Non prendere sul serio Kanye West è un rischio che almeno un paio di volte all’anno corriamo tutti. D’altra parte, lui si impegna veramente a fondo in tal senso, paradossalmente proprio perché si prende troppo sul serio: dichiarazioni roboanti e contrastanti, implausibili cambi in corsa, conversioni sulla via di Damasco, comportamento apparentemente irrazionale e capriccioso, assoluta e granitica mancanza di autoironia. La verità, come al solito, sta nel mezzo: Kanye è semplicemente un artista affetto da un disturbo bipolare che non ha alcuna intenzione di curare (a quanto pare è convinto che i farmaci influiscano sulla sua creatività, cosa che ovviamente non ha fondamento scientifico, perciò se siete nella sua stessa situazione, seguite i consigli del vostro medico), il che spiega molti dei suoi alti e dei suoi bassi. Detto ciò, in una scala che va da pazzo furioso a genio visionario, siamo senz’altro più vicini alla tacchetta di genio visionario. E il suo ultimo album Donda, partorito ieri a sorpresa dopo una gravidanza che definire elefantiaca è riduttivo, non fa che confermarlo.
Riassunto minimo delle puntate precedenti, per chi se le fosse perse: il nuovo album di Kanye era stato annunciato a luglio 2020, ma in quest’ultimo anno ha fatto in tempo a cambiare titolo (da God’s Country a Donda, in onore della madre scomparsa), tre copertine (dopo due rinomate opere d’arte astratta, attualmente la cover è un semplice riquadro nero), quattro release date (23 luglio, 7 agosto, 13 agosto e 25 agosto, tutte “bucate” senza spiegazioni) e a generare tre presentazioni in live streaming che hanno battuto praticamente qualsiasi record (7 milioni in merchandising venduto, oltre un miliardo di reazioni sui social, due volte battuto il record per il maggior numero di utenti connessi su Apple Music). Il tutto condito da misteriosi indizi disseminati per il web (come le coordinate che geolocalizzavano alcuni megaschermi sparsi per il mondo, che hanno spinto un perplesso caporedattore di Rolling Stone a chiedermi se per caso mi andava di recarmi in piazza San Babila alle tre di notte del 5 agosto per vedere cosa succedeva), dichiarazioni e smentite da persone coinvolte a vario titolo nella lavorazione, eccetera eccetera.
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Se pensate che la vostra estate pandemica sia stata un po’ bizzarra, sappiate che non può competere con quella di Kanye: dopo la prima presentazione ufficiale allo stadio di Atlanta, ha passato un paio di settimane in ritiro spirituale all’interno dello stadio stesso, dove pare dormisse anche, aggirandosi tra i tifosi con una calza di nylon in testa per mantenere l’incognito – sì, tutto vero – mentre cercava di assorbire l’energia circostante per completare il disco. La seconda parte l’ha trascorsa a ricostruire all’interno dello stadio di Chicago la sua casa d’infanzia, a cui poi ha dato fuoco durante l’ultima presentazione di Donda. Puro stile surrealista, insomma. A quanto pare l’hype ha funzionato, perché a meno di 24 ore dalla sua uscita è in testa alle classifiche di streaming in 136 Paesi. Tutto ciò non è bastato a rendere felice il nostro eroe, però: ieri sera ha dichiarato via Instagram che Universal avrebbe pubblicato il disco senza il suo consenso e che ha anche bloccato l’uscita di uno dei brani, Jail pt 2, che effettivamente ieri non era disponibile, ma nel frattempo è uscito.
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Ma parliamo dell’album, che in fondo è l’unica cosa che veramente conta. E in questo caso è anche l’aspetto in assoluto più sorprendente dell’intera operazione: già, perché dopo tanta cagnara, era legittimo aspettarsi un prodotto deludente. E invece, rispetto ai precedenti che sulla lunga distanza non erano risultati particolarmente ficcanti, Donda è un disco davvero notevole, innovativo, ricco di spunti futuristici, ma soprattutto anche di rimandi a ciò che Kanye West è stato nella fase iniziale della sua carriera, da The College Dropout a Yeezus, considerata universalmente (tranne dal diretto interessato, come è ovvio) la più brillante della sua carriera. Le canzoni tornano ad essere canzoni e non composizioni musicali astratte, e parlano al cuore e alla pancia, non solo al cervello e all’ego. La lista dei featuring è ricchissima, il che aiuta a trasformare Donda in un racconto corale, più che in un flusso di coscienza: dal ritrovato Jay-Z a Kid Cudi, da The Weeknd a Travis Scott, dai fenomeni della scena americana Playboy Carti e al compianto Pop Smoke ai controversi Da Baby e Marilyn Manson, e perfino le leggende dell’underground The Lox, Jay Electronica, Conway The Machine e Westside Gunn.
La presenza della religione, una delle sue ultime fissazioni, è pervasiva ma non soverchiante, e se si dimenticano i testi – non è un mistero che il talento di rapper di Kanye non sia assolutamente all’altezza di quello da produttore e musicista – l’album scorre meravigliosamente nonostante la sua lunghezza, 27 tracce per un’ora e quarantotto minuti. Probabilmente, una volta che avremo avuto modo di digerirlo, ci troveremo tutti d’accordo che buona parte di questi 27 pezzi sono poco più che filler e potevano tranquillamente essere lasciati fuori dalla tracklist finale, ma ci sono già dei brani che possiamo prevedere diventeranno dei nuovi classici: su tutti, Jail e le sue atmosfere ipnotiche e dilatate, God Breathed con la sua distopia elettronica, e l’orecchiabilissima Believe What I Say, che campiona in maniera brillante Doo-Wop (That Thing) di Lauryn Hill.
Da segnalare anche un gadget imprescindibile se siete dei produttori in erba: Donda Stem Player, che vi permette di regolare gli stem (ovvero le tracce dei singoli strumenti) di ogni canzone dell’album, creando i vostri edit e remix a piacere. Costa 200 dollari, ma cosa volete che siano i soldi dinnanzi alla possibilità di mettere in muto la voce di Kanye West ogni volta che volete? (Kanye, si scherza. Ti amiamo. Se tu non ci fossi, bisognerebbe inventarti).