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John Cale è più vivo di tanti trentenni

A 80 anni d'età, in 'Mercy' il fondatore dei Velvet Underground cerca di reinventare ancora una volta il suo futuro e di dare un senso al passato. Come ha detto Bowie, «uno dei musicisti più sottovalutati della storia del rock»

Foto: Madeleine McManus

Quest’anno John Cale compirà 81 anni. Nei decenni che ci separano dalla fondazione con Lou Reed dei Velvet Underground, a metà anni ’60, il cantautore, produttore e compositore gallese ha fatto la storia, anche se in modo intenzionalmente anomalo. A parte i suoi album (tra cui capolavori come Paris 1919 e Fear), è stato attivissimo sul fronte delle collaborazioni. Ha prodotto dischi leggendari di Patti Smith, Stooges e Modern Lovers e ha realizzato ottimi LP in collaborazione con altri, come il tributo a Andy Warhol Songs for Drella con Lou Reed e Wrong Way Up con Brian Eno, entrambi del 1990.

Le sue quotazioni sono state altalenanti (il suo amico David Bowie una volta l’ha definito «uno dei musicisti più sottovalutati della storia del rock»), ma ultimamente sembrano essere altissime, in parte anche grazie all’ottimo documentario del 2021 di Todd Haynes sui Velvet Underground in cui si teorizza che, senza le idee sperimentali e la viola di Cale, la band ha cambiato il mondo sarebbe stata un normalissimo gruppo rock anni ’60.

Non è quindi un brutto momento per pubblicare un nuovo album e Mercy (il primo di Cale da un decennio a questa parte) è anche uno dei suoi lavori più interessanti.

Dopo averlo ascoltato, non si può fare a meno di considerare Mercy una summa del lavoro di Cale, se non addirittura l’atto finale: “Le vite importano / Le vite non importano / I lupi si stanno preparando”, canta Cale nella title track. Altrove dice che “non è la fine del mondo”, anche se spiega che potrebbe benissimo esserlo. In un disco in cui guarda in faccia il vuoto, Cale dimostra d’essere in fin dei conti un ottimista avvalendosi di musicisti più giovani e usando ritmi contemporanei, come l’hip hop che lui da tempo considera una versione moderna dell’avanguardia. Il produttore elettronico inglese Actress contribuisce a Marilyn Monroe’s Legs, un brano costruito su un drone arricchito da fraseggi d’archi e pulsazioni digitali, mentre gli Animal Collective lasciano la loro impronta bizzarra su Everlasting Days.

Uno dei temi dominanti dell’album è la distruzione, da Cale che evoca “la grandezza dell’Europa che fu… che ora sta affondando nel fango” in Time Stands Still con Sylvan Esso fino a immagini di devastazione personale nella dolente Noise of You e in Story of Blood, che si apre con una classica parte di piano alla Cale per poi lasciare spazio spazio a Natalie Mering (alias Weyes Blood) che appare e scompare come una memoria che non si riesce a cancellare.

L’album è tormentato anche dai ricordi dolorosi di vecchi amici scomparsi. Le collaborazioni tra Cale e Nico sono tra i punti più alti della carriera della cantante e la regale Moonstruck (Nico’s Song) non è da meno con i suoi archi severi e le tastiere che ricordano un harmonium: “Sei una signora tossica con la testa fra le nuvole, ti guardi i piedi / Sospiri parole in una lettera / Che andrà aperta alla tua morte”. L’andamento jazzato di Night Crawling, che parla di quando Cale frequentava David Bowie ed entrambi erano due giovani dei, è altrettanto sincera: “Non so nemmeno capire / Quando mi prendi in giro”.

Come il suo eroe e conterraneo gallese Dylan Thomas, John Cale s’infurierà contro il morire della luce. I fantasmi del suo passato saranno con lui fino alla fine.

Da Rolling Stone US.

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