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La grande illusione delle musiche di ‘Joker: Folie à Deux’

Lee canta per ingannare Arthur. I criminali intonano la vana speranza d’uscire dal manicomio. Il Joker diventa performer in fantasie irrealizzabili. Cantare attraverso una maschera, al confine tra fantasia e allucinazione

Foto: Niko Tavernise/Warner Bros

Attenzione: questo articolo contiene spoiler relativi al film Joker: Folie à Deux. Se non l’avete visto e non volete conoscere scene e dettagli, non leggetelo.

Stavolta sulla scalinata del Bronx non si saltella allegramente sulle note del rocker pedofilo Gary Glitter. Fuggito in modo rocambolesco alla giustizia e ai propri supporter, che son matti quanto gli stan delle popstar odierne ma più pericolosi giacché non si limitano a delirare online, Arthur Fleck incontra di nuovo Lee Quinzel. Lui fantastica sulla vita che s’erano ripromessi di fare senza più maschere, lei ha tutt’altre idee per la testa. Lui parla, lei canta. Quando Arthur chiede a Lee di fermare la seducente e bugiarda colonna sonora del loro amore, di smettere cioè di cantare e di cominciare a parlargli sul serio, si capisce una volta per tutte che la musica in Joker: Folie à Deux raramente rappresenta il reale. È quasi sempre immaginazione se non menzogna. Magnifica, ma pur sempre menzogna.

Quando cantano nel film, i personaggi lo fanno spesso attraverso una maschera oppure ballano e si sgolano allegramente al confine fra (auto)illusione e allucinazione, a volte follia. Gli ospiti del manicomio criminale canticchiano spesso When the Saints Go Marching In, il gospel di chi s’immagina unirsi allegramente alla schiera dei santi. Non oggi e neppure domani, ma nel giorno del giudizio. Anche volendolo interpretare come un canto di liberazione mascherato da inno religioso, come facevano i neri nelle piantagioni che cantavano una cosa per alludere segretamente a un’altra, quelle note allegre stridono nelle bocche di quei disadattati. Santi non ce n’è nei cessi in cui i detenuti dell’Arkham State Hospital svuotano ogni mattina i secchi pieni di piscio.

La colonna sonora, si sa, viene in buona parte dal grande canzoniere americano da cui sono presi pezzetti per costruire una jukebox musical, che sarebbe poi il gran spettacolo di ballo e canto che ha luogo nella testa dell’antieroe del film. E però nei jukebox musical le canzoni sono ricontestualizzate per raccontare la storia, qui spesso per evocare la non-storia di fantasie e vagheggiamenti. C’è anche un sottotesto religioso: la salvezza non è di questo mondo, è sempre rimandata a un vita che verrà, e cioè non arriverà mai. La storia fra Arthur e Lee comincia quando lui la intravede nella sala musica dove un coro sta intonando l’inno cristiano Will the Circle Be Unbroken. Il canto dovrebbe portare beneficio a personalità divise, ma la musica ci dice che la ricomposizione delle cose e degli affetti è rimandata al regno dei cieli. La stessa Get Happy di Harold Arlen e Ted Koehler che Lee accenna con un filo di voce ad Arthur e che Lady Gaga rifà con tutt’altra intenzione nell’album legato al film Harlequin affonda le radici negli spiritual e fa intravedere una terra promessa che verrà, sì, ma dopo la morte, anche se il “judgement day” del testo potrebbe essere nel contesto del film qualcosa di più terreno e decisamente sinistro.

E che cosa cantano i due amanti quando progettano un futuro assieme? Gonna Build a Mountain, un pezzo del 1961 tratto dal musical Stop the World – I Want to Get Off, ma chiaramente ispirato al gospel afroamericano. Se la fede muove le montagne, loro due possono costruirne una, di montagna, e cioè trovare il paradiso nell’inferno. S’ascolta la canzone, che in Harlequin è fatta dalla sola Lady Gaga, come duetto fra Arthur e Lee ed è anche al centro di un numero in un club, quello in cui il Joker fa tip-tap e Harley Quinn suona piano e organo. E ancora, «costruiremo una montagna» dice lei a un certo punto, seducendolo. Però poi tira fuori il rossetto e lo trucca da Joker. Non vuole l’uomo, vuole il fenomeno. La montagna c’è, ma è fatta d’illusioni e difatti pare disperatamente sopra le righe la versione che Phoenix/Fleck interpreta nella colonna sonora. La carica del gospel è svanita e con essa l’illusione del grande amore.

Quando non è bugia, sogno o riscatto effimero, la musica del secondo Joker è uno spettacolo di varietà che sembra uscito da un vecchio film. Il bel valzer Folie à Deux scritto dalla popstar ci porta un’irreale Ga Ga Land e quando i due si cantano addosso (They Long to Be) Close to You è un bel momento, ma non si riesce a crederci fino in fondo. È un classico firmato Bacharach-David che è stato immalinconito negli anni ’70 dai Carpenters, gruppo amato da Gaga. Nella versione del film più che in quella di Harlequin, dove ha sua compostezza incantata, il candore naïf del testo in cui gli uccellini si materializzano cinguettanti quando passa l’amato è macchiato dalla consapevolezza che quel mondo da cotta post adolescenziale non s’addice a quella situazione e a quella Lee, manipolatrice e forse persino altoborghese che gioca alla rivoluzione. La musica è quasi sempre evasione o immaginazione come nel segmento in cui Harley e Fleck sono dei Sonny & Cher che cantano To Love Somebody dei Bee Gees. Quando il registro è brillante, lo è in modo smaccato e quasi parodistico. Nel mondo in cui si canta la gioia c’è della follia. È tutto intrattenimento, non solo il processo al Joker, ma anche la vita e l’amore.

In un film che disarma il suo antieroe e non lo sostituisce con un altro personaggio con cui empatizzare, un film che ci ritrae come spettatori attratti da una maschera e non dalla verità dell’uomo, la musica è spesso una promessa che non viene mantenuta e fa sembrare pure noi, che stiamo da questa parte dello schermo e che in un modo o nell’altro crediamo alle canzoni, degli Arthur scaricati da Lee sulla scalinata, in attesa che venga qualcuno a prenderci e a riportarci dentro un inferno.

È tutto così privo di speranza che alla fine il disco che racconta in modo più sincero il mood del film potrebbe essere quello di cui si parla di meno, il cupissimo commento sonoro dell’islandese Hildur Guðnadóttir. E forse uno dei pochi, spettacolari momenti di verità messi in musica sta fuori dal film e arriva da Happy Mistake, uno dei due inediti di Harlequin. La protagonista della canzone si nasconde dietro al trucco e recita la sua bella commedia dal testo tragico, col pubblico che applaude quella scena d’assurdo intrattenimento. Più che Lee, qui a cantare è proprio Gaga, che racconta i suoi travestimenti, i suoi personaggi, il modo in cui ha tentato stando sul palco di uscire dal ruolo di strung out girl. L’ha spiegato lei recentemente a Zane Lowe che esibire sul palco le proprie fragilità quando si è molto giovani, e diventare una celebrità per questo, è come farsi ogni sera d’eroina e vivere all’interno di una grande illusione.

Suona perciò beffarda la canzone che s’ascolta in fondo alla colonna sonora del film. La canta Joaquin Phoenix, sono i due minuti di True Love Will Find You in the End di Daniel Johnston, cantautore di culto che ha fatto i conti per una vita con la salute mentale, maestro d’intonazione sballata diventato idolo degli spostati di mezzo mondo. “Il vero amore ti troverà alla fine”, canta l’attore con voce tremante invitandoci a non arrenderci.

Ha ragione il regista Todd Phillips quando dice che da un musical di solito esci più leggero e da Folie à Deux invece no. Anche le canzoni partecipano al gioco di questo film che parla di non dare al pubblico quel che desidera e lo fa spiazzando le aspettative di chi ha amato il primo Joker. Musica e parole sono quelle dei bei musical d’una volta che Fleck vedeva in tv con la madre, ma sono ricontestualizzate in modo lievemente cinico perché non ti danno quel che vuoi, ma anzi ti spingono a pensare che non è bene fidarsi delle canzoni e di chi le canta. Che crudeltà: chi vuole smettere di credere nel potere della musica? Chi vuol pensare che è sempre e solo intrattenimento?

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