L’ascesa di Doechii all’Olimpo del rap americano con Alligator Bites Never Heal non ha di per sé alcunché di nuovo, ma era da un bel pezzo che non si leggevano accuse e controversie nei confronti di un’artista che non strizza l’occhio al pubblico incline all’impegno sociale, né al contrario agli incel. Il fascino di Doechii sta tutto nella sua musica, nella visione creativa, nel carisma. Sembra quasi d’assistere a un ritorno a un’era dell’industria musicale hip hop che i Gen Z non hanno vissuto. E forse è proprio questo il motivo di tanto scetticismo nei confronti di Doechii.
Le critiche riguardano la sua musica sono ovviamente normali, nessuno può pretendere di piacere a tutti. E però il chiacchiericcio on line sembra frutto di misoginia, omofobia, discriminazione in base al colore della pelle e ignoranza di come funziona l’industria della musica. Secondo una delle accuse che le vengono mosse, Doechii sarebbe una cosiddetta industry plant, accusa ripetuta dopo che è diventato virale il video di un’ospitata a First We Feast.
Nel video, Doechii dice alla sua dj Miss Milan che gli etero per lei rappresentano una red flag, cosa che ha fatto indignare il tipo d’uomo che idolatra i rapper che parlano di donne in modo degradante. L’hanno accusata di far parte di un complotto anti-maschile. Qualcuno, non capendo perché stesse diventando una star, ha ipotizzato che l’atteggiamento anti-eterosessualità maschile sia il compromesso che ha dovuto accettare in cambio della fama. È stata definita dispregiativamente bimba di Bell Hooks da certi pseudointellettuali che immaginano i media come parte di una guerra psicologica ai danni dei maschi etero.
In pochi (per non dire nessuno) hanno preso atto dell’ascesa della cultura incel e delle statistiche sulla violenza di genere liberamente consultabili che giustificherebbero una donna apertamente queer a essere cauta di fronte a un uomo etero. L’indignazione e gli insulti hanno dimostrato la correttezza del suo punto di vista. Solo chi è cieco di fronte alla realtà del patriarcato come sistema fondato sulla violenza può pensare che criticarlo e reagire significhi far parte di un complotto.
È solo l’ultima bufera social che riguarda Doechii. Ogni volta che taglia un traguardo si trova ad affrontare un nuovo argomento avvilente di discussione. È stata accusata di fare«musica da schiavi e da Harriet Tubman», per citare una frase diventata virale su X dopo la sua esibizione da Stephen Colbert. Azealia Banks l’ha definita una sua «versione brutta». Chi non la insulta la usa come pretesto per sfogare la propria ira verso l’industria discografica. La fissazione delle major nei confronti della viralità come principale indicatore della bontà degli investimenti fatti ha creato un ambiente in cui gli artisti sono percepiti come trend e non come esseri umani. Per dire, la brillantezza di Not Like Us un po’ svanisce quando anche Kamala Harris la cita in un comizio.
E così i fan che vedono una star in ascesa diventare protagonista dell’ennesimo trend virale pensano ci sia in ballo qualcosa di strano. Tolte le superstar della vecchia guardia, l’industria sforna come in una catena di montaggio figure che non hanno il talento necessario per reggere nel lungo periodo. Quando svanisce l’effetto novità, svanisce anche l’artista. Ecco perché ci spiega vedere un’artista che lotta contro il destino di un rapido declino.
Non è questo il problema di Doechii, però. La sua carriera dura da 11 anni ed è ben documentata online, compresa la cronaca su YouTube del momento in cui è stata licenziata da un lavoro frustrante e ha deciso di dedicarsi a tempo pieno alla musica. Nel 2023 ha raccontato a Rolling Stone di aver iniziato a organizzare concerti rap per sole donne, i Coven Showcase, nella sua città natale di Tampa, Florida. Nel 2019 ha pubblicato Coven Music Session, Vol. 1 e nel 2020 Oh the Places You’ll Go, affinando il proprio sound col passare degli anni. Nel 2023 ha detto che il suo progetto successivo sarebbe stato un album concettuale e Alligator Bites Never Heal sembra a tutti gli effetti un nuovo inizio. Ha anche cercato di migliorarsi, diventando sobria e leggendo libri come La via dell’artista. «L’unico momento che conta è il presente… l’ho capito e mi son detta: “Ok, se esiste solo il presente, voglio avere paura?”. No, bitch. Voglio fare una grande canzone e divertirmi».
Invece di essere ispirati dal fatto che il costante miglioramento di sé l’ha portata alla celebrità che tanto desiderava, i detrattori cercano motivi per invalidarne il successo. Forse dovrebbero domandarsi se il loro scetticismo sia meritato.
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Il buzz intorno a Doechii l’ha resa protagonista della Settimana della moda di Parigi, dove ha debuttato in passerella per DSquared2 e ha fatto diverse altre apparizioni di rilievo. Una volta tornata negli States, è scesa dall’aereo ed è subito salita sul palco con Lauryn Hill al festival Jazz in the Garden di Miami. Chi s’indigna perché lEi riesce a intessere tutti questi rapporti non si rende conto del fatto che è una cosa che è sempre successa nell’industria musicale. Le etichette investono pesantemente negli artisti in cui credono, i brand propongono loro collaborazioni, gli artisti affermati li notano. Negli ultimi anni ci siamo talmente abituati a vedere le case discografiche trascurare il marketing che una campagna ben riuscita viene vista come una macchinazione nefasta invece di una storia di successo. È giusto irritarsi perché un’etichetta fa di tutto per cercare di farci piacere qualcosa, ma il marketing non è una tattica oscura. E non è giusto indirizzare il fastidio verso un’artista di talento.
Industry plant è una di quelle espressioni a effetto che non hanno un solo significato. Può indicare ad esempio un artista spuntato dal nulla grazie alla parentela con qualcuno di influente nell’ambiente dell’industria discografica. Ma non è coerente col profilo di Doechii, una veterana con una decina d’anni di esperienza che ha messo a punto un progetto raffinato e avventuroso, con una sua visione creativa. È l’incarnazione del concetto di “diventare popstar nottetempo”, però con un decennio di preparazione alle spalle. Ha lavorato sodo per guadagnarsi il supporto ricevuto a livello di marketing.
Nel momento in cui i fan si lamentano per la morte della stardom nel rap, c’è sconcerto perché Doechii stia diventando una star del rap. Strano, vero? A qualcuno potrebbe legittimamente non andare a genio il suo modo di cantare giocoso e vivace. Ma oramai siamo tutti direttori artistici da divano e ce l’abbiamo con Doechii perché la sua etichetta ha investito su di lei e lei ha colto le occasioni che le sono state proposte. Cosa peggiore, alcune critiche sembrano causate dal fatto che è una donna dalla pelle scura e queer. E nell’America anti-black è considerato semplicemente troppo.