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Parla Noel Gallagher: il nuovo disco «riflessivo» e gli inediti «fuckin’ amazing» degli Oasis

Noel incontra la stampa italiana: il mood di ‘Council Skies’, l'arte di scrivere canzoni, le e-mail con Robert Smith, Bono che balla su un tavolo. Niente reunion con Liam per ora. In compenso uscirà una ristampa con inediti per i 30 anni ‘Definitely Maybe’. «Erano negli archivi Sony con su un’etichetta sbagliata»

Foto: Matt Crockett

«Non si potranno fare domande sugli Oasis, indicazione del management». La temuta raccomandazione era arrivata assieme all’invito a partecipare all’incontro con Noel Gallagher in un albergo milanese, organizzato per presentare Council Skies, album in uscita il prossimo 2 giugno. E ora come si fa? Un tabloid britannico tradizionalmente non affidabilissimo aveva addirittura scritto che Noel e Liam stavano pianificando un incontro a Londra per parlare di un’eventuale reunion. L’argomento verrà fuori in maniera naturale, aveva ipotizzato l’ufficio stampa. E così è stato, anche grazie a un Noel più che mai rilassato, sorridente e disponibile alla battuta. E poi insomma, il calendario parla chiaro: il prossimo anno è il trentennale di Definitely Maybe e sì, magari, potrebbe succedere qualcosa di bello. O no?

«La Champions League dite? Be’… con Haaland tutto è possibile». Ehm, no. Anche perché il Manchester City è in corsa per vincerla anche quest’anno… «Ok, ho capito cosa intendete dire: è l’anniversario di Definitely Maybe, e ora vi dico cosa succederà. Ho trovato nei caveau della Sony un sacco di nastri che pensavo fossero andati perduti. Sono le session di Definitely Maybe, e sono fuckin’ amazing. Non posso dirvi che canzoni sono perché sarà una sorpresa. Pensavamo che queste tracce fossero andate perdute, ma in realtà è successo che negli archivi della Sony c’era una scatola su cui era stata messa l’etichetta sbagliata. L’abbiamo aperta e abbiamo trovato tutte queste outtake. Quindi ci riformeremo, faremo un grande tour e suoneremo tutte le canzoni di Definitely Maybe in sequenza, e poi anche quelle di Morning Glory, e si riformeranno anche i Beatles con John Lennon!».

Grazie Noel, fino a «suoneremo tutte le canzoni in sequenza» ci avevamo quasi creduto. Niente reunion, insomma. O perlomeno nulla che i fratelli Gallagher oggi abbiano voglia di anticipare. Chissà se almeno nelle session ritrovate del primo album degli Oasis ci saranno degli inediti, dei pezzi che per un motivo o per l’altro non sono entrati in quel memorabile debutto.

Il chitarrista è un fiume in piena e ne ha per tutti, da Spotify a Re Carlo, dai Måneskin ai concerti che terrà a partire da quest’estate (unica data italiana l’8 novembre al Forum di Assago), da Robert Smith ai Pet Shop Boys, a cui ha commissionato dei remix che saranno contenuti nell’edizione deluxe dell’album (quello di Pretty Boy al primo e quello di Think of a Number ai secondi). Ecco tutto quello che ha detto, sul nuovo album e su tutto il resto.

La cupezza del nuovo album

«Il nuovo album è stato interamente scritto durante il lockdown. È stato un periodo di riflessione per tutti, nessuno di noi ci era mai passato prima e nessuno di noi sapeva come ne saremmo usciti. Non ho scritto canzoni sulla pandemia, ma quando le ho tirate fuori mi sono reso conto che erano piuttosto riflessive. Riflessivo è la parola che userei per descrivere l’album, ma capisco il significato delle mie canzoni solo quando le suono davanti a un pubblico: tra qualche mese mi sarà più chiaro. Il feeling oscuro delle nuove canzoni è dovuto al momento in cui è stato scritto e a cose che sono successe nella mia vita personale (all’inizio dell’anno Noel e Sarah McDonald, sposati da dodici anni, hanno annunciato la loro separazione, nda). Ma se vi sembra cupo, aspettate di ascoltare il prossimo! In realtà anche nelle canzoni più melanconiche del disco c’è speranza, a parte l’ultimo pezzo, Think of a Number, che effettivamente è abbastanza cupo. Tendo comunque a non rimuginare troppo sulle canzoni, forse lo faccio solo quando ormai è troppo tardi. Quando pubblico un disco, per le prime due settimane mi sembra fuckin’ amazing. Tra un anno potrei avere un’opinione diversa. È sempre stato così dai tempi di Definitely Maybe: gli album buoni hanno poi resistito al passare del tempo, al contrario di quelli meno buoni, come Standing on the Shoulders of Giants».

Il titolo e la copertina

«Mentre scrivevo la canzone che dà il titolo all’album mi ero un po’ bloccato. Mi sono trovato tra le mani un libro intitolato Council Skies dell’artista Pete McKee, che utilizza un tipo particolare di blu che si chiama proprio Council Skies. L’ho chiamato per chiedergli se potevo usare quel titolo e l’ho dato prima alla canzone e poi all’album. La copertina è di Kevin Cummins. È un amico, ha fatto una delle prime foto degli Oasis. Ci è sembrata una buona idea fare una foto in un complesso di case popolari. Non mi piace particolarmente comparire sulla copertina dei miei album, così come non mi piace farmi fotografare. Quella del nuovo album ricorda un po’ la retrocopertina di Ummagumma dei Pink Floyd, con tutti i loro strumenti».

Johnny Marr, ospite in tre brani

«Non è la prima volta che suona in un mio album. Mi dice sempre “chiamami quando vuoi” e io lo chiamo. Chi non ha bisogno di un Johnny Marr nel proprio disco? È molto bello stare in studio con lui perché è molto, molto entusiasta di quello che fa. Inoltre non si allarga mai all’interno di una canzone. In Pretty Boy la sua chitarra si ascolta solo quando il pezzo è iniziato da un bel po’. Quando in un brano c’è un chitarrista così famoso, il rischio è che suoni troppo. Quando abbiamo registrato Pretty Boy, invece, erano già passati due minuti e lui non aveva ancora iniziato a suonare, tanto che mi chiedevo: ma suonerà o no? È uno che rispetta molto le canzoni degli altri, perché è lui stesso un autore di pezzi fantastici. Lavorare con lui è un privilegio, e l’ho avvisato: se continui a rispondere alle mie telefonate, io continuerò a chiamarti. Lui comunque risponde sempre, speriamo lo faccia anche per il prossimo album. Nel nuovo album suona su Council Skies, Open the Door, See What You Find e Pretty Boy. Su Think of a Number, invece, sembra che ci sia ma non c’è: sono io che cerco di suonare come Johnny Marr».

La figlia Anaïs e il backstage del disco

«È stata una vera fatica farla smettere di parlare: parla più di me. Ha raccolto migliaia di ore di girato, e insieme stiamo cercando di montarle in modo che il risultato finale non sia troppo noioso. L’idea ci è venuta guardando Get Back, ma non volevo una troupe cinematografica. Lei è stata con noi la maggior parte dei giorni e devo dire che è pretty fuckin’ good. Chissà da chi avrà preso».

I prossimi concerti

«Tutte le canzoni sono state scritte a casa con una chitarra acustica, quindi sarà facile suonarle dal vivo. L’ultimo album, onestamente, non era mai stato suonato in studio: era piuttosto il frutto di un collage di suoni. Le canzoni nuove sono pure, semplici, emozionali. Mi piacerebbe suonarle tutte ma devo lasciare spazio anche ai pezzi vecchi, però non voglio fare una cosa alla Springsteen e suonare per quattro ore. Easy Now, Pretty Boy e Council Skies comunque ci saranno di sicuro».

La chitarra nel 2023

«Oggi i ragazzi non suonano la chitarra, mi sembra piuttosto che la indossino. Tutta la grande musica contemporanea non è basata sulle chitarre. La causa potrebbero essere le etichette discografiche. Le guitar band sono notoriamente difficili da gestire, loro preferiscono i tastieristi che bevono il tè e sono fuckin’ boring. Negli anni ’90 c’erano gli Oasis, i Primal Scream, i Verve. Le classifiche erano dominate dalle chitarre, e in quelle band c’erano persone abbastanza complicate. Adesso non è più così, le etichette non le vogliono. Ora va di moda il pop, nelle sue varie forme. Non è il momento del rock’n’roll, qualunque cosa sia. Semmai è il momento degli orribili singer-songwriter».

I Måneskin

«Non li conosco. Ah, no! Sono quei tipi che ho visto in televisione allo Eurovision Song Contest?! Fuckin’ mental! Quel ragazzo stava prendendo droga in televisione! Non so cosa pensare della loro musica, ma quella sera li stavo guardando. Sono fighi, ma non mi ricordo la loro canzone».

Spotify

«Fuckin’ dreadful Spotify! È tutto su Spotify, nove milioni di canzoni del cazzo tutte su Spotify. La gente non deve più uscire per comprarsi un disco, se ne sta a letto ad ascoltare musica. È un meccanismo comandato dal consumatore, che ottiene quello che vuole».

Scrivere canzoni

«Per me creare un pezzo che la gente porterà con sé e che significherà qualcosa nelle loro vite è il privilegio definitivo. Il fatto che io sia ancora qui a farlo dopo trent’anni è incredibile, non è una cosa che do per scontata. Sarebbe facile per me mettere insieme una band che somigli agli Oasis, suonare tutte le sere quattro canzoni nuove e venticinque pezzi degli Oasis. Avrei un notevole successo ma non è nel mio dna. Non capisco quegli artisti che a un certo punto si ritirano: penso che si debba sempre proporre al mondo qualcosa di nuovo».

Il film perfetto

«Il buono, il brutto e il cattivo è il mio film preferito di tutti i tempi. È perfetto: lunghezza, dialoghi, la colonna sonora di Ennio Morricone. È stato girato nel 1967 (in realtà nel 1966, nda), l’anno in cui sono nato io, ed è fuckin’ amazing. L’ho visto centinaia di volte».

James Bond

«Nessuno mi ha mai chiesto di fare una colonna sonora, mai, per nessun tipo di film. È un oltraggio! Non mi dispiacerebbe fare la colonna sonora di James Bond, ma non mi chiamano. Eppure ho un contratto con la Sony Publishing e il film è fatto da Sony Pictures (in realtà la partnership con Sony Pictures è scaduta dopo Spectre del 2015, nda). Ehi, Sony, ci sei?»

Re Carlo

«Non suonerei alla sua incoronazione nemmeno se me lo chiedessero. Un sacco di gente ha detto di no agli organizzatori: non penso che il nuovo re sia molto popolare. A quelli della mia generazione poi non interessa niente della famiglia reale. Capisco che la morte della regina Elisabetta abbia destato sensazione perché lei è stata presente per tutta la durata delle nostre vite, ma la monarchia è come la religione: sta svanendo, e a nessuno frega niente».

Gli U2, Bono e le canzoni acustiche

«Nell’edizione deluxe del nuovo album c’è una nuova versione di Live Forever che è veramente bella. Quando faccio dei concerti acustici rielaboro anch’io le vecchie canzoni. Penso sia interessante per i fan ma anche per noi musicisti. Non ho in programma di riregistrare pezzi di una band che ho lasciato quattordici anni fa, preferisco registrare nuova musica perché il tempo è prezioso. Il disco degli U2 comunque ha delle ottime versioni di vecchi pezzi. So che è una cosa che volevano fare da tempo. Bono a teatro è fantastico, sono andato a vederlo a Londra e non sapevo che cazzo sarebbe successo. Ero con il mio figlio Donovan, che ha 16 anni. Quando ha visto Bono ballare su un tavolo si è girato verso di me e mi ha detto: papà, credo che Bono sia impazzito…».

I libri dei musicisti

«Conosco gente come Bono e Johnny Marr che hanno scritto il loro libro. Starci sopra per anni dev’essere davvero faticoso. Anche Bobby Gillespie si è preso un paio d’anni per scrivere. Preferisco fare un disco: il libro su di me scrivetelo voi, se volete, avete la mia benedizione. Se mai lo scriverò, lo farò da solo, non chiederò a un ghostwriter di farlo al posto mio».

Robert Smith e i Cure

«Ero in studio ad ascoltare Pretty Boy e ho pensato che suonasse come un pezzo dei Cure. Quindi ho pensato che proporre a Robert Smith di fare il remix fosse una buona idea. Nel music business i gradi di separazione tra una persona e l’altra sono al massimo due, quindi mi sono procurato la sua mail e gli ho scritto. Pensavo che avrebbe detto: quello degli Oasis? Si fotta. Invece è saltato fuori che la cosa gli piaceva. Be’, io pensavo che Pretty Boy suonasse come un pezzo dei Cure finché non ho ascoltato la versione di Robert Smith: quella sì che suona come un pezzo dei Cure! Quando qualcuno si stupisce che mi piacciano i Cure rispondo sempre che non c’è bisogno di vestirsi come Robert Smith per essere un loro fan. Ha scritto dei pezzi pazzeschi, che hanno resistito al passare del tempo. Li ho visti due volte, una a Roskilde e una alla Wembley Arena, lo scorso dicembre, e le loro canzoni sono fenomenali. In più fanno dischi nuovi. A Wembley con Robert Smith abbiamo anche parlato un po’, è un tipo divertente e di tanto in tanto ci scriviamo delle mail, una cosa abbastanza surreale».

I fuckin' amazing Pet Shop Boys

«Anche nel loro caso in molti si stupiscono del mio apprezzamento. Li ho incontrati alcune volte, anche perché sono amici di Johnny e hanno partecipato a dei pezzi degli Electronic. A Glastonbury, mentre tutto il festival si muoveva verso il palco di Kendrick Lamar, io camminavo in senso contrario per andare a vedere i Pet Shop Boys. Sono stati fuckin’ amazing. Il loro live dura un’ora e mezza e conoscevo tutte le canzoni, ci si scorda facilmente di quante hit hanno scritto. Mi hanno mandato due versioni della canzone e una era così fuckin’ Pet Shop Boys che non me la sono sentita di pubblicarla: ho scelto l’altra».

Gli Oasis e le band generazionali

«Penso che se non fossero arrivati gli Oasis sarebbe arrivata un’altra band. Ogni generazione ha bisogno di una band da sentire come propria. A metà degli anni ’90 noi siamo stati quella band. Se i Verve fossero arrivati al successo tre anni prima, nello stesso nostro anno, penso che i nostri ruoli si sarebbero scambiati. Ma il nostro timing è stato impeccabile. Non ci sono più le band. Sono tutti artisti solisti. Alcuni sono grandi, altri sono ascoltabili, ma in una band c’è qualcosa di magico: i diversi personaggi. Le grandi band americane hanno un grande frontman: Jim Morrison, Iggy Pop, Lou Reed. Quelle britanniche ne hanno due o tre: Mick & Keith, John & Paul… Il cardine di tutto comunque è il fuckin’ songwriter».

La prossima Live Forever

«Se da qualche parte c’è un tizio, ancora sconosciuto, che sta scrivendo la prossima Live Forever, prima o poi lo sapremo. Quando ho scritto Live Forever non ero nessuno, nessuno mi conosceva, non avevo un manager. Eravamo una piccola band in una piccola sala prove. Ma tutti quelli che hanno ascoltato quella canzone l’hanno detto a qualcun altro e alla fine tutti l’avete ascoltata. L’ho scritta un martedì sera in un appartamento di Manchester. Ricordo di averla portata in sala prove quella stessa notte e di averla suonata agli altri. Ricordo che Bonehead disse: “Non l’hai scritta tu”. “Certo che l’ho scritta io!”, gli ho risposto, ma non ci credeva. Quando l’ho scritta sapevo che dopo la sua uscita sarebbe cambiato tutto. Conoscevo abbastanza della musica e della scrittura di canzoni per capire che era un classico».

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