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Non ci sono più le cowgirl di una volta (per fortuna)

Queer, libere e talentuose, Julien Baker e Torres sfidano i cliché del country, un genere legato ferocemente a una presunta autenticità e a cliché maschilisti

Foto: Ebru Yildiz

Di tutte le cose del Sud degli States che mancano a Julien Baker e a Torres, il cibo è ai primi posti. Torres, nome d’arte di Mackenzie Scott, è fortunata: la moglie, la pittrice Jenna Gribbon, cucina ottimi biscotti e una buonissima salsa gravy. In più, a Brooklyn, abita vicino a un buon ristorante (specialità: pesce gatto). Baker, che sta a Los Angeles, invece non riesce a trovare un pesce gatto decente. «È un gran peccato», dice scuotendo la testa l’indie rocker, nonché membro delle Boygenius. Scott dice che dove va lei il pesce gatto lo servono bollente e croccantissimo, Baker sospira di nostalgia. «Perché non mangiamo lì quando facciamo le prove? Perché mangiamo sempre thailandese?». Scherza. Ma anche no.

Il fatto è che quando si tratta del Sud e di ciò che lo caratterizza, come il cibo, certi modi di dire e la musica, Baker e Scott sanno di cosa parlano. Dopo tutto, ci sono cresciute. Le due, autrici del bel disco country Send a Prayer My Way che uscirà domani, si sono avvicinate molto presto al genere, ma l’hanno fatto da prospettive diverse, essendo originarie Baker di Memphis, Tennessee e Torres di Macon, Georgia. La prima si è avvicinata alla musica per via della chiesa e delle riunioni di famiglia. I cugini suonavano la chitarra e cantavano assieme in stile Carter Family durante i raduni officiati dal nonno predicatore. E quando andava in Arkansas a trovare i parenti del padre, li vedeva danzare sulle note di Copperhead Road di Steve Earle. Nel caso di Scott, invece, la passione è nata negli anni ’90 girando per le strade di Macon coi due fratelli maggiori, santi patroni dei passaggi in automobile, con la radio sintonizzata sulla Top 40 degli artisti country che dominavano l’airplay, Faith Hill, Tim McGraw, le Chicks e George Strait.

La passione per il pesce gatto, le città in cui sono nate, il legame profondo col country: tutto questo è importante. Perché se c’è un genere fissato con l’idea di identità, quello è proprio il country. «Quando si pensa a un genere ferocemente legato all’autenticità, di solito viene in mente il punk militante», dice Baker. «Bene, il country è peggio».

Ma cosa significa country autentico? Molti nel 2025 si sono fatti la stessa domanda visto che due delle più grandi star del genere, Jelly Roll e Post Malone, hanno iniziato con l’hip hop e Beyoncé ha vinto il Grammy per il miglior album country. Se un rapper bianco di Antioch può passare al country, perché non possono farlo due indie rocker queer? La musica country si è sempre evoluta a spallate da parte di chi storicamente era stato escluso e chiedeva di essere accettato. Quindi potete considerare Scott e Baker due nuove outlaws, versione moderna di Waylon Jennings e Willie Nelson. Oppure non dite nulla: ascoltate e basta. Perché quello che sentirete in Send a Prayer My Way è puro country, nel senso più ampio del termine.

L’obiettivo iniziale del duo registrando Send a Prayer My Way era ricreare le sonorità country-pop dell’infanzia di Scott. «E fare un sacco di banger perfetti per Music Row», aggiunge Baker. Ma l’album che ne è uscito è più in stile West Texas che Nashville, più Uncle Tupelo che Little Big Town. L’alt country e l’outlaw country si sono rivelati influenze importanti per il duo, così come artisti più vicini all’Americana come Lucinda Williams e Linda Ronstadt, che secondo Scott «all’epoca non erano manco considerate musiciste country».

Ma ci sono anche tutti gli elementi tipici di un classico album country mainstream. C’è la trama densa di Tuesday, una canzone che parla di una storia d’amore scandalosa e di genitori contrari e che suona come una versione lesbica e in salsa Southern gothic di She’s in Love with the Boy di Trisha Yearwood. Ci sono pezzi sui fiori del deserto e brani struggenti su come affogare i propri dispiaceri in “un fiume di Four Roses”. Ci sono canzoni d’amore allegre come Goodbye Baby: quando Randy Travis, Mr. Forever and Ever, Amen in persona, la sentirà si troverà a pensare che avrebbe voluto scriverla lui. Ci sono brani che raccontano di come si ricade nel vizio dell’alcol e altri che parlano di redenzione. Questa è musica country: ogni domenica si va a messa, indipendentemente da quello che è successo il sabato sera.

Ogni pezzo di Send a Prayer My Way è di facile ascolto, anzi decisamente piacevole. C’è un calore autentico, come se l’album fosse stato registrato durante una session notturna intorno a un falò. In effetti l’hanno inciso a Marfa, Texas, con l’aiuto di una serie di amici e collaboratori. L’inimitabile Aisha Burns suona il violino che s’insinua nell’affascinante Bottom of a Bottle, l’onnipresente pedal steel guitar è opera di J.R. Bohannon che, con la sua bravura ricorda i contributi preziosi di Lloyd Green e JayDee Maness a Sweetheart of the Rodeo dei Byrds.

Foto: Ebru Yildiz

Nel complesso, il disco è una lettera d’amore sincera indirizzata ai suoni dell’infanzia di queste due artiste e a un genere che, fino a poco tempo fa, non era stato granché ricettivo nei confronti delle persone queer. Scott lo sa bene. Dopo essersi laureata nel 2009 alla Belmont University di Nashville, ha fatto il giro delle principali etichette discografiche. Non aveva ancora fatto coming out, ma le era ben chiaro che «la cosa meno accettabile che potessi fare era essere lesbica». In qualche modo, in una città piena di uomini che, come dice Baker, «mettono un cappello da cowboy persino per andare a fare delle sonorizzazioni in qualche ufficio della Universal Music Publishing», la figura più spesso oggetto di scherno a Music Row era quella della lesbica. «Si divertivano così, no?», dice Scott, prima di lasciarsi andare a una risatina un po’ triste. «Non c’è niente di meno divertente che essere una lesbica in quei posti».

Eppure, in Send a Prayer My Way non c’è alcuna traccia di astio. Scott è fermamente convinta che l’album non sia un vaffanculo indirizzato a un genere da cui si è sentita esclusa. Nonostante tutto quello che è successo a Nashville, dice che vuole ancora «prendere parte alla festa». Ma lei e Baker, comunque, non si aspettano l’approvazione dei vertici di Music Row (l’album è uscito per la Matador Records). Non contano sul fatto che il singolo principale, Sugar in the Tank, diventi una hit da Top 40 delle radio country. Però porteranno «la musica country alle persone che già la amano», dice Scott, e stanno per imbarcarsi in un tour di cinque mesi nella loro zona d’origine, toccando più bettole malfamate possibile lungo la strada, in posti come Birmingham, Alabama o Saxapahaw, North Carolina e persino Oxford, Mississippi.

«In quei posti avremo parecchi problemi», dice Baker dopo avermi sorpresa a borbottare «ma davvero il Mississippi?» tra me e me. «Ma là non c’è solo gente che vorrebbe che la mascotte fosse ancora Colonel Reb».

È vero: il Sud non è un monolito. E tutto quello in cui Baker si identifica molto, di cui cantano gli artisti country, come fare balle di fieno, andare in giro in quad e sparare alle lattine, non lo fanno solo le persone col cappello da cowboy che adorano Toby Keith. Se sei una come Baker, il ragazzo che fa balle di fieno è il tuo migliore amico Matt in jeans skinny e maglietta dei Fall of Troy. E le persone che sparano alle lattine giù al torrente di venerdì? «Lesbiche del cazzo», dice Baker. «Avevano un pickup a due posti con gli strapuntini». E ora chi ride, Nashville?

Da Rolling Stone US.

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