A volte si può vincere perdendo. Quello che potrebbe sembrare un semplice gioco retorico ben si applica invece al nuovo momento della carriera di Mahmood. L’artista non è riuscito a mantenere il suo incredibile record e – per la prima volta dopo tre partecipazioni (due tra i big, una tra i giovani) – non si è aggiudicato la vittoria a Sanremo. Certo, quel sesto posto gli sarà rimasto un po’ indigesto (entrando nella cinquina dei più votati avrebbe affrontato una nuova votazione che, come abbiamo visto con Angelina Mango e Geolier, poteva ribaltare tutto), ma il successo di Tuta gold al di fuori dell’Ariston è stato immediato.
Tuta gold in questa prima settimana di vita ha fatto il suo: primo nella Top 50 di Spotify Italia, brano italiano più streammato all’estero, primo nella classifica Earone e FIMI e settimo tra i testi più cercati su Genius. Non ha portato il palmarès sanremese a numeri spaziali (quattro su quattro sarebbe stato francamente troppo), ma il grande rapporto tra la carriera di Mahmood e il Festival è stata l’ennesima opportunità per renderci conto del livello del cantante nel panorama italiano.
In un Paese che storicamente fatica a costruire in casa delle popstar credibili ed esportabili, Mahmood è l’eccezione: presenza scenica, carisma, sonorità esterofile, il tutto condito da una sempre più attenta cura dell’estetica e un pensiero creativo (anche solo la scelta di portare nella serata dei duetti sanremesi una versione di Come è profondo il mare di Lucio Dalla, ma rivista con tanta terra, quella sarda dei Tenores di Bitti, è un’attenta mossa che unisce radici e futurismo e che si allinea a una certa wave avant-pop) capace di travalicare le Alpi quanto il Mar Mediterraneo. Saranno serviti gli Eurovision e i tour europei (il prossimo parte il 4 aprile), ma mai come in questo momento il progetto Mahmood sembra essere a fuoco, dentro e fuori dai confini nazionali.
E a fuoco, infatti, è l’immagine correlata del suo nuovo album, Nei letti degli altri, uscito proprio oggi, nel quale Mahmood viene immaginato in forma post-umana dal genio di Frederik Heyman (già al lavoro con l’oltreumano per eccellenze come Arca, Beyoncé, Honey Dijon, Björk), che ha curato anche l’artwork del primo singolo del disco Cocktail d’amore e che dimostra – in linea con la collaborazione tra David LaChapelle e Tedua per il disco di quest’ultimo – che gli artisti italiani sono pronti a mettersi in gioco su un campo più ampio di quello della nostra stretta penisola.
Un concetto nell’album di Mahmood ribadito in particolare da NLDA Intro, collaborazione con la performer e artista multidisciplinare brasiliana Slim Soledad del collettivo queer Chernobyl, celebre figura della club culture berlinese di questi giorni, che rilancia proprio questa voglia di internazionalità che Mahmood sembra sempre più intenzionato a portar fuori da sé.
NLDA, per molti versi, resta ancora un disco molto italiano, non solo per la scelta dei featuring (Tedua, Capo Plaza, Chiello), ma anche per un suono ancora spesso frenato dall’alto soprattutto nelle ballad che occupano gran parte di questa scaletta. In alcuni momenti però il futuro è ora: oltre al già citato Intro, nel raggaeton di Neve sulle Jordan, nel baile funk incorporato in Tuta gold o nelle idee soniche di Bakugo.
Di NLDA uscirà nel breve futuro anche una versione espansa con tre nuove tracce, come spoilerato da Mahmood sui social, in cui apparirà – proprio a tema internazionalità – un featuring con la popstar belga Angèle, già al lavoro con Dua Lipa per la hit Fever.
Nei letti degli altri non rivoluzionerà la storia della musica pop in Italia, ma sarà molto utile per Mahmood per compiere l’ennesimo step della sua ancora giovane carriera (siamo al terzo album in cinque anni, per intenderci). Non è un caso che questa volta arriverà anche il primo Forum, annunciato e andato sold out in brevissimo tempo appena terminato Sanremo. Il pensiero di oggi su Mahmood, e forse più che mai, rimane lo stesso: ad avercene di artisti italiani così internazionali.