L’avete sentito il pop meravigliosamente malinconico di Gaia Banfi? | Rolling Stone Italia
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L’avete sentito il pop meravigliosamente malinconico di Gaia Banfi?

Canzone d’autore ed elettronica. Memoria e innocenza. ‘La maccaia’ è uno dei dischi d’esordio più interessanti di questa prima parte di 2025. Ne abbiamo parlato con l’autrice, figlia di Baffo Banfi del Biglietto per l’Inferno

L’avete sentito il pop meravigliosamente malinconico di Gaia Banfi?

Gaia Banfi

Foto: Gloria Capirossi

Davanti al video di Seia mi blocco un attimo. Tra quelle immagini, fornite dalla fondazione Ansaldo, ne riconosco una in particolare: il fumo denso delle acciaierie di Cornigliano. Quello smog ha accompagnato tutta la mia infanzia. «Ah, pensa», dice Gaia Banfi, «io in realtà non ho mai visitato quella zona, ma Genova era la mia seconda casa. La famiglia da parte di mia mamma è tutta genovese». Quel mood ha finito per ispirare non poco la musicista che ha intitolato il suo primo album La maccaia.

La maccaia è un fenomeno meteorologico tipicamente ligure che ha luogo quando soffia lo scirocco, il cielo si copre e l’umidità raggiunge livelli molto elevati creando una sorta di substrato nebbioso che cavalca il mare e si confonde con esso. «Era l’atmosfera che mi circondava quando passeggiavo in Corso Italia. Passeggiate formative perché iniziavo ad ascoltare la musica, le prime cose che mi interessavano. Avevo 13-14 anni e facevo i miei primi pensieri sul futuro, divenivo consapevole dei miei desideri. Erano momenti di grandi scoperte, in cui, diciamo, i sensi erano tutti all’erta».

Ascoltando il disco si può immaginare questa ragazza (che è nata a Milano e vive da anni a Bologna) che si sofferma a osservare il lungomare genovese e prova sensazioni che avrebbero stimolato l’ispirazione per un disco “brumoso”, sospeso tra terra e cielo, con sette canzoni in un continuo dialogo col silenzio. «Questo album è sorta di flashback, un ritorno nei luoghi da cui tutto è partito».

La maccaia trasuda malinconia. Di quella bella, che è positivo provare a volte, chiusi in se stessi, con i propri pensieri, i propri mondi. Sintetizza paesaggi dell’anima. E il resto? Per restare in ambito genovese, la città offre due volti: quello solare del mare e quello oscuro dei carrugi. «Nel disco c’è anche quello, agevolato dagli ascolti di De André. Volevo capire le sfumature della sua musica e del dialetto. Tutte cose che, alla fine, sono velate anch’esse della malinconia che comunica il mio disco».

Si parte dal capoluogo ligure e si arriva lontano. I suoni sono tinti di elettronica, si sono velature world e post rock, tessiture ambient. Fotografano paesaggi ad ampio raggio. «Non mi sono focalizzata su un genere in particolare. Ho studiato jazz al conservatorio e da lì ho sviluppato tutta la questione dell’improvvisazione, dell’armonia… Poi la scoperta del prog, della musica elettronica. Mio padre ha lavorato con Klaus Schulze che mi ha influenzata molto. Al momento ciò che mi colpisce di più è la musica strumentale».

Il padre di Gaia, Giuseppe Banfi detto Baffo, è stato una delle colonne portanti di Biglietto per l’Inferno, autori di un solo album nel 1974 che ha lasciato il segno. Poi Baffo si è dedicato all’elettronica, incidendo lavori per l’etichetta di Schulze, ha lavorato con Mina e molti altri. «Mio padre mi ha permesso di conoscere tanta musica. In auto con lui si ascoltavano vari generi, è sempre stato molto aperto. In casa avevamo un sacco di dischi e mi ha insegnato ad ascoltare in maniera attenta. Il suo lavoro nel prog e nell’elettronica mi ha trasmesso una libertà che al conservatorio non ti insegnano».

Il disco di Gaia Banfi si inserisce un filone della musica italiana nel quale si possono includere Daniela Pes, Iosonouncane e i musicisti legati alla sua Tanca Records che fanno della sperimentazione il loro pane quotidiano. Una sperimentazione mai fine a se stessa, in qualche modo pop, con influenze disparate e molta voglia di espandere il tessuto (anche troppo rigido, in anni recenti) della canzone. «Sono felice che la mia musica venga associata a quei dischi. Ho conosciuto Jacopo e Daniela e ci vediamo spesso perché ci ritroviamo molto in sintonia».

Incredibile, tra le altre cose, il riscontro che artisti di questo genere hanno ottenuto, in tempi di trap e pop disimpegnato. «Secondo me le persone si stanno stancando di generi che sono un po’ fermi da tempo. Forse il pubblico si sta aprendo, sta avvertendo la necessità di ascoltare qualcosa che li possa stupire». Con personaggi come Pes o Incani, Gaia Banfi condivide l’uso di vari linguaggi nei testi, che sono per la maggior parte in italiano ma con parti in spagnolo e in inglese. «Lo spagnolo è stata una casualità, semplicemente avevo la volontà di collaborare con Rehhll, un’artista italo-argentina. Mi piace tantissimo come la voce può sfociare in diversi tipi di sonorità affrontando diverse lingue».

I testi, cantati con una voce in equilibrio tra suono e sogno, hanno un filo conduttore: la memoria e il ricordo. «Ho tirato fuori le cose che hanno fatto parte di me e continuano a farlo in modo più consapevole e maturo. Avendo 27 anni, ho cominciato a riflettere sulle emozioni vissute e su come le ho percepite. Non ho parlato di esperienze specifiche, ma mi è piaciuto raccontare alcuni eventi in modo emotivo, tirando fuori l’aspetto nostalgico e malinconico nel ripescare ricordi personali. Alla fine le canzoni si sono unite naturalmente, creando un risultato armonioso».

Sul tutto regna il desiderio di un viaggio a ritroso, ai giorni tra infanzia e adolescenza, come a volere mettere in scena gli stati d’animo con occhi ancora puri. «Insegno musica ai bambini, e vedendoli scoprire il mondo mi si sono spalancate porte su un mondo che avevo bisogno di esplorare. Volevo un approccio creativo che avesse la purezza e l’innocenza tipiche dei più piccoli. In questo modo si sono aperte visioni che da adulti si perdono un po’».

Gaia Banfi - Piazza Centrale

Gaia ha dimostrato tutte le sue abilità di musicista completa componendo, suonando e producendo La maccaia. «Sono però sempre stata affiancata da Aka5ha, che si occupa di mix e master, ma mi aiuta anche con diversi consigli sulla produzione. Negli ultimi tre anni ho lavorato per diventare il più indipendente possibile negli ambiti della produzione e dell’arrangiamento, avendo già una solida base teorica grazie ai miei studi. Mi mancava la parte produttiva, ma ho fatto molti progressi, anche se c’è sempre margine di miglioramento».

La maccaia è un ottimo inizio e fa sperare che Gaia Banfi possa spingersi oltre in futuro. Da lei e da artisti a lei vicini ci si aspetta che riescano ad espandere i confini con lavori sempre più avventurosi, che vanno in direzioni inaspettate. «Mi piacerebbe esplorare ancora l’elettronica, ma con un approccio più analogico. È una prospettiva che mi emoziona molto. La bellezza, secondo me, sta anche nel percorso che scegli mentre fai queste cose, sfruttando al meglio le situazioni e gli incontri che ti fanno crescere. Se fai ricerca musicale di questo tipo, non ti fermi mai».

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