Do They Know It’s Christmas? dei Band Aid, la canzone all-star pubblicata nel 1984 per raccogliere fondi per l’emergenza in Etiopia, la cui popolazione era ridotta alla fame e stremata dalla guerra civile, è stata una hit natalizia esplosiva (a novembre ne è stata prodotta l’ennesima versione). Negli anni ’80 il pop era particolarmente attivo su tali questioni, specialmente a Natale. Persino i proventi di Last Christmas degli Wham!, uscita in quello stesso anno, furono devoluti in beneficenza per la popolazione etiope. Non molti sanno però che c’è stato un altro supergruppo messo in piedi per la stessa causa, ma proveniente da tutt’altro ambiente, quello del metal che all’epoca veniva associato a satanismo, droga, sesso, sperpero di danaro, autodistruzione, eccessi e persino crimini. Stiamo parlando degli Hear ’n Aid, frangia metallara del movimenti per “sfamare il mondo” che pubblicò il singolo Stars il 1° gennaio 1986, ultimo regalo alla causa prima che si sgonfiasse la moda solidale. Ma andiamo con ordine.
Come abbiamo detto, Band Aid fece il botto partendo dall’Inghilterra grazie alla penna di Bob Geldof e Midge Ure (all’epoca ancora negli Ultravox). Alcuni mesi dopo gli americani scesero in campo con We Are the World scritta da Lionel Richie e Michael Jackson, e anche lì soldi a palate a scopo benefico. Pensate che qualche metallaro o hard rocker sia stato contattato per partecipare a tali iniziative? Neanche per idea, a parte membri degli Journey in USA for Africa, per il loro essere “trasversali”. E non perché il metal non facesse cassetta, anzi, era uno dei generi più in voga allora. C’era invece un problema di immagine, si pensava quei capelloni avrebbero scoraggiato il pubblico medio all’acquisto soprattutto in un periodo come quello reaganiano in cui i famosi comitati scuola/chiesa/genitori non facevano altro che sabotare certi dischi.
L’ideatore di Hear ’n Aid è Ronnie James Dio. Il cantante ex Rainbow ed ex Black Sabbath, inventore del gesto delle corna e in quel periodo leader dei Dio era nel pieno della sua ascesa ed era sinceramente interessato a iniziative umanitarie come We Are the World, a cui avrebbe voluto essere invitato. L’epifania dopo un’intervista a Jimmy Bain e Vivian Campbell, bassista e chitarrista dei Dio. Il dj di Radio KLOS fa notare l’assenza di certi musicisti hard & heavy in questi supergruppi, e a Dio viene l’idea di fare un Band Aid con gente di punta della musica dura.
Nelle file degli Hear ’n Aid ci sono 40 esponenti del metallo che conta: Quiet Riot, Judas Priest, Vanilla Fudge, Rough Cutt, W.A.S.P., Night Ranger, Iron Maiden, Dokken, Blue Öyster Cult, Mötley Crüe, Queensrÿche, Yngwie Malmsteen, Ted Nugent e persino la parody band Spinal Tap. Insomma la crème de la crème del genere, o quasi. Ovviamente ci si concentra prevalentemente sulle due cose che fanno del metal il metal: i cantanti e i chitarristi. Se per i cantanti è chiaramente più facile condividere le frasi melodiche con un sapiente uso di editing a creare turnover, per i chitarristi è più complicato. Ma a Dio non frega un cazzo e anzi, mette insieme tutta una serie di guitar heroes (per l’esattezza 11) accroccandoli uno dietro l’altro coi loro assoli fino ad allungare la canzone in una maniera tanto delirante quanto sfiancante (sette minuti non è certo una durata radiofonica per un brano che invece dovrebbe andare in heavy rotation).
Stars è un dignitoso brano hard rock, copia carbone della hit dei Dio Rainbow in the Dark, tanto per andare sul sicuro. Tutta la band di Dio è in azione (sfido, ne sono gli autori), ma non c’è un testo esplicito sul problema della fame nel mondo. “Siamo stelle”, recita il testo, si parla di uguaglianza, di unirsi per una buona causa. Alcuni dei musicisti coinvolti in quel periodo non facevano certo una vita da educande, basti pensare a Vince Neil dei Mötley Crüe che aveva praticamente appena ucciso Razzle, il batterista degli Hanoi Rocks, in un incidente d’auto (erano entrambi strafatti nella stessa macchina guidata da Vince), ma Ronnie James vuole andare fino in fondo per arrivare a più gente possibile, abbandonando certi cliché. Non solo nella canzone, che strizza l’occhio all’AOR, ma anche nel nome del progetto. Perché non un nome tipo Metal Aid al posto di Hear ’n Aid così “democristiano”? La risposta è ovvia: è un nome che tutti possono capire, anche chi non è avvezzo a borchie e pelle nera.
Esce anche un documentario sul making del pezzo in cui vengono intervistati i musicisti e si filmano i momenti salienti della registrazione avvenuta negli stessi studi di USA For Africa, con tanto di classico coro tutti insieme, mani sulle cuffie e occhio al direttore, con l’effetto semigrottesco di far sembrare i cantanti cuculi che nel nido chiedono cibo (menzione particolare per Rob Halford dei Judas Priest che sembra voglia farsi saltare le cervella dallo sforzo).
Di tutto questo impeto umanitario frega molto poco, con gli artisti a baccagliare con le rispettive etichette discografiche per problemi contrattuali dovuti alla partecipazione, tanto che l’uscita del disco slitta di mesi, annullando di fatto la spinta che avrebbe avuto l’operazione. Verranno raccolti per la causa solo tre milioni, una facezia rispetto ai soldoni di Band Aid e USA for Africa, ma almeno verranno ben spesi. A differenza della creatura di Geldof, non ci saranno sprechi di cibo o episodi di corruzione o truffa. Ronnie James manda in Etiopia attrezzature agricole equamente distribuite, dopo aver saggiamente fondato un’associazione no profit, dimostrando che i metallari hanno più sale in zucca.
Come ogni operazione del genere, oltre al singolo non può mancare l’album: Hear ’n Aid contiene tracce dal vivo di artisti non presenti nel 45 giri come Kiss, Motörhead, Rush, Scorpions e Accept e – non si sa perché – un brano dei Jimi Hendrix Experience, ma questo non basta a farlo decollare in classifica. Neppure il video ufficiale serve a promuovere il disco, MTV lo manda in onda senza crederci molto. Il singolo arriva al 26esimo posto nella classifica del Regno Unito, probabilmente grazie al passaparola, quando avrebbe potuto difendersi molto meglio con una strategia promozionale mirata, magari non basata sulla fotocopia delle precedenti operazioni musical-solidali.
Hear ’n Aid ha avuto senso o no? Nel suo piccolo ha contribuito meglio di altri alla causa. Non si tratta di chissà quale picco artistico, anche perché si sente l’urgenza di fare qualcosa al volo e la fretta a volte non aiuta. Sicuramente è stato un grande momento weird nella storia del metal, una presa di posizione della serie «siamo stufi di passare per cattivi, siamo buoni» (e Ronnie James ha spesso annunciato un ritorno in campo di Hear ’n Aid a scopi benefici, l’ultima volta nel 2015, poi come al solito ci si sono messe di mezzo beghe contrattuali). E oggi, in una situazione in cui i genocidi vengono fatti passare come normali, ci mancano personaggi come gli antieroi di Hear ’n Aid, gente che fa musica dura ma che è capace di scrivere uno degli incipit più toccanti di sempre nella sua semplicità: “Who cries for the children? I do…”