Marie Davidson ti porta a una seduta psicanalitica sul dancefloor | Rolling Stone Italia
Contro il capitalismo della sorveglianza

Marie Davidson ti porta a una seduta psicanalitica sul dancefloor

La più politicizzata tra le artiste del mondo del clubbing è tornata con un album, ‘City of Clowns’, in cui affronta temi come capitalismo, crisi climatica e brandizzazione del femminismo. «Descrive l’epoca in cui viviamo. Il titolo è ironico, il messaggio è serio»

Marie Davidson

Marie Davidson

Foto: Nadine Fraczkowski

Per Marie Davidson la musica è sempre stata un atto di ribellione, un modo per sfidare le convenzioni dell’elettronica. Dall’esordio di Perte d’identité nel 2014, l’artista franco-canadese ha intrecciato sonorità da club e critica sociale, affermandosi come una delle voci più autentiche e sincere della scena. Con Working Class Woman, qualche anno dopo, ha esplorato le contraddizioni della vita notturna, condividendo un senso di alienazione. Nel 2020, con Renegade Breakdown, ha voltato pagina e abbandonando i cliché della musica da dancefloor per sperimentare, insieme al marito e collaboratore di lunga data Pierre Guerineau e Asaël Richard-Robitaille, una fusione tra pop e jazz, combinando elementi dance con influenze della chanson française.

Dopo il successo di Work It – reso un inno da dancefloor grazie al remix dei Soulwax (che è valso una candidatura ai Grammy) – Davidson è tornata con City of Clowns, pubblicato proprio dall’etichetta dei fratelli belgi. L’album affronta temi come il capitalismo, la sorveglianza digitale e la femminilità, criticando una società sempre più omologata e controllata. «Viviamo letteralmente in un mondo di pagliacci, sia a livello politico che mediatico», spiega Davidson. «City of Clowns è una riflessione sulla nostra indifferenza verso la crisi planetaria. È una metafora perfetta per descrivere l’epoca in cui viviamo: un mondo che continua a far finta di niente. Il titolo è ironico, il messaggio è serio».

Oltre a questa attenzione alla critica sociale, l’album rivela anche una componente profondamente personale: «È il mio disco più politico, ma riflette anche aspetti intimi e privati perché la musica è lo specchio di ciò che vivo e di come le dinamiche attuali influenzano la nostra psicologia. Esploro la mia interiorità mentre commento un mondo che cambia sempre più velocemente, spesso in peggio».

Tra le influenze dell’album spicca Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff. Brani come Demolition riprendono le tematiche del saggio del 2019, con versi che evocano il controllo della tecnologia: “Faccio quello che faccio / E lo faccio bene / Ti tengo a mente / Ti tengo nella mia cella d’inferno”. Anche tracce strumentali come Validation’s Weight e Statistical Modelling esplorano l’interconnessione tra tecnologia, potere e sorveglianza attraverso sample vocali.

«Ho letto quel saggio nel 2022. Mi ha fatto riflettere su quanto tecnologia e capitalismo stiano cambiando il nostro modo di vivere, pensare, relazionarci. E così ha avuto un grande impatto sull’album. Dopo la pandemia mi sono resa conto che il mondo stava cambiando in modo radicale, stava diventando sempre più distopico. City of Clowns è nato da questa frustrazione, dalla necessità di farci qualcosa, di trovare un modo per esprimerla».

Marie Davidson - Sexy Clown (Official Music Video)

«Non voglio essere incasellata e credo che questo album vada proprio in questa direzione», dice Davidson. «Mi sono sempre sentita un po’ fuori posto e quindi ho cercato di non cedere alla pressione di aderire a un’idea precisa di cosa dovessi essere. City of Clowns è il risultato di un percorso di libertà, in cui posso fare ciò che sento senza preoccuparmi delle aspettative altrui».

È stata influenzata da autori e comici come Bill Hicks, George Carlin, Michelle Wolf e Wanda Sykes, e lo humour è un altro aspetto che emerge dall’album. «L’umorismo aiuta in tempi così oscuri. Tratto temi pesanti come il capitalismo, la tecnologia e il cambiamento climatico, ma non voglio che la mia musica diventi troppo opprimente. Guarda spesso la stand-up; ridere è una forma di sopravvivenza, un modo di affrontare la realtà. A volte faccio ironia su me stessa, altre sulla società: il punto è che voglio che la mia musica possa rimanere accessibile, che possa essere divertente e riflessiva allo stesso tempo».

In brani come Sexy Clown, la Davidson gioca provocatoriamente con l’immagine dell’artista donna nell’industria musicale, esplorando il bisogno di rimanere rilevanti, il dover piacere al pubblico, l’archetipo della bitch, la sessualità e la maternità. E anche la “brandizzazione” del femminismo: «Con Working Class Woman si è discusso molto del mio ruolo come donna nella musica elettronica, ma il disco parlava più di psicologia che di femminismo. Le etichette servono al mercato, ma io non mi sento obbligata a farmi ingabbiare. Sexy Clown è una riflessione su come il femminismo venga spesso sfruttato e svuotato di significato dalla società e dall’industria. È un po’ una parodia, sì, ma anche una precisa critica».

In Fun Times c’è spazio per un altro riferimento letterario, Diary of Creation di Nancy Huston, in cui la scrittrice esplora la connessione tra creazione artistica e gravidanza. Con un tocco ironico, Davidson canta: “Nancy, dentro la mia pancia non c’è nessuno. È vuota. Dimmi, è preoccupante o sono pazza? Sto facendo la sciocca”. Anche se non è incinta, Davidson sente una connessione profonda con il modo in cui Huston affronta il tema: «Non aspetto un bambino, ma mi sento vicina al modo in cui Huston parla della creazione. Per me, la mia musica è il mio atto creativo».

Marie Davidson - Y.A.A.M. (Official Music Video)

Il processo creativo di City of Clowns è stato dinamico. Concepito inizialmente come progetto solista, nel 2022 Davidson ha deciso di co-produrlo con Guerineau e per poi coinvolgere anche Stephen e David Dewaele dei Soulwax. Questo cambiamento si riflette nella ritmica dell’album. «Non voglio che la mia musica sia ridotta solamente a qualcosa da ballare. L’idea di club music è sempre stata per me quella di usare l’elettronica per creare energia. Può essere ballabile, certo, ma anche qualcosa che ti ascolti mentre cammini in giro per la città. Mi piace che la mia musica abbia un flusso, una vibrazione, senza dover essere confinata in un determinato contesto. C’è una contraddizione, ma fa parte del mio processo. Non posso farne a meno. Come artista credo sia giusto cambiare idea e dovremmo sentirci liberi di farlo. Uscire dagli schemi è spaventoso, ma quando si ha il coraggio di farlo si scopre molta più libertà. La mia evoluzione è stata trainata dal fatto di non sentirmi obbligata a seguire le convenzioni del clubbing».

Capitalismo, controllo e sfiducia nel reale emergono ancora nei versi e nelle imprecazioni di Y.A.A.M. e Push Me Fuckhead (“Target attention, focus erect / Don’t forget your security check”). L’album si conclude con Unknowing, un monologo in cui l’artista riafferma la sua volontà di seguire il proprio istinto (“So I keep to myself the magic and the torments / For you to enjoy the same old stories”) senza sentire pressioni, anche e soprattutto nel rapporto con il pubblico. «Con gli anni ho trovato più libertà nel mio processo creativo, non ho più paura di uscire dalle righe e di correre dei rischi. So che la mia arte riflette ciò che penso e sento, ora posso permettermi di farlo senza temere il giudizio altrui. La libertà è una conquista, e oggi mi sento più sicura nel fare ciò che mi viene naturale».

Con City of Clowns Marie Davidson continua una personale sfida alle grandi questioni del presente con ironia, intelligenza e profondità, oscillando tra la pista di un club e una seduta psicanalitica. Il risultato è un album sorprendentemente umano, che mescola critica sociale, autoironia e critica nel dancefloor delle contraddizioni.

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