Hanno l’aspetto minaccioso e il volto segnato dalla vita. Ti guardano storto e sembrano pericolosi. Anche a pensarci, non viene in mente un’altra coppia di peggiori figli di puttana rock’n’roll come quella formata da Iggy Pop e Josh Homme. Uno è il signore del caos e padrino del punk, l’altro il tizio che potrebbe tirarti un calcio in testa durante un concerto. Eppure nel film American Valhalla che ne testimonia la collaborazione appaiono fragili e vulnerabili, alla perenne ricerca di un momento di estasi che li convinca a non mollare. Come direbbe Homme, “fuck”.
Il documentario è stato girato da Josh Homme e dal fotografo e regista Andreas Neumann durante il tour del penultimo album di Iggy Pop, quel Post Pop Depression che è stato prodotto e registrato con il leader dei Queens of the Stone Age. Il film è uscito in DVD, ora è disponibile gratuitamente su YouTube, un gentile regalo per la nostra quarantena accompagnato dagli hashtag #stayhome #withme.
Prima scena: Josh Homme arriva a Joshua Tree a cavallo di una motocicletta. Nero lo zaino, nera la moto, nero il giubbotto di pelle, nero l’umore. Seduto su un divano in un backstage vicino a una boccia d’acqua – perché anche la dannazione sia plastic free – guarda dritto in camera e confessa di sentirsi solo a fine concerto. Dice: sali sul palco, te la godi, fai la doccia, esci e le 4 mila persone che fino a un’ora prima urlavano per te sono svanite nel nulla.
Ecco, all’inizio e alla fine American Valhalla ha questo tipo d’affettazione. Però poi arriva un’altra scena: i musicisti di Homme – Dean Fertita, Matt Helders, Troy Van Leeuwen, Matt Sweeney – sono sul palco nei loro completi scintillanti e col loro suono roboante. Attaccano Lust for Life, arriva Iggy saltellando come un pazzo ed è tutto perdonato, le pose, le dichiarazioni introspettive recitate, la retorica.
Il film riparte. Siamo nella casa di Iggy Pop a Miami, adesso, e il rocker si trascina in vestaglia verso la cucina dove prepara il caffè e intanto racconta le sue esperienze degli ultimi anni e dice che contattare Homme non è stato facile, “perché è uno quei giovani presissimi” che rispondono ai messaggi, ma non al telefono. Si estrae una caccola dal naso e la infila in bocca come un bimbo dell’asilo.
Il film è costruito alternando confessioni, immagini tratte dai concerti, riprese in una sala di incisione di Burbank, interviste condotte nientemeno che da Anthony Bourdain. Steso su un’amaca con Bourdain seduto di fronte a lui su un poltrona in vimini, Iggy spiega di aver spedito a Homme, mentre questi era in tour, un pacchetto contenente una sorta di presentazione del suo passato, presente e futuro, manco fosse un pivello. Homme era in tour, probabilmente annoiato dal fatto di dover suonare le stesse canzoni sera dopo sera. Vedere quel materiale lo avrebbe stimolato, pensava Iggy. Lui, rocker di massima grandezza, ha dovuto corteggiare uno dei suoi figliocci artistici.
In America, dice Iggy, “non c’è altro da fare se non lavorare, se non lavori sei un cazzo di spettatore di una partita di football” e a lui piace scendere in campo, decisamente. Racconta della moglie che alla vigilia di un viaggio lo sveglia alle 3 del mattino per dirgli che David Bowie è morto. “That was a big motherfucking day”, dice Iggy seduto sulla poltrona di pelle di un teatro vuoto, lo sguardo perso. Quel giorno il cantante prende come previsto l’aereo, raggiunge Homme e la band per suonare un mini-concerto per una sola persona, un giornalista del New York Times che sta scrivendo del progetto.
Quel giorno, aggiunge Josh Homme, i musicisti sapevano che Iggy Pop era particolarmente vulnerabile e si sono comportati come una gang che spalleggia e protegge il capo. Per dirla con Homme, “nobody fucks with Iggy”. E questa cosa la si capisce bene dall’energia selvaggia e potente emanata dalle performance alla Royal Albert Hall di Londra e dalle facce sorridenti dei musicisti a fine concerto. Le riprese sonore sono spettacolari, rendono le canzoni di Post Pop Depression vivide e pulsanti, trasmettono il senso d’eccitante precarietà tipica della musica Iggy Pop.
Perché alla fine American Valhalla è un film sulla necessità di non mollare mai, sulla ricerca spasmodica di un momento d’estasi, sul rock come opportunità transitoria di realizzazione totale, sulla ricerca di qualcosa che tenga vivi, che vuol dire anche travolgere il pubblico con una raffica di “fuck” e un’ondata di musica a tutto volume. Come dice Iggy Pop alla fine dell’esecuzione di Paraguay, “niente di personale”.