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Nastri perduti e demolizioni: ecco com’è stato restaurato ‘Stop Making Sense’

La riedizione per il quarantesimo anniversario del grande film-concerto dei Talking Heads raccontata da chi ci ha lavorato. «Ora è un’esperienza immersiva», assicura Jerry Harrison

Foto: Richard E. Aaron/Redferns

Immaginate di essere una band acclamata, impegnata in un tour ambizioso e spettacolare, con quasi il triplo dei musicisti che normalmente avete sul palco. Un tempo suonavate canzoni post punk e cover di Al Green al CBGB’s, ora i vostri show sono un mix di luci espressioniste, riferimenti al kabuki e vestiti oversize. Alle vostre spalle vengono proiettate parole a caso (“Dollface”, “Drugs”, “Public Library”), il cantante esegue un pas de deux alla Fred Astaire e Ginger Rogers con una lampada, tra una canzone e l’altra chiedete: «Ci sono domande?». È un po’ performance artistica e un po’ concerto rock.

Non vi sorprende, quindi, trovare una sera nel backstage il regista di Femmine in gabbia e di Una volta ho incontrato un miliardario che vi dice quanto gli è piaciuto lo spettacolo. Ok, magari il suo «ci vedo un film!» un po’ inaspettato lo è. Fatto sta che qualche mese dopo vi trovate a suonare per quattro sere al Pantages Theater di Los Angeles, mentre un futuro premio Oscar, una troupe e sei cameraman immortalano il tutto per i posteri. La primavera successiva, il risultato viene presentato in anteprima al San Francisco International Film Festival. E non è finita, perché 40 anni dopo siete in un cinema IMAX di Toronto, grande quasi come il Pantages, a ballare e a guardarvi mentre, da giovani, vi esibite in quello che oggi è considerato il più grande film-concerto di sempre. Facile allora che finiate per chiedervi: «How did I get here?», come sono arrivato qui?

È una domanda che molti di noi che abbiamo visto Stop Making Sense, il capolavoro di Jonathan Demme sul tour del 1983 dei Talking Heads per Speaking in Tongues, si sono posti decine di volte. Ma ce ne sono altre, tipo: ma davvero questo film ha 40 anni? Com’è che sembra sia una capsula del tempo, sia un’opera senza tempo? E perché che il film oggi sembra più vitale ed elettrizzante che mai?

La risposta a quest’ultima domanda ha risvolti decisamente pratici e Jerry Harrison è ben lieto di parlarne in dettaglio. Probabilmente non esiste un fan più grande di lui di Stop Making Sense, o qualcuno che apprezzi come lui, chitarrista/tastierista dei Talking Heads, ciò che è riuscito a immortalare coi compagni di band e con Demme. Lui e l’ingegnere del suono Eric “E.T.” Thorngren avevano già lavorato al catalogo della band e ai remix in Dolby Atmos, ma non si erano occupati né del film, né della colonna sonora. «Apple spingeva molto le sue cuffie, così abbiamo fatto dei remix in Atmos del materiale vecchio», spiega Harrison via Zoom. «In un certo senso tutto è iniziato da lì».

Tanto per cominciare, i diritti del film sono tornati alla band. Harrison, David Byrne, Tina Weymouth e Chris Frantz avevano autofinanziato e prodotto il film per la Talking Heads Pictures. La pellicola era stata distribuita da una società chiamata Cinecom, fallita nel 1991 e poi rilevata dalla Palm Pictures. Secondo Harrison, i dettagli dell’accordo di distribuzione specificavano che il film sarebbe tornato di loro proprietà dopo un certo lasso di tempo. «È tornato nostro mentre il 40° anniversario si avvicinava». Volevano organizzare qualcosa per celebrarlo e hanno iniziato a contattare chi poteva essere interessato.

La band ha parlato con un bel po’ di gente. Che si tratti di una decisione presa in base alla qualità o semplicemente dettata dall’ordine alfabetico, A24 era in cima alla lista. La casa di produzione e distribuzione dietro a Everything Everywhere All at Once, Midsommar, Moonlight e altri classici moderni del XXI secolo non solo ha espresso interesse nell’acquisire Stop Making Sense, ma ha voluto sottoporlo a un trattamento di restauro e riedizione. Ha fatto la differenza agli occhi del gruppo. «Volevano riportarlo al cinema», dice Harrison. «Forse non avremmo fatto dei remix Atmos completi se si fosse trattato solo di streaming. È un tipo di audio tridimensionale, serve dello spazio».

La storia si è trasformata in un giallo quando A24 ha cercato di mettere le mani sul materiale originale per trattarlo in 4K e Dolby. A marzo James Mockoski, supervisore al restauro presso gli Zoetrope Studios che ha lavorato alle riedizioni delle opere di Francis Ford Coppola (l’incredibile final cut di Apocalypse Now di qualche anno fa è opera sua), ha ricevuto una telefonata dall’amica Lauren Elmer, che gestiva la post-produzione alla A24. Appena ha scoperto che si trattava di Stop Making Sense, Mockoski non ci ha pensato due volte.

«Mi hanno mandato un elenco del materiale e non c’era quasi niente su pellicola, forse giusto una copia per la proiezione. E questo accadeva a marzo. Quelli di A24 avevano già fissato una data d’uscita per settembre, avevano un trailer con David in abito oversize e una deadline da rispettare. A me sembrava non ci fosse materiale a suffienza per farcela».

Mockoski ha chiamato la famiglia Demme, che aveva ceduto tutto alla Wesleyan University. Ha cominciato a cercare in archivio e ha trovato i materiali che la Palm aveva utilizzato per i DVD e i Blu-Ray del film negli ultimi 20 anni. Il problema era che si trattava di copie di seconda o terza generazione. «Dov’era la pellicola da cui erano state ricavate? La band non si era occupata del film e io continuavo a chiedere al produttore Gary Goetzman se non ce l’avesse in garage».

Dopo essere finito in una serie di vicoli ciechi, Mockoski ha commissionato una scansione della migliore copia disponibile, rassegnandosi a fare del suo meglio con quella. Ha fatto un ultimo tentativo e ha chiamato Scott Grossman, responsabile della libreria di titoli di proprietà della MGM. «Gli ho detto: “Senti, so bene che Stop Making Sense non è un film della MGM e neppure riesco a immaginare una sola ragione per cui dovrebbe essere lì. Ma, per favore, ti supplico, puoi dare un’occhiata?”. Mi ha risposto: “Non hai idea di quante centinaia di richieste ridicole ricevo ogni giorno, non posso stare dietro a tutte”. Doveva essere in una giornata sì, mi ha detto che ci avrebbe guardato».

«Pensavo che fosse andata male e invece 10 minuti dopo Scott mi ha mandato una foto: “È questo che cercavi?”. Era il negativo originale di Stop Making Sense. Era rimasto su uno scaffale a Burbank e nessuno l’aveva toccato per quasi 30 anni. Non l’avevano nemmeno usato per la versione uscita nel 1999, che era stata ricavata da altre copie». Quando Mockoski finalmente l’ha avuto fra le mani, ha visto che era praticamente immacolato. «Sembrava nuovo di zecca. Non c’erano segni di usura».

Qualcosa del genere è accaduta anche all’audio originale del film. Todd-AO, la società di postproduzione specializzata nel lavoro sul suono per la distribuzione nelle sale, era fallita e i proprietari dell’immobile dove si trovava la sede di Los Angeles stavano per far demolire l’edificio. Là sotto c’era un caveau pieno di materiale che non era mai stato ritirato o era rimasto nel limbo a causa di fatture non pagate: era tutto destinato al macero, se nessuno lo avesse reclamato. Per fortuna, secondo Mockoski, qualcuno («Credo la Sony») si è fatto avanti e ha portato tutto in un magazzino nel Kansas. Mockoski ha ha avuto di nuovo fortuna: le bobine audio originali erano rimaste in quel caveau per anni, intatte.

La scoperta è stata di grande aiuto per Harrison e Thorngren, che avevano già iniziato a lavorare a un remix Dolby Atmos delle canzoni del film, utilizzando materiali raccolti dall’etichetta Rhino (che aveva in programma di ripubblicare la colonna sonora nell’agosto di quest’anno) e da Palm. «Ci ha aiutato il fatto che io e lui avevamo mixato Stop Making Sense nel 1984: non l’audio del film, ma l’album», dice Harrison, «quindi avevamo già dei punti di riferimento».

Anche loro, però, si sono accorti che c’erano dei buchi. «Ho ricevuto un’e-mail da E.T. che diceva: “Non riusciamo a trovare nessuna delle tracce col pubblico. Come facciamo a collegare insieme le canzoni?». Fortunatamente, una volta trovato l’audio originale, c’era tutto. L’unica cosa che mancava erano le sovraincisioni che Demme aveva fatto durante il montaggio e il sound-mix del film, per correggere alcuni errori, ma poi la Rhino ha trovato anche il mix con le sovraincisioni. A quel punto si trattava solo di combinare tutti questi elementi come tessere di un puzzle».

I Talking Heads di ‘Stop Making Sense’: Steve Scales, Bernie Worrell, Jerry Harrison, Ednah Holt, David Byrne, Lynn Mabry, Tina Wemouth, Chris Frantz, Alex Weir. Foto: Sire/Warner Music Group

C’era anche la questione della sincronizzazione del suono con le immagini, che ha portato una serie di ostacoli ancora più complessi. Si sa che Stop Making Sense è stato girato in quattro date al Pantages (a detta di molti, la performance della prima sera è stata così così). Quel che invece è meno noto è che Demme ha selezionato le riprese delle quattro serate in base a ragionamenti sulla parte visiva, mentre la band ha scelto quelle che riteneva essere le interpretazioni migliori di ogni canzone. Le due cose, come conferma Harrison, non sempre combaciavano. «Magari a noi piaceva la versione di una canzone della seconda serata, ma Jonathan aveva del girato incredibile relativo alla quarta. Grazie a Dio avevamo Chris, che è un batterista precisissimo, altrimenti non avremmo mai potuto unire video e audio». Alcuni errori di sincronizzazione non sono stati corretti. «La tecnologia per farlo c’è, ma perché? Così è più umano. E il lato umano di ciò che accadeva su quel palco era ciò che più interessava a Jonathan».

Il fatto che la band abbia fatto riversare le registrazioni su nastri digitali (una cosa insolita e lungimirante per il 1984, soprattutto nel caso di un live) è stato di grande aiuto per il restauro. «Sapevamo che, lavorando per il cinema, capita spesso di riregistrare. Più volte lo avremmo fatto, più avremmo consumato i nastri e perso in fedeltà. Il digitale permetteva di evitarlo». L’unico problema era che, al momento di utilizzare i nastri DASH (Digital Audio Stationary Head) per il restauro, era quasi impossibile trovare la tecnologia d’epoca per riprodurli e qualcuno che sapesse far funzionare le macchine. «Per fortuna, il nostro tecnico del suono conosce tutto e tutti», dice Mockoski ridendo.

Sia lui che Harrison si stupiscono che tutto questo lavoro sia stato fatto velocissimamente, in modo da avere il film pronto per la prima dell’edizione restaurata, al Toronto International Film Festival. Per l’occasione si sono riuniti i membri originali della band, che non salivano sul palco tutti insieme dall’ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame del 2002. La loro apparizione al TIFF è stata amichevole e quando hanno partecipato a un Q&A dopo la proiezione all’Aero Theatre di Santa Monica, la settimana dopo, si sono tenuti per mano facendo un inchino di gruppo. Sembravano gradire la compagnia reciproca.

Harrison spiega che Demme ha sempre immaginato Stop Making Sense come un film corale in cui «tutti i personaggi avrebbero avuto un’introduzione, i loro primi piani, e gli spettatori avrebbero avuto la possibilità di conoscerli prima che arrivasse l’intera band. È sempre stato un film su di noi che suonavamo insieme».

«Ora è davvero fantastico e grazie al mix Atmos Dolby si può sentire quel che suona ogni musicista. Se ci si vuole concentrare su quello che Bernie Worrell o io stiamo facendo alle tastiere, o sulla linea di chitarra di Alex Weir, adesso si può. L’ho visto un po’ di volte in presenza del pubblico ed è stato come essere a un concerto. Stop Making Sense è sempre stato pazzesco, ma in questa nuova versione è un’esperienza immersiva».

Da Rolling Stone US.

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