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La filosofia di Richard Benson (sì, la filosofia)

È stato ridotto a macchietta trash dalla mitizzazione goliardica. E invece esprimeva un’esistenzialismo quasi titanico. L’intervento di uno scrittore e critico letterario che la prossima settimana ne parlerà al Tlon Fest a Roma

Foto: Chiara Barzini

Si terrà dal 18 al 20 luglio a Villa Ada, Roma la quinta edizione di Tlon Fest: pensare la musica (ingresso gratuito, qui il programma completo). Filosofi, musicisti e intellettuali dialogheranno tra alto e basso di Mozart e Raffaella Carrà, di Franco Battiato e della filosofia del grunge, di AI e boy band. Lo scrittore e critico letterario Adriano Ercolani parlerà di Richard Benson. Gli abbiamo chiesto di raccontare ai lettori di Rolling il musicista andando oltre la macchietta.

Facciamo un gioco da intellettuali annoiati: vi elencherò alcune citazioni e voi proverete a indovinarne l’autore. “Io non voglio ergermi su altari fatiscenti, io voglio soltanto dire la realtà!”: Louis-Ferdinand Céline? Vladimir Majakovskij? “Un giorno verrà il dio del metallo e tutti lo riconosceranno perché le sue unghie saranno plettri”: J.G. Ballard? Philip K. Dick? “Maria sventurata, piena di strazio / Fiumane di figli, etichettati bandiere / Sono solo il liquame delle tue messe nere”: Lautréamont? Antonin Artaud? “Vecchi testamenti di vecchie nelle tue mani a croce / Hai circonciso la carità nella tua indole feroce”: Dino Campana? Il primo Marinetti? “La vita è il nemico”: Giacomo Leopardi? Jean-Paul Sartre?

Ebbene no, signori, tutti questi proclami visionari, questi versi dalla imponente potenza visionaria nascono dalla stessa fonte: la mente incendiaria, enciclopedica e infernale di Richard Benson. Anzi, di Richard Philip Henry John Benson. E non di Riccardo Benzoni, l’inesistente identità romanaccia con cui ironicamente veniva appellato il musicista e divulgatore musicale scomparso il 10 maggio 2022.

Scopo di questo intervento è proprio quello di restituire dignità intellettuale a una figura che, nella deriva incontrollata della mitizzazione goliardica, è stata troppo presto ridotta a una macchietta trash. Richard Benson non era (o non era solo) quello degli ultimi anni, dove si esibiva dietro a una rete metallica per proteggersi dal lancio di oggetti, cibo, liquami di natura varia e ambigua, mentre a sua volta insultava il pubblico tra bestemmie e racconti improbabili. Come ha scritto a caldo dopo la sua scomparsa, col suo consueto magistrale equilibrio tra competenza accurata e passione folle, Demented Burrocacao su queste colonne: “Rappresentava sul palco l’esorcismo definitivo alla vita di ognuno di noi, era il catalizzatore di tutti i sentimenti estremi: la rabbia, l’amore, il dileggio, l’adorazione, lo scherno, il carisma, l’ilarità, la compassione, la bestemmia e la poesia. Nessun artista è mai riuscito a evocare una così vasta gamma di emozioni in un solo momento e soprattutto nessuno come lui è mai riuscito a sostenere sul palco una simile potenza, che gli ritornava prontamente indietro come un boomerang che a volte riusciva a prendere al volo a volte no”.

Sul valore innegabile di Benson come divulgatore musicale, pioniere della diffusione del metal in Italia, primo vero volto televisivo (sulle reti locali romane) della controcultura musicale si sono espressi, tra gli altri, Carlo Verdone a Federico Zampaglione (il primo lo volle in un memorabile cameo nel film Maledetto il giorno che t’ho incontrato, il secondo produrrà il disco L’inferno dei vivi nel 2015); sul suo valore come musicista, protagonista degli storici festival progressive degli anni ’70 a Villa Pamphili e poi valido chitarrista metal, che ha sempre prediletto la velocità alla precisione, ormai il giudizio è pacifico.

Nel citato commosso commiato, Demented lo accostava a diversi totem della controcultura: “quasi il nostro GG Allin”, “il rovescio degli incubi di Captain Beefheart”, “sembrava uscito da un fumetto di Tamburini”. Tutti riferimenti puntuali e pertinenti. Io vorrei sottolineare un aspetto quasi mai indagato della figura di Benson, troppo presto cannibalizzata dal “personaggio” trash: la visione filosofica.

Richard Benson: dietro i suoi racconti assurdi e divertentissimi (da “il gaio in giallo” a “il signor Jonz”), dietro i suoi monologhi più spiazzanti (quello di 11 minuti sul timido studente d’arte che scopre improvvisamente il suo carisma e si rivela alla fine essere Adolf Hitler), dietro le perle di saggezza più tradizionali (il nonno che a un commento sul tempo gli risponde “Nipote, per gente come noi piove sempre”, riferendosi al sudore della fatica nei campi), nell’apparente bizzarria strampalata delle sue considerazioni, a un ascolto attento emerge una Weltanschauung abbastanza chiara e solida. Al di là di certo sessismo ostentato e certe provocatorie strizzate d’occhio al satanismo e alle ideologie più deliranti (in larga parte dettate dalla maschera metallara), nei “discorsi” di Benson emerge un’esistenzialismo quasi titanico, un’opposizione fiera e giocosa al Gran Nemico che è la vita. Una visione della vita fondata sulla consapevolezza del dolore, combattuto con le armi della fierezza, dell’ironia giocosa, della musica, quindi dell’arte. Il tutto presentato con un impatto vocale alla Carmelo Bene, con una pronuncia da coatto antico venata di anglismi, con un look che da fascinoso è diventato progressivamente sempre più grottesco. Ma prima di essere trash, Benson è stato cool, o come si diceva nella sua Roma anni’80, “un fico”.

Lui spesso amava ripetere: «Io non sono mai morto», riferendosi alle 11 volte in cui aveva rischiato la vita (la più famosa è l’incidente, mai chiarito, che lo vide cadere da Ponte Sisto sulla pavimentazione sottostante, con devastanti conseguenze sulla sua abilità chitarristica), per questo chiamava la morte «una micetta». A questo punto, vorrei concludere con un momento commovente del bellissimo documentario di Maurizio Scarcella, Richard Benson – La vita è il nemico; in uno spezzone in cui parla con l’amico Massimo Marino, televisivo Caronte notturno nella catabasi dei locali romani più “porcini”, altro grande idolo della nostra adolescenza goliardica, Benson dichiara: «Dopo la nostra morte, si parlerà ancora di noi».

Avevi ragione Richard, eccoci qui ancora una volta a celebrarti in cima alle nostre gerarchie infernali.

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