Un pianoforte intristito dal detune, la sezione ritmica appena accennata e una voce antica e diluita nel riverbero, come se venisse da un luogo lontanissimo. Dopo la produzione sofisticata di The Color in Anything, con Rick Rubin, Frank Ocean e Justin Vernon, e l’ultima infornata di collaborazioni – King’s Dead con Kendrick Lamar e Future, Look Ma No Hands con André 3000 -, James Blake ha pubblicato il singolo Don’t Miss It, scritto insieme a Dominic Maker dei Mount Kimbie. Ed è un ritorno al minimalismo delle origini.
Nonostante il pitch-shifter, la voce tocca vette interpretative che mancavano dai tempi del primo album e l’arrangiamento è dosato al millimetro, perché una nota di troppo potrebbe distruggere quell’equilibrio sottile o riempire un silenzio importante. James Blake è tornato alla solitudine, ma è come se fosse riuscito a liberarsi di quelle atmosfere piovose per una nuova dimensione meditativa, soleggiata. Ora nei silenzi riverberati della sua musica non c’è più un vuoto da riempire, o l’alienazione esplicita dei suoi primi testi, ma una sorta di quiete.
Come l’ultima If The Car Beside You Moves Ahead, il nuovo singolo parla di andare avanti, spezzare loop di pensieri pericolosi – “And you really haven’t thought all those cyclical thoughts for a while?” o “When you can’t believe your luck / You get to hang out with your favourite person everyday / Don’t Miss It” – e aprirsi a un orizzonte più grande.
Arrivati allo special, poi, è impossibile non notare l’influenza dei Radiohead, sia nei suoni che nell’incedere solenne del pianoforte. Sembra quasi che da un momento all’altro il brano possa trasformarsi in Everything in it’s Right Place, o Videotape.
Con un brano così non servono video pomposi o grandi produzioni: è sufficiente riprendere il telefono di Blake mentre scrive il testo in una nota – “When you stop being a ghost in the shell / And everybody keeps saying you look well / Don’t miss it / Like i did” -, come facciamo tutti per i messaggi più difficili, per scegliere le parole importanti.