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Kim Gordon, bondage e punk giapponese in ‘Un lavoro da donne’

La bassista dei Sonic Youth racconta il suo progetto Free Kitten all'interno dell'antologia curata insieme alla scrittrice Sinéad Gleeson, in uscita l'8 marzo per BigSur. Un estratto

Foto di Natalia Lamantini

La prima volta che ho incontrato Yoshimi è stato a Tokyo, dove i Sonic Youth avrebbero tenuto il loro concerto d’esordio in Giappone. Era il classico piccolo club, molto affollato e caldo, durante il nostro Daydream Nation Tour del 1998. Yoshimi portava in testa un paio di quelle mutande con i giorni della settimana, ho dimenticato quale giorno. Io avevo il jet lag, ero stanca e nervosa al pensiero di suonare. Il club era buio, ma all’improvviso esplose grazie ai Boredoms, che erano anche loro in cartellone. Furono sconvolgenti. Lei era una forza della natura alla batteria, mentre Eye, il cantante, dava tutta la sua attenzione al pubblico. Eye era minuto e sembrava un lampo di energia scagliato nella folla, le sue grida simili a un esperimento elettrico. La batteria di Yoshimi picchiava mentre lei saltellava su e giù, aggiungendo più forza a ogni colpo con i suoi movimenti. Le chitarre vorticavano nell’aria pesante e si mescolavano ai nostri corpi, mandandoci il cervello in pappa. Da ascoltatrice era una sensazione di disorientamento, come stare appoggiati sul soffitto anziché sul pavimento, o di non orientamento. Le pareti svanivano sullo sfondo e l’architettura era stata sostituita da dissonanza e caos. Mi fece pensare alla No Wave newyorkese e a come le strutture delle canzoni fossero libere e poco convenzionali. Mi sono sempre chiesta quale fosse il legame: come facevano a conoscerla? O era soltanto l’incontro con degli spiriti affini? Suonare musica free/sperimentale è un atto di grande coraggio.

Quando io e Julie Cafritz abbiamo chiesto a Yoshimi di suonare con noi nel nostro duo, le Free Kitten (poi si è aggiunto Mark Ibold al basso), la barriera linguistica sembrava irrilevante. Yoshimi capiva l’inglese meglio di come lo parlasse ma abbiamo passato un sacco di tempo a ridere fino alle lacrime e abbiamo legato facendo shopping e andando alla ricerca dei sandwich al tonno perfetti. Il primo tour delle Free Kitten in Giappone ha fatto di noi una band. Suonando ci siamo fuse insieme. La musica che abbiamo intuito e prodotto insieme ci ha fatto capire che eravamo delle outsider, dato che tutte noi avevamo suonato musica eccentrica in gruppi formati da uomini. Finalmente, grazie al progetto di questo libro, sono in grado di chiedere a Yoshimi delle cose su cui mi sono sempre interrogata, sollevando il velo con l’aiuto di un traduttore. Non riuscivo a ricordare bene com’era andata quando le avevamo chiesto di suonare con noi nelle Free Kitten, e allora ecco da dove sono partita…

Yoshimi Yokota è nata nel 1968 a Okayama. Era un’epoca di grandi sommosse e proteste studentesche in Giappone. Se la cercate su Wikipedia non compare il suo nome per intero, solo Yoshimi P-We. È nota soprattutto per essere la batterista principale della rock band sperimentale dei Boredoms, amatissima e molto influente, fondata da Yamataka Eye nel 1986. Ha suonato per la prima volta con Eye negli Ufo or Die. Yoshimi ha anche una band tutta al femminile, le ooioo, oltre a occuparsi di diversi altri progetti musicali, tra cui i gruppi improv Saicobab, Saicobaba, e di una linea d’abbigliamento all’avanguardia, Emeraldthirteen. Ha due figli. Qualche anno dopo il nostro incontro, io e Julie Cafritz (Pussy Galore, stp) le abbiamo chiesto di entrare a far parte del nostro irriverente duo, le Free Kitten, che avevamo formato per sfizio, come contraltare della scena free improv del CBGB, tutti maschi bianchi piuttosto inclini agli eccessi, che si esibiva nelle matinée la domenica. Era uno scherzo, non ci prendevamo sul serio!

Yoshimi: Mi pare che fosse il 1992. Grazie a John Zorn, i Boredoms riuscirono a fare il loro primo tour negli Stati Uniti, come spalla dei Sonic Youth. Durante il nostro primo tour americano successero un sacco di cose, ma dopo cinque date sulla costa est insieme ai Sonic Youth registrammo il nostro quarto album, Wow 2, prodotto da John. Lo incidemmo nello studio di Martin Bisi in circa quattro giorni, e poi ricordo che tenemmo il nostro ultimo concerto del tour americano nel 1992 al Roseland di New York, sempre con i Sonic Youth, e si dà il caso che quella sera fu anche la prima performance dal vivo dei Jon Spencer Blues Explosion. In quel periodo ero ospite in diverse case di amici, a New York. La mia amica Tomoyo si prendeva sempre cura di me quando eravamo in città, e per un po’ rimasi a casa sua. Un giorno Kim, Thurston e Julie si presentarono senza preavviso alla porta di Tomoyo e dissero: «Yoshimi! Prendi le bacchette e la tromba e sali con noi su un taxi!» Così ci dirigemmo verso uno studio, e arrivati lì mi fecero ascoltare Oh Bondage Up Yours! degli X-Ray Spex. Mi dissero: «Ora impara questa canzone, cominciamo subito a registrare!» Era la prima volta che la sentivo, così la riascoltai un po’ di volte, poi seguii la parte di sax con la tromba e diedi una mia interpretazione della batteria, diciamo così (ride).

Ricordo che feci una cover a modo mio subito dopo averla ascoltata. Vidi che Kim e Julie suonavano tutte e due la chitarra e pensai: Niente basso? Nel pezzo cantavamo tutte e tre, e mi dissero: «Yoshimi, devi gridare», allora gridai più forte che potevo. Julie e Kim mi dissero che avevano formato un gruppo che si chiamava Kitten e volevano che io suonassi la batteria con loro, e io feci: «Sì, certo!», e fu così che nacque la band, in quattro e quattr’otto. Non parlavo bene l’inglese, quindi per me fu un’esperienza davvero entusiasmante e divertente. Mi fece capire che anche se non si parla molto, basta fare quello che devi fare, divertirti ed essere te stessa per comunicare. Abbiamo fatto tutto rapidamente, senza neanche parlarne troppo, ed è stato facilissimo. All’epoca avevo capito male la pronuncia della parola «kitten», pensavo fosse «kitchen». I componenti di un’altra band che si chiamava Kitten si lamentarono del fatto che avessimo lo stesso nome, e così ricordo che cambiammo il nostro, subito dopo il mio arrivo, in Free Kitten. Finché non ho visto il nome Free Kitten sul nostro picture disc di Oh Bondage Up Yours!, pensavo che il nome della nostra band fosse Free Kitchen (ride).

Ricordo un’altra cosa che dissi a Kim all’epoca. Le dissi: «In Giappone, quando le persone compiono vent’anni, prendono parte a una cerimonia di celebrazione della maggiore età che si chiama seijin no hi, in cui le donne indossano dei kimono tradizionali, i furisode, e gli uomini degli haori-hakama. Io non sono andata alla cerimonia, ma mi sono messa un furisode come se fosse un cosplay, e ho scattato questa foto. Te la regalo, come dono dal Giappone». Allora stavo a casa di Tomoyo, che faceva la dominatrice nell’ambiente BDSM. Perciò quando stavo da lei mi faceva indossare il suo costume bondage, e mi feci scattare una foto per scherzo. Dissi a Kim: «Ehi, mi sono fatta questa foto in cosplay. Non farle vedere a nessuno, sono un regalo solo per te!» Kim mi ringraziò, ma ora che ci penso mi sa che fece un sorrisetto maligno, come se le fosse venuta un’idea…

La nostra cover di Oh Bondage Up Yours! fu pubblicata dalla Sympathy for the Record Industry, un’etichetta che stampava soltanto singoli 7”. Sul lato B c’era una versione dal vivo di una canzone che le Free Kitten avevano suonato in Giappone. Ho capito che Kim mi aveva fregato quando vidi il picture disc con me che indossavo il mio costume bondage sul lato di Oh Bondage Up Yours! e con il furisode sull’altro lato, dove c’era la versione live di 1,2,3 registrata allo Shelter Club di Tokyo. Così mi vidi con questi costumi addosso sul disco che girava sul piatto, e non avevo modo di impedire che la gente vedesse il disco… ma mia madre vide il lato in cui portavo il kimono e mi disse: «Che bella foto!», come se fosse uno di quei piatti su cui la gente si fa stampare la propria foto come souvenir. Diedi un po’ di matto quando il disco uscì, ma ora, ripensandoci, sono contenta di aver vissuto quella esperienza.

Tratto da Un lavoro da donne a cura di Sinéad Gleeson e Kim Gordon (Big Sur, in uscita l’8 marzo 2023). Traduzione di Chiara Veltri.

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