Ho riflettuto moltissimo sulla opportunità o meno di far leggere al mondo queste parole pensate per Luca e lette in chiesa il giorno del suo funerale. Il fatto stesso che le abbia lette in pubblico implica che io desiderassi esternare alla gente non tanto il mio sentimento per lui, ma le tante cose belle che lo hanno caratterizzato in vita. Non è forse lo scopo di una rievocazione in pubblico quello di lodare il defunto al fine di lasciare di lui il miglior ricordo possibile? Ho scolpito in mente l’incredibile portato dell’encomio pubblico di Alberto Angela per suo padre: quando lo sentii fui pervaso da una profonda commozione. Comprendo le ragioni di chi rivendica sempre e comunque il pudore e il composto silenzio, ma io faccio parte di coloro che si emozionano al percepire il pathos della commozione altrui.
Luca ha passato una vita a fare musica anche per ottenere riscontro, di qualsiasi portata esso fosse, e mai a scapito dell’ideale artistico che aveva e abbiamo; e parimenti noi Marlene con lui, così come qualsiasi artista che desideri far conoscere al pubblico i propri lavori: c’è chi si impegna tantissimo, chi abbastanza, chi poco. Non fa differenza. Se no lo fai per te stesso e non lo divulghi. E sono stato molto felice che si sia scelta la forma pubblica per il suo funerale: Luca (e tutti noi, parenti e amici) aveva bisogno dell’abbraccio della gente. Proprio perché nella vita l’ha sempre cercato: perché sbattersi oltre ogni possibile immaginazione per trenta e passa anni, lottando con le innumerevoli difficoltà del fare un certo tipo di musica in Italia, se non per ottenere e poi mantenere o allargare l’amore e la stima dei propri ammiratori?
Ed ecco perché mi convinco dell’idea di estendere qua queste mie parole: sono persuaso, o perlomeno speranzoso, che chi non l’ha conosciuto le leggerà con trasporto, imparando qualcosa di lui e dei Marlene, e probabilmente di tutti coloro che costituiscono la fantastica famiglia dei nostri ammiratori, così amorevoli, composti, discreti, e premurosi (i loro messaggi d’amore per lui e per noi in questi ultimi quattro giorni tormentosi sono stati un’ancora di salvezza). Luca sarà felice se questo mio scopo verrà raggiunto. E di questo nessuno si può permettere di dubitare: sono io quello che lo conosceva bene, non chi potrebbe avere da ridire.
Caro Luca: sto lasciando scorrere nella mente abbozzi di parole e frasi adatte a raccontare dove mi trovo ora. Credo di star avendo l’intuizione giusta, e so che vorrò partire da qui, domani, venerdì, per organizzare quello che dirò in chiesa sabato. Sono le 20.30 circa, il giorno è giovedì. In mattinata Monica, la mamma di mio figlio Enrico, colei che ci ha visti nascere come band e la cui amicizia ci siamo reciprocamente donati per più di 40 anni, mi ha detto fra le lacrime che non c’eri più. Che eri mancato. Ho passato tutto il giorno al telefono, rispondendo a centinaia di messaggi e dialogando con dolore e costernazione con Riccardo, Davide, Luca, Toni, Andrea, mio fratello Beppe, Enrico, tuo fratello Antonello, tua sorella Betty, Valeria e alcuni fra i nostri amici comuni più stretti. E sai dove sono ora? Nella vasca da bagno di una stanza di un hotel, a Milano, dove stasera avrei dovuto fare uno dei miei spettacoli solitari. Ovviamente l’ho fatto rimandare. Avevo bisogno di staccare, e in questa vasca d’hotel mi viene in mente in quante vasche e docce d’hotel io, te e tutti gli altri siamo stati nel corso di una vita. Possiamo immaginare almeno 2000? Penso di si. Era (ed è ancora) il nostro momento sacro, il relax in stanza. Quattro in particolare erano i nostri momenti sacri: quello dell’arrivo dopo un lungo viaggio (a volte potevano anche essere 8 o 900 km, e da molto giovani anche tutta l’italia fino a Santa Maria di Leuca ci siamo sparati in un solo giorno, da Cuneo, ai perfetti antipodi della nazione), poi quell’altro momento sacro fra la fine del soundcheck e la cena, poi quello drammaticamente corto fra la cena e il concerto, e infine quello definitivo, dopo il concerto, quando stremati seppur ancora avvinti all’adrenalina, ci si ritirava salutandoci sino al mattino dopo.
Due anni fa tu hai avuto un cedimento, e poco per volta non sei più riuscito a stare con noi, né in studio di registrazione, né in giro per le tournée. Lo hai raccontato bene nel tuo ultimo post su Facebook, con bella convinzione, manifestando una serenità ritrovata, che ci allietava. E io mi sono sempre chiesto quanto male ti avesse potuto fare l’abbandono di una routine che era la tua vita, durissima e bellissima al contempo, quella a cui tutti noi ci siamo votati intorno ai nostri 25 anni macinando milioni di km per circa 30. Una scelta di vita particolare, che ci ha sempre tenuti costantemente in giro, ovvero lontano da casa. Davvero non oso pensare a quanto possa esser stato difficile per te rinunciare a tutto ciò, e noi abbiamo sempre voluto sperare che la tua volontà e il tuo carattere ti avrebbero un giorno permesso di ritrovare la forza e la determinazione per tornare in forma e tornare con noi, nel posto che ti competeva e che è sempre stato potenzialmente il tuo. Pensare a tutto questo andirivieni scatena in me una marea di ricordi vividi, di gloria e di eroismo, di cocciutaggine, di pazienza, di ore di sonno seduti addormentati sui sedili del van, costringendo il corpo a posture che ci hanno segnato l’esistenza. E ancora l’amore puro per la musica e per la missione che avevamo e alla quale non abbiamo mai rinunciato. Come ha scritto ieri in un tenero messaggio sul mio WhatsApp la nostra comune amica Giulia Villari, musicista, noi abbiamo ingaggiato una lotta eterna, che è sempre stata e sempre sarà nella storia, avendo scelto la ricerca, la sensibilità, l’intelligenza. Quanto onore e quante complicazioni ci ha procurato questa scelta! E noi ne siamo sempre stati così orgogliosi! Con quanta fierezza continuavamo a produrre musica all’insegna di un profondo ideale artistico, e con quanto dispiacere scambiavamo insieme la sensazione che non tutti ci capivano, che alcuni ci abbandonavano. Ci raccontavamo queste cose, e la nostra unica risposta era sempre e soltanto la suprema fiducia nella qualità e nell’onestà delle nostre intenzioni.
Ti rivedo sorridere con arguzia alla battuta fulminante che hai appena generato, aspettando che tutti noi la si colga per prorompere in una risata liberatoria, attraverso la quale testare la nostra ammirazione per la tua ironia e per la capacità di creare un senso altro da un uso giocoso e spericolato delle parole. Lo sai che per noi eri un Bergonzoni in scala ridotta, e sai quanto ammiravo questa tua dote. Ed era sorprendente la tua prontezza di riflessi, perché era veramente una faccenda di “via una l’altra”, incessantemente, prodigiosamente. Erano doni vitali per tutti noi: sdrammatizzavano, trascinavano, infondevano energia, vigore, buonumore, leggerezza. E non parlo solo dei Marlene: chiunque fosse nella nostra cerchia di amici godeva con gratitudine delle sensazioni appena elencate. Eri così benvoluto nella tua costante positività, che eri terribilmente prezioso. Difficile che in tua presenza si sparpagliasse duratura una cappa di pessimismo o di introversione. Senti cosa ha scritto di te Rob Ellis, il nostro amico batterista inglese, fondatore della band di P.J.Harvey, con cui abbiamo fatto due dischi e un tour indimenticabile: «Un gran batterista e un ragazzo adorabile. Un vero gentleman in possesso di una arguzia cristallina, e uno humor secco e ilare, come la versione italiana di Peter Sellers. Un’amorevole persona con cui passare il proprio tempo». So quanto ti farebbe piacere questo attestato di stima, e quel paragone con Peter Sellers poi, cui non avevo mai pensato e che trovo così perfetto! Bergonzoni e Peter Sellers: quali vertici, mio caro amico Luca…
E ripercorro con la memoria le cose che io e te abbiamo fatto insieme. Eravamo la coppia che si cercava per il divertimento al di fuori della band. Laddove Riccardo era più appartato e votato alla dimensione famigliare, io e te ci sapevamo prendere i momenti della spensieratezza, condividendo svago e relax. E anche vacanze. Fummo magnifici le tre settimane che passammo a Cuba. Io commisi una leggerezza nel partire in un momento non appropriato, ma quanta gioia nel vivere insieme lo svacco del braccialetto all-inclusive in un villaggio turistico, per poi dedicarci all’avventura alla ricerca del son cubano e della salsa, a Trinidad, a Santiago e all’Havana. Tornammo indietro con qualcosa di prezioso per una canzone che proprio stasera suoneremo in teatro a Saluzzo: tu il ritmo latino, io la leggenda dei sogni che non hanno testimoni. E mi sovviene Palermo, dove tu ti mettesti al servizio del mio momento no, sostenendomi, parlandomi molto, prendendoti cura di me e cercando di aiutarmi, empatizzando e interpretandomi (oh, se solo anche tu avessi fatto allo stesso modo con me, con noi, invece di tacere sempre tutto!), e ancora Mosca, dall’amico Rocco, e ancora Londra, Berlino, che amavamo così tanto, e le altre che ora fatico a riportare alla memoria: eravamo fighi, e ci sapevamo divertire. Eravamo stilosi, ci compiacevamo di ciò, e ci piaceva piacere in terra straniera, non sapere di italiani in vacanza, sapendo di essere esotici e cool. Eravamo pur sempre dei cuneesi con tutta la loro componente naif, che sentivamo di mascherare benissimo facendo invaghire i nostri colleghi musicisti, quelli in cui spesso ci imbattevamo.
E quanti concerti insieme ci siamo visti! Eri tu il mio compagno di concerti preferito da quando cominciammo a essere amici, e quanta condivisione di emozioni simili, e quanto desiderio di imparare dai nostri beniamini. Eri tu la faccia tosta del gruppo: e ho scolpita nella mente la volta che con deliziosa sfacciataggine dicesti al nostro amato Nick Cave, che eravamo andati a vedere, che stavo traducendo i miei testi in inglese, con la chiara e sottesa intenzione di cavarne fuori qualcosa. Fu grazie a questa imbeccata che lui si mise a disposizione per correggermeli, e sai bene quanta emozione mi procurò questa fantastica opportunità. Grazie a questa tua furbata io ho potuto vivere uno dei momenti più alti della mia esistenza! E d’altronde fu proprio grazie a questa tua qualità che riuscisti a convincermi a provare con voi, tirando dentro me e il caro Alex nell’avventura di quelli che sarebbero diventati i Marlene. Fosti così bravo a insistere: io non ero convinto, tu mi cercasti, quasi con insistente molestia, e mi prendesti per estenuazione. Se i Marlene sono nati fu proprio per questa tua ostinazione, e mi è così tenero ricordarmelo ora.
Sei stato un batterista enorme. Inventivo, musicale, originalissimo nel panorama italiano. Senti cosa ha scritto di te Samuel, il nostro amico e cantante dei Subsonica: «Una delle migliori band di sempre, un tuono che spesso nasceva proprio da dietro. La postazione di Luca». Ne saresti assai felice. Credo che il tuo modo di suonare abbia influenzato tantissimi giovani batteristi della nostra generazione, e per molti di loro eri un eroe. Anche tu avevi i tuoi eroi, su tutti il batterista di Siouxse and the Banshees, anche se poi hai trovato la tua via, come tutti noi, che a nostra volta abbiamo avuto i nostri eroi. Eri tribale e percussivo, figlio del post-punk inglese, preciso eppure irruento, energetico, inarrestabile, accorto e lesto nel modellare il tuo marchio di fabbrica per adattarlo agli input che ti fornivamo io e Riccardo. La mescola delle nostre reciproche influenze ha generato il suono Marlene, e dovresti vedere quanti commenti e quanti like stanno fiorendo nei social. Hai lasciato il segno in moltissime persone, Luca, e data la nostra impagabile modestia (la mia, la tua, quella di Riccardo), saresti secondo me quasi stupito nel vedere il tanto amore che hai saputo meritare nel corso di tutti questi anni. Piovono attestati di stima e affetto da ogni dove, amico mio, e so bene quanto ti renderebbe orgoglioso tutto ciò. Lo siano anche i tuoi figli, Tommaso e Alessandro, che devono sapere che razza di padre fantastico hanno avuto, amato ovunque in Italia, seguito, imitato, stimato, benvoluto. Caro Tommaso, caro Alessandro: sappiate che vostro padre è stato una persona splendida e un musicista valente, e senza di lui non esisterebbe questa bellissima favola di nome Marlene Kuntz. Se vorrete e vi farà piacere, stasera vi farò a un certo punto salire sul palco con noi e vi farò salutare il pubblico che sarà venuto a vederci. Vi farò sedere sullo sgabello dietro la batteria e così potrete vivere l’emozione che ogni sera viveva vostro padre quando faceva il concerto. Perché dovete sapere una cosa, cari Tommaso e Alessandro: quando noi saliamo sul palco per suonare, davanti a poche o tante persone, con cento o mille km alle spalle, in perfetta salute o acciaccati, noi diamo sempre tutto di noi stessi: è il solo modo che conosciamo per vivere la musica per come vale la pena che sia vissuta, con passione e amore. E spero che la passione e l’amore siano le cose che vorrete coltivare anche voi nella vostra vita: vi faranno diventare dei magnifici uomini, esattamente come vostro padre. E tu Roberta, che hai diviso con lui una grossa fetta di percorso di vita: ti auguro il meglio, sapendo che non sarà per nulla semplice. Noi saremo sempre disponibili, in caso di necessità, a fare la nostra parte. Come lo saranno Antonello e Betty, Luca, i tuoi incredibili fratelli, che ti hanno seguito con un amore che mi ha spesso lasciato senza parole. Una dedizione commovente, uno stimolo incredibile, una pazienza senza confini, una fonte di massima ispirazione a far del bene per qualcun altro.
Grazie Luca: come ho scritto ieri sui social, ci mancheranno tutte le tue azioni di collante, la solidarietà, l’amicizia, la complicità di un progetto di vita condiviso per più di 35 anni, l’affidabilità della tua solenne lealtà. Ti stavamo aspettando per riappropriarcene, non ce l’hai fatta, ne resteremo orfani. Ma ti saremo sempre grati.
Per tutto questo grazie. Semplicemente grazie. Perdutamente grazie. Solennemente grazie. I tuoi Marlene.