Qualche giorno fa, Noel Gallagher ha pubblicato il videoclip di Black Star Dancing, riportando luce su un pezzo (originariamente uscito a margine della sua esibizione al Concerto del Primo Maggio) che nel frattempo abbiamo provato un po’ a nascondere sotto il tappeto. Se non altro per dargli tempo di venirci incontro, per farlo “crescere”, onde evitare un impatto così straniante con questa realtà che lui aveva provato già ad anticiparci a parole. Stentavamo a immaginarcela, ma adesso lo sappiamo: con le sue psichedeliche atmosfere fra il “cosmic pop” (già brevettato in Who Built the Moon?) e – soprattutto – la disco anni 70, il nuovo singolo di The Chief non è esattamente il brano che ci saremmo aspettati di trovare in cuffia, anni luce lontano da ciò che da venticinque anni siamo abituati a rintracciare su quelle coordinate – con Liam o senza.
Ecco: se già questo cambio ha stordito (non poteva fare altrimenti) e acceso tante bocche da fuoco, le dichiarazioni di Noel a margine del Concertone, a Radio Due, hanno fatto peggio. In sintesi: nel prossimo EP (che non sarà la sola uscita di quest’anno, pare) questo nuovo corso prenderà davvero il via, con drum machine e bassi in abbondanza, mentre le chitarre saranno pochissime. Panico. Riusciamo a immaginarci The Chief tutto disco e senza chitarre? No? Appunto: non riusciamo, ma non è detto che ci sia da aver paura. Anzi: non è proprio detto che, a prescindere dal risultato, sia una mossa per cui storcere il naso, questo voler dare una svolta alla propria direzione.
Chiaro, dichiarazioni del genere fanno rumore, e una cavalcata ballerina come Black Star Dancing – nonostante il lavoro di sdoganamento dal brit-pop di Who Built the Moon? – altrettanto. Ma non è un brutto pezzo, questo va detto, e finalmente porta iconoclastia e novità nel sacro mondo dei Gallagher. Perché se Noel e Liam sono (stati) sregolati nella vita, eretici a parole e supersonici nell’approccio, la loro musica è risultata sempre ultra-conservatrice – coi Beatles, e con tutta una certa tradizione brit. Ora, invece, è come se un nostro amico d’infanzia che continuiamo a frequentare tutti i giorni avesse cambiato di colpo taglio di capelli: prima di dare giudizi, uno straniamento iniziale è naturale; bisogna farci “l’occhio”, l’abitudine. Ci vuole tempo. Ma il coraggio della scelta (che pare comunque ponderata) resta.
Di più: se le carriere soliste di entrambi, così come la discografia della band post 2000, faticano a entrare nel cuore di molti, è sicuramente anche per la loro incapacità di allontanarsi dai modelli originali, di non evolversi mai davvero. The Chief in questo senso ha fatto più del fratello, ma l’ombra di Definitely maybe e Wonderwall resta, e la venerazione (quasi a effetto nostalgia) dei primi Oasis è un dato incontrovertibile. Insomma, se finora non c’è arrivata un’altra Live Forever è semplicemente perché non può esserci: meglio guardare altrove e non rimanere schiacciati. Sotterrare le chitarre, anche. Se serve.
E c’è un altro aspetto, poi, che mina l’opinione che il mondo ha di Noel Gallagher, perlomeno da parte di chi “ne sa” – giornalisti, musicisti e in generale una fetta di appassionati di musica. Riguarda proprio l’ultra-conservatorismo: la “battaglia del brit-pop”, per i critici l’hanno vinta i Blur. Perché? Perché hanno rischiato con dischi come Blur e 13, si sono spinti sull’alternative, sull’innovazione. Gli Oasis, invece, pur con un po’ di snobismo sono considerati troppo faciloni, guardinghi, propensi al collaudato. E a ritroso, è vero: i Gallagher non hanno mai osato, hanno preso i Beatles e li hanno sporcati, drogati (ancora di più), contaminati e post-modernizzati, ma poi sono rimasti lì. E una porzione di mondo ha continuato a preferirgli uno come Damon Albarn, che della sperimentazione ha fatto la propria ragione d’esistere. Ci è riuscito? Non sempre, ma ci ha provato, e ha spinto più in là l’asticella di volta in volta.
Conta questo, alla fine, e un eventuale nuovo corso potrebbe rompere quella cortina di sufficienza con cui il Nostro viene visto in determinati ambienti, oltre a smarcarlo dai suoi stessi schemi. Potrebbe darci un Noel nuovo: magari sperimentale, sicuramente coraggioso. E sì, ripensare la propria musica in maniera tanto radicale, eliminando quelle chitarre che hanno fatto gli anni Novanta, è la scelta più difficile per un guitar hero come lui. Ma se cancellare gli assoli, le curvature morbide e quei riff così lenti e goderecci non è roba da poco per The Chief, figuriamoci per noi, che ci coccoliamo ancora l’immagine assurda di una reunion tutta sei corde e brit-pop. Appunto: dobbiamo solo fare l’abitudine ai cambiamenti. Lasciamolo lavorare: forse, dopo 25 anni, sta per arrivare una prima, vera svolta nella sua carriera. Così fanno gli artisti, no?