Morgan: Mi scusa se le faccio un’intervista impossibile nello stile di Giorgio Manganelli nonostante non sia ancora morto? Cioè, intendo, nonostante lei, Amadeus, sia ancora vivo… sa com’è, sono sfumature linguistiche ma hanno il loro peso.
Amadeus: Guardi, non è certo quello il motivo per cui questa intervista io non desidero farla.
M: E quale è allora il vero motivo?
A: Semplice, io con lei non parlo perché sono certo mi metterebbe in difficoltà e io non tollero di soccombere per la sua superiorità linguistica, e anche per la superiorità musicale, quindi non accetterò mai un confronto pubblico con lei.
M: Ma allora chi mi sta rispondendo adesso se lei dice che non ha intenzione di confrontarsi?
A: Lo sa benissimo che è lei che fa le domande e dà le risposte, sennò non sarebbe nello stile di Manganelli.
M: Mi duole darle ragione, quindi cominciamo?
A: Prego.
M: Bene, come prima cosa le vorrei chiedere come si sente, riferendomi alla fatica che immagino comporti l’essere in un contesto che le è estraneo come il mondo della musica.
A: Mi sento molto bene, anche questa volta sono riuscito a superare gli imbarazzi e a non cadere nelle trappole dei giornalisti, ho portato a casa un buon risultato e credo andrò qualche giorno a riposare prima di tornare in video.
M: Io non pensavo tanto ai giornalisti quanto alla verità, che non c’entra con quel che si dice o non si dice ma sta su un altro livello.
A: Mi spieghi.
M: Se i giornalisti fanno giochetti per mettere chiunque in difficoltà per ragioni di appartenenza a schieramenti politici siamo sul piano della chiacchiera, della superficie, io scenderei più sulla verità delle cose, sempre che si riesca a percepire cosa intendiamo per “verità”. Senza troppo girare intorno le dico che mi incuriosisce a livello antropologico il suo apparire in scena, e anche lei accennava a un “imbarazzo” che vorrei magari tra poco approfondire, perché credo si presentino due aspetti fondamentali di cui non si è sentito parlare ancora e sono il suo rapporto con il bisogno di apparire e il suo approccio persecutorio nei confronti della musica. Iniziamo dal secondo. Perché lei è ossessionato dalla musica al punto da volerla con ostinazione controllare e gestire nonostante non sia un suo campo di competenza?
A: Perché la musica è meravigliosa.
M: E questo è vero ma lo sappiamo, ciò non toglie che non la riguardi nell’aspetto professionale, lei può goderne come tutti, ma perché vuole gestirne il mercato?
A: Perché è una cosa bella che piace a tutti e il suo mercato è un mercato molto florido, chiunque vorrebbe essere al mio posto. Io che ho trovato il modo di farlo non vedo perché non dovrei cogliere questa ghiotta opportunità. Pare che a molti stia bene.
M: Vediamo, le elenco qualche ragione per cui mi viene naturale pensare che al suo posto io non avrei accettato la direzione artistica per ben cinque mandati consecutivi, cosa che sarebbe strana, diciamo anche spaventosa, asfissiante, qualora lei fosse stato un brillante compositore di musica, perché sarebbe ugualmente stato un abuso di presenzialismo, una mancanza di ricircolo, di concorrenza libera del mercato, di estetica, di linguaggio, così come di fatto è, una cosa assai sgradita alle modalità democratiche a cui siamo abituati da quasi un secolo, si immagini poi che ci sono tante persone e sono tutte così diverse che questo eclatante esempio di fissità, di staticità, di rigidità è una paralisi culturale di notevole portata. Ma se a ciò aggiungiamo il fatto che si tratta di una arbitraria decisione totalmente invisa al mondo che direttamente coinvolge ovvero quello della musica, dei musicisti e degli ambiti artistici contigui che per solidarietà empaticamente risuonano con essa disperati, allora il tutto si fa decisamente insolito.
A: Lei dice che io non sono ben visto dal mondo della musica, ma si dimentica che le case discografiche mi sostengono perché io ho stabilito rapporti di alleanza con loro, e le radio anche.
M: Vede Amadeus, è in questo che davvero manca una capacità di organizzazione che sappia contenere la complessità della proposta. Devo congratularmi con il suo saper essere uno del “pubblico”, ma ciò non è sufficiente, il pubblico deve fare ed essere il pubblico, ma dietro le quinte ci devono stare gli addetti, i progettisti. Lei dirige tutto il sistema come potrebbe fare chiunque, perché se lo chiede per strada alla gente tutti sentono di poter fare gli allenatori della Nazionale di calcio o i presidenti del consiglio, ma è giusto che si accapiglino nei bar ma poi ai posti di comando ci stanno realmente le figure meritevoli senza nulla togliere agli uomini della strada, che se fossero nelle stanze dei bottoni non esisterebbero neanche più come uomini della strada, ovvero che se gli spettatori in platea al cinema imprigionano e legano il regista e si mettono loro a fare il film, il film non c’è più, il film non si riesce a fare, il cinema non esiste più.
A: Sì, è stato molto chiaro, non posso darle torto. Sono un cattivo, dunque.
M: Adesso non si avvilisca, non so se è un cattivo, non sta a me giudicarla moralmente, di certo dare spazio anche agli altri non è una brutta cosa.
A: Come possiamo fare, quindi?.
M: Ci penseremo a bocce ferme, ora vada in vacanza, e si ascolti un po’ di musica che le rigenera le orecchie e la mente come il Concerto in Sol di Ravel o qualcosa di Erik Satie.
A: Ma per forza compositori francesi?
M: Perché, le stanno sui coglioni i francesi?
A: Un po’. Mi dica qualcosa di italiano interessante.
M: Sì, che epoca? Ma cantautori o compositori?
A: Cantautori tipo sugli anni ’70.
M: Ascolti Piero Ciampi, l’album Andare camminare lavorare e altri discorsi.
A: Non lo conosco.
M: Ma dai? Le piacerà, ne sono certo.
A: Arrivederci…
M: … dammi la mano e sorridi…
A: Cos’è che era?
M: Te possino…!