un vecchissimo pezzo di Gigi D’Alessio che è stato tra i più usati su TikTok in Italia in estate al fianco di Makeba, Mon amour, Italodisco. «Sono casi sempre più frequenti e hanno già cambiato il volto del catalogo», assicura Fantacone. Affinché accada, la canzone deve avere certe caratteristiche. Non sarà una hit “larga”, ma col suo carattere ostinato, il grido “ooohe” e il ritornello-claim, Makeba in fondo era un pezzo adatto a TikTok prima che esistesse TikTok.
Ci si può chiedere che spazio ci potrà mai essere per canzoni vecchie in un mercato che sforna decine di migliaia di canzoni nuove al giorno, a volte costruite ad hoc per essere ridotte in frammenti digeribili dai social. «C’è lo spazio che ci si riesce a conquistare. La sfida maggiore è il tempo limitato che il pubblico ha a disposizione: bisogna trovare la combinazione giusta per attirarne l’attenzione. Conta anche il mix di elementi: un buon pezzo a volte non basta, ci vogliono l’attivazione organica del pubblico e la pubblicità». E pure la disponibilità dell’artista a mettere da parte pianificazioni e orgoglio per lavorare una canzone di otto anni fa pur avendo, come Jain, un album pubblicato nel 2023. «E poi c’è la parte più importante: riuscire a trattenere il pubblico. Ok, non sapevi che esistesse Jain, hai scoperto Makeba, ora guarda che ha fatto altre cose. Difficile farlo, ma non impossibile».
Nell’epoca in cui le canzoni s’accorciano, e a volte esauriscono la loro funzione nei 10 o 15 secondi che bastano per un microvideo, cambia anche la percezione del tempo che passa. Fino a ieri, era accettata presso la discografia l’idea che dopo 18 mesi le canzoni non erano più una novità (la cosiddetta frontline) e diventavano catalogo, un declassamento diciamo così veloce dovuto anche alla rapidità con cui le canzoni vengono consumate e alla quantità di nuova musica che ogni giorno arriva sulle piattaforme. La curvatura temporale causata dai social sta cambiando la definizione di novità discografiche, che paradossalmente possono essere uscite anche tre, quattro, cinque anni fa.
Il boom di Makeba è significativo di un cambiamento dell’idea stessa di catalogo, «tant’è che sempre più spesso nelle case discografiche chi se ne occupa viene dalla frontline e utilizza la logica che viene applicata alle novità». E così, catalogo oggi significa due cose radicalmente diverse: da una parte l’anniversario, la ristampa, il boxset, la memoria venduta a un pubblico estremamente fedele che presidia il formato fisico, dall’altra le riscoperte che viaggiano in digitale.
Per chi apre Spotify e non ha memoria storica, Makeba è nuova tanto quanto The Fool, la title track dell’ultimo disco di Jain. La cronologia discografica non determina più automaticamente una gerarchia. «Al pubblico più giovane, quello della Generazione Z insomma, non interessa in prima battuta se un pezzo è di due, tre o cinque anni fa, e nemmeno se è un singolo o se è tratto da un album. A volte non si pongono nemmeno il problema di chi sia l’artista. Tutti i pezzi sono sulla stessa linea temporale: quella di oggi». Il passato è rivendibile perché non sappiamo o non vogliamo più distinguerlo dal presente.