«Suona con una purezza assurda, una vera bellezza» disse nel 1989 Jerry Garcia dei Grateful Dead su Ornette Coleman, l’icona del sax contralto. Garcia suonò anche nel suo album, Virgin Beauty, un complesso, raggioso sfoggio di ciò che Coleman intendeva per free jazz: sfidare le leggi convenzionali dell’armonia, melodia e ritmo per inseguire una voce estatica e individuale.
Coleman, morto per un arresto cardiaco l’11 giugno 2015 a New York all’età di 85 anni, aveva anche coniato un nome per la sua musica: harmoliodics. Ma Garcia ricordò così Coleman provando a spiegare la sua visione durante la registrazione di quell’album: «Alla fine mi disse: “Oh, vai avanti e suona, man.” E io pensai: “Ah, ora ho capito.”»
L’impatto titanico del Coleman compositore sul jazz, così come quello da improvvisatore ed eterno outsider, può essere quantificato nella verità dei titoli di dischi come Something Else!!!!, il suo debutto del ’58, e Change of the Century del 1960. «Persino nel jazz esistono regole: Ornette ha stravolto tutta questa ortodossia» dice il chitarrista dei Living Colour, Justin Vernon, che ha suonato con l’allievo e batterista di Coleman, Ronald Shannon Jackson. «E molte persone non capiscono questa cosa.» L’esuberante tumulto dei gruppi di Coleman e il suo ustionante timbro di sax contralto, fondati sul gospel e il blues del suo nativo Texas, hanno letteralmente polarizzato la comunità jazz negli ultimi Cinquanta-inizio Sessanta. Miles Davis diceva che Coleman era «fuori di testa»; John Coltrane invece diventò un allievo e collaboratore.
La forza liberatoria della musica di Coleman ebbe un effetto ugualmente devastante sul rock. «Facevo avanti e indietro al [Greenwich] Village seguendo Ornette Coleman ovunque suonasse» disse una volta Lou Reed, la cui opera di chitarra free rock nei Velvet Underground si ispirava chiaramente agli assoli di Coleman. Le improvvisazioni del collettivo Dead, il caos organizzato nell’album Trout Mask Replica dei Captain Beefheart (1969), e le band post-punk newyorchesi come Sonic Youth e Defunkt rispecchiavano tutti le innovazioni del jazzista.
Nato il 9 marzo del 1930 a Fort Eort, Coleman mosse i suoi primi passi a Los Angeles negli anni Cinquanta, iniziando un lungo sodalizio con il bassista Charlie Hade e il trombettista Don Cherry. L’ellepì del 1960 Free Jazz divenne sinonimo di un’avanguardia emergente, ma Coleman stesso era restio alle definizioni; compose anche la sinfonia Skies Of America; registrò in Marocco con i Master Musicians of Jajouka nel 1973; ravvivando le sue radici R&B con le chitarre nella band Prime Time, che tra l’altro sfoggiava suo figlio Denardo alla batteria; infine, firmò un LP nel 1986, Song X, con il chitarrista Pat Metheny.
L’impronta di Coleman è stata riassunta perfettamente nel concerto tributo del 2014 a Brooklyn con il sassofonista Sonny Rollins, il chitarrista Thurston Moore e Patti Smith. Ma in fondo Coleman era certo che la sua musica un giorno sarebbe stata capita. «Ho sempre voluto entrare nel mainstream» disse nel 1989. «Ma senza sacrificare quello che faccio per arrivarci.»