Alessandro Morelli, presidente leghista della commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera, oltre che ex direttore di Radio Padania, ha presentato nei giorni scorsi una proposta di legge che obbligherebbe tutte le emittenti radio italiane a trasmettere, per “almeno un terzo della loro programmazione”, canzoni italiane, ovvero musica “opera di autori e di artisti italiani e incisa e prodotta in Italia”.
Un’imposizione bizzarra – una sorta di quota tricolore per le radio musicali – che arriva in coda alla vittoria di Mahmood al Festival di Sanremo. «La vittoria di Mahmood all’Ariston dimostra che grandi lobby e interessi politici hanno la meglio rispetto alla musica. Io preferisco aiutare gli artisti e i produttori del nostro paese attraverso gli strumenti che ho come parlamentare», dice Morelli.
Probabilmente ignorando una serie di cose tra cui il fatto che Mahmood sia italiano, che la sua canzone sia stata prodotta in Italia, opera di autori italiani, visto che è firmata da Dario Faini e Charlie Charles (nome d’arte di Paolo Monachetti), incisa per un’etichetta italiana. E che, lo ripetiamo per l’ennesima volta, non dimostra gli interessi di nessuna lobby e né di alcun partito politico.
Ricordiamo bene che una cosa molto simile fosse stata ventilata nel 2017 dall’allora ministro Franceschini e prima ancora appoggiata in varie forme da Fimi e dal patron del MEI Giordano Sangiorgi (ma erano altri tempi per la musica italiana, comunque).
Premessa dovuta per spiegare una cosa molto semplice: non c’è bisogno delle quote di un terzo, perché le radio, nella loro totalità, trasmettono già più delle canzoni italiane “richieste”.
I dati sono abbastanza facili da reperire e da analizzare. Le classifiche ufficiali di airplay, ovvero i brani più trasmessi dalle radio sono a disposizione qui.
Dall’inizio del 2019, almeno 4 dei 10 brani più trasmessi dalle radio sono stati italiani. Spesso, nello specifico per tutto il mese di gennaio, ci sono stati solo brani italiani nella Top 3. Anche guardando la classifica di fine 2018, le cose non cambiano: tra i 20 brani più trasmessi dell’anno ci sono stati nove italiani (due sul podio), che diventano 47 su 100 allargando un po’ il panorama.
Le radio, in Italia, prese nella loro totalità, trasmettono quindi circa il 50% di musica fatta in Italia, da cantanti italiani per etichette italiane, come richiesto dalla proposta. Come in realtà sostengono anche Linus e Lorenzo Suraci, in due interviste diverse: i patron di Radio Deejay e Rtl 102.5, due delle cinque radio più ascoltate in Italia, in due diverse interviste, a Repubblica e Il Messaggero, nella versione cartacea in edicola.
Mettere mano radio per radio, poi, potrebbe avere poco senso. Cioè, la peculiarità delle singole emittenti sarebbe da preservare, perché non è un discorso di “quote”, ma di pluralità di voci, chiamiamola così, necessaria a garantire una “soglia di qualità”.
Anche perché il mercato musicale italiano, che vive un buon momento – basterebbe ricordarsi delle classifiche di fine anno diffuse dalla Fimi – è sempre più appoggiato dai media. A patto che proponga un prodotto di qualità.
Forse la vera sfida è questa: al posto di preoccuparsi delle “lobby” e dei “voti politici”, preoccupiamoci di dare più possibilità a chi vuole fare musica di potersi permettere uno studio, delle attrezzature tecniche, degli spazi dove suonare… Così le radio trasmetteranno ancora più musica italiana. Senza bisogno di imposizioni.