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La sintesi delle ossessioni di Roger Waters: la recensione originale di ‘The Wall’ dei Pink Floyd

Follia, rabbia poetica, spirito antimilitarista, misantropia, oppressione sistemica. Ecco come Rolling Stone accoglieva nel 1980 l’ultimo grande capolavoro della band inglese

Foto: Evening Standard/Getty Images

L’indiscusso Meisterwerk dei Pink Floyd resta The Dark Side of the Moon, ma il dodicesimo album del gruppo, The Wall, è il più eloquente in assoluto dal punto di vista dei testi. Nell’arco di quattro facciate Roger Waters, autore di tutti i testi e di buona parte delle musiche, offre una visione complessa e cupa delle società occidentali (e in particolare di quella inglese) dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Ed è talmente lugubre e pungente da fare sembrare cantori contemporanei noti per le visioni oscure come Randy Newman o Nico delle specie di Peter Pan e Campanellino.

The Wall è l’incredibile sintesi delle ossessioni di Waters: ci sono la brutale misantropia di Animals; l’acida tristesse di mezza età di Dark Side of the Moon; l’idea del music business come luogo di oppressione istituzionale (Wish You Were Here); le psicosi incombenti che attraversano tutti i dischi citati; l’acceso spirito antimilitarista che risale a A Saucerful of Secrets del 1968. Ma laddove in Animals, per fare un esempio, era rintracciabile un certo autocompiacimento, nell’ancor più miserabile The Wall c’è una rabbia poetica implacabile che è chiaramente genuina e in un ultima analisi sconvolgente.

Realizzato come una struttura labirintica circolare, con le ultime parole del quarto lato che iniziano una frase completata dalle prime parole del primo lato, The Wall non offre alcuna via d’uscita se non la follia da un mondo che sembra costruito per vanificare ogni tuo sforzo. È un processo che, almeno per quelli della generazione di Waters, inizia fin dalla nascita col soffocante amore materno e va avanti col dramma del Blitz evocato nei testi: “Vi siete mai chiesti perché dovevamo correre al riparo quando la promessa di un nuovo mondo coraggioso si srotolava sotto un cielo azzurro e limpido?”. Nelle scuole pubbliche i bambini vengono metodicamente tormentati e umiliati dagli insegnanti, che a loro volta sono puniti quando tornano a casa la sera dalle “loro mogli grasse e psicopatiche che li picchiano fin quasi ad ucciderli”.

Per come la vede Waters, persino il traguardo più sfavillante che si taglia in età adulta – nel suo caso, la fama internazionale – non ha alcun senso di fronte all’idea della morte. Svanisce persino la speranza che si possa trovare salvezza nei rapporti interpersonali che rendeva meno cupo Animals: le donne sono viste come imperscrutabili pungiball sessuali e gli uomini (i loro aguzzini più prossimi in questa grande catena di oppressione) sono inevitabilmente lasciati soli con una frustrazione che si fa via via più insopportabile. E alla fine questo muro di condizionamento va a formare una prigione. Il suo pietoso detenuto, ridotto sostanzialmente in stato catatonico, si sottopone al processo, ovvero The Trial, un bizzarro cataclisma musicale alla Gilbert & Sullivan via Brecht & Weill in cui tutti i suoi aguzzini passati si danno appuntamento per la tanto attesa esecuzione.

È roba tosta che di solito non si trova negli album di successo. La resa commerciale di The Wall dipenderà quindi probabilmente dalle sue virtù musicali, che sono molte. I vecchi fan dei Pink Floyd troveranno i riff spaccaossa e le chitarre urlanti che cercano in un pezzo intitolato In the Flesh, ma anche una delle più belle ballate che la band abbia mai registrato, Comfortably Numb. Le parti vocali sono finalmente di prim’ordine, limpide e cariche di passione. Ascoltate com’ è interpretata la spaventosa One of My Turns. Il narratore è un rocker squilibrato con le sinapsi in fiamme che urla a una groupie: “Ti piacerebbe imparare a volare? Vorresti vedere che ci provo io?”.

Qualche aspetto meno positivo c’è. È vero che la lunghezza di The Wall è giustificata dall’ampiezza dei temi trattati, ma la parte musicale sembra un po’ troppo allungata. Il maestro del metal Bob Ezrin, chiamato a co-produrre l’album con Waters e il chitarrista David Gilmour, aggiunge un po’ di hard rock ad alcuni brani (si senta la quasi funk Young Lust), ma non sembra in grado di eguagliare la brillantezza sonora raggiunta da Alan Parsons ai tempi di The Dark Side of the Moon. E così al primo ascolto persino i fan più devoti dei Pink Floyd possono non sentirsi attratti dalle atmosfere sonore relativamente piatte di The Wall. Ma quando finalmente ci finiscono dentro, calandosi in questo mondo poetico cupissimo, finiscono per chiedersi come farne a uscirne, e pure velocemente.

Da Rolling Stone US.

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