«“I’m the boy of Britain before the Daily Express”. Inizia così la presentazione di un video live del 1973 agli Shepperton Studios. Quel live è stata la prima cosa che ho visto e sentito dei Genesis. E forse addirittura di popular music in generale. Credo si parli del 1998, un anno prima che iniziassi l’avventura dei Mariposa. Ero uno studente di Conservatorio, un vero classic nerd, con i capelli corti, idee rigide e poco chiare, affascinato da miti morti e infastidito dalla viva realtà e dalle batterie. L’unico modo in cui posso descrivere l’effetto che provai vedendo quel video di Dancing with the Moonlit Knight dal vivo è “totale infatuazione”. Non ho provato mai più niente di simile in vita mia e così ho deciso di fare ammenda, ora che sono grande e che la pioggia mi è caduta addosso per oltre quaranta stagioni. Di fronte al mondo musicale degli ultimi vent’anni, dichiaratamente anti-progressive e spesso ideologicamente contrapposto alla deformazione della forma-canzone, ho fatto finta che i Genesis non fossero mai stati una parte importante di me. Ora però ne dichiaro e sancisco il totale e completo amore».
Enrico Gabrielli mette in chiaro quello che un discreto numero di appassionati di musica italiani pensano: non è più un peccato mostrare il proprio amore per i Genesis (era Peter Gabriel). E se c’è un disco simbolo di questa passione, quello è Selling England by the Pound, oggi fresco cinquantenne. L’album ha continuato ad ammaliare nel corso del tempo, lo provano questi musicisti della scena italiana che lo amano incondizionatamente pur non avendone vissuto la pubblicazione. Perché Selling England è anche questo, è un’opera che si tramanda di generazione in generazione.
Nel 1973 i Genesis hanno già dato alle stampe opere del calibro di Trespass, Nursery Cryme e Foxtrot e hanno raggiunto ampi consensi di pubblico in Italia, luogo particolarmente sensibile al loro suono romantico e fantasioso. Col quinto album si apprestano finalmente a entrare in classifica nel Regno Unito grazie a un lavoro inglese fino al midollo, specchio dell’Inghilterra dei ’70 in bilico tra consumismo e tradizione, con i laburisti che accusano i conservatori di venderla un tanto al chilo (da qui il titolo). È quindi un disco anche politico, nella maniera peculiare nella quale i Genesis potevano parlare di politica, con brani tra i più iconici di tutto il loro repertorio, cose che anche chi li odia conosce come Dancing with the Moonlit Knight, Firth of Fifth e The Cinema Show. Momenti di musica totale, con parti vocali e strumentali di impatto pur nel barocchismo generale del suono, melodie che si stampano in mente e non se ne vanno più, un po’ come succede nel pop. Ma… un momento, al pop i Genesis hanno cominciato a dedicarsi un po’ di anni dopo, o no?
Livio Magnini, chitarrista dei Bluvertigo, ha una sua teoria: «Selling England by the Pound ti fa scoprire qualcosa di nuovo a ogni ascolto, ogni volta sembra un disco diverso, ci sono particolari a cui non hai fatto caso che si fanno evidenti, la volta dopo altri e poi altri ancora. È un disco multistrato che non finisce mai di rivelarsi. Poi mi fa impazzire il fatto che all’apparenza è dotato di una certa complessità che alla fine risulta piacevole all’ascolto. I King Crimson o gli Yes sono molto più complessi. I Genesis con Gabriel sembrano molto elaborati, ma se vai a cercare il fulcro del pezzo scopri che è una canzone. Da questo punto di vista non deve stupire l’accelerata verso il pop negli anni ’80, in nuce c’era già tutto, una matrice pop i Genesis l’hanno sempre avuta».
Veramente il prog dei Genesis nascondeva un fulgido cuore pop? Steve Hackett, che all’epoca di Selling England faceva parte dei Genesis, risponde citando le parole di un peso massimo: «Pensa che quando l’album uscì John Lennon disse che i Genesis erano i veri figli dei Beatles». E scusate se è poco.
Secondo Roberto Dell’Era, bassista di Afterhours e Winstons, «Selling England è più accessibile rispetto a Foxtrot, ammaliante al primo ascolto. È ricco di musica, di sezioni disparate, di cambi. Ma è fruibile, arriva diretto alle orecchie e al cuore dell’ascoltatore. E dentro c’è un pezzone 100% pop con addirittura una delle primissime performance rap della storia come I Know What I Like, che con i Winstons abbiamo più volte eseguito dal vivo. Che magia è la parte iniziale di Rutherford alla 12 corde in The Cinema Show, quanto è commovente Banks nell’intro di Firth of Fifth, e Collins e le sue armonie sparse nel tutto? Da paura, così come il suo modo di suonare».
A proposito di Phil Collins, in Selling England c’è anche la breve e acustica More Fool Me, con Rutherford alla chitarra e il batterista che prende il posto di Gabriel al microfono per la sua seconda interpretazione solista dopo For Absent Friends su Nursery Cryme. In quella si raccontava di una coppia di vedove in visita ai defunti, More Fool Me è invece una struggente love song a sfondo malinconico nella quale c’è già tutto il Collins solista che verrà.
Chiaramente il disco racchiude molto più che segnali pop, è un universo di stili e stimoli. Hackett: «La traccia di apertura Dancing with the Moonlit Knight è forse la mia preferita della band perché coinvolge un sacco di generi musicali e dinamiche. Sono orgoglioso di tutto Selling England, penso che il nostro modo di suonare si sia sviluppato in qualcosa di unico in quel momento. Firth of Fifth contiene il tema di chitarra più amato dei Genesis, eseguendolo ho sempre avuto la sensazione di volare come un uccello sopra un oceano di suoni».
Firth of Fifth ha una intro di piano che testimonia tutta la genialità di Tony Banks e una parte centrale con la melodia forse più conosciuta dei Genesis che, attenzione, non è un assolo di chitarra, è un tema melodico con un suo preciso svolgimento, prima eseguito dal flauto di Gabriel e poi, in grande stile, dalla chitarra elettrica. Uno dei momenti topici del prog nonché il frangente nel quale il fan dei Genesis arriva all’apice del godimento, specie quando entra il bass pedal di Mike Rutherford a colpire dritto allo stomaco.
Un altro fan inaspettato di Selling England by the Pound è il chitarrista dei Subsonica Max Casacci. «Avevo più o meno 16 anni quando con alcuni amici decretammo la nascita di una band. Erano gli anni ’70 del prog e i nomi si sceglievano sull’atlante astronomico. Zenobia fu il nostro e il gruppo che metteva tutti d’accordo erano i Genesis. Ricordo perfettamente i pomeriggi passati a imparare le parti di chitarra di Firth of Fifth, gli arpeggi di Cinema Show, oltre a quello da brivido di Dancing with the Moonlit Knight, muovendo avanti e indietro la testina del giradischi e rallentandone la velocità per capire meglio alcuni passaggi che mia madre, mentre cuciva, ricorda probabilmente ancora oggi come certi ostaggi di guerra ricordano le torture. Poi gli svariati weekend passati, tutti e cinque noi Zenobia, nella casa di montagna dell’altro chitarrista a studiare accordi, rivolti, ritmi e arpeggi dei Genesis divisi in gruppi di lavoro con mangiacassette roventi che alla sera imploravano pietà».
«In pratica giornate intere, talvolta missioni impossibili, per ottenere ciò che oggi su YouTube si capitalizza in pochi minuti. Però la soddisfazione di una I Know What I Like suonata sul palco dell’oratorio dei Salesiani di Via Piazzi nel primo concerto vero della mia vita non la dimenticherò mai. Come non dimenticherò la volta che imparai a contare musicalmente fino a sette schitarrando sullo strumentale di Cinema Show. Lo stesso 7/8 che torna con una certa frequenza nei Subsonica di Nuvole rapide o Discolabirinto. Ancora oggi per me Epping Forest non è un parco di Londra, ma un luogo mitologico e l’attacco di pianoforte di Firth of Fifth è uno stargate capace di trasportarmi istantaneamente in un luogo e in un tempo dove la musica non è classifiche, numeri di streaming, appuntamenti, promozione, comunicati, ma dimensione di pura meraviglia».
I testi di Selling England si interrogano sullo scorrere del tempo (Firth of Fifth) o dipingono scenette tra realtà e sogno (I Know What I Like). In The Cinema Show si parla addirittura di transizione sessuale tirando in ballo il mito di Tiresia che divenne donna e affermò che nel rapporto sessuale questa gode di più. In The Battle of Epping Forest c’è una battaglia tra gang rivali con una baraonda di metafore, doppi e tripli sensi, giochi di parole, scenette con ex preti innamorati di tettone. In Dancing with the Moonlit Knight vengono alla luce il consumismo sfrenato, altri caustici doppi sensi e una gran dose di ironia.
A proposito di testi, Roberto Dell’Era nota che «una cosa a cui non sempre si pensa è che tutti contribuivano a tutto, ad esempio Rutherford e Banks ne hanno scritti alcuni, vedi quello di Firth of Fifth, non era solo Gabriel a occuparsene anche se i suoi hanno una marcia in più per i giochi di parole, le metafore, le citazioni, la critica sociale e l’ironia. Tutte cose che secondo me Gabriel ha mutuato da Ray Davies dei Kinks, è stato lui il primo a scrivere testi di denuncia con un’ironia tipicamente British. Spesso in Selling England Gabriel usa le parole per dare loro molteplici significati, pensa a quando dice “wimpey dreams” su Dancing with the Moonlit Knight, wimpy vuole dire codardo, vigliacco, ma Wimpey è anche il nome di una catena di hamburger e di una società di costruzioni. C’è tutto un filone di dissacrante satira sui costumi inglesi che tocca Gabriel, passa per Bowie e arriva fino a Damon Albarn».
Magnini aggiunge: «Mi piace la denuncia sociale messa in atto in questo album, non te lo aspetti da un disco prog, sembrava che solo il punk fosse il genere che denunciava i malesseri della società ma i Genesis lo hanno fatto prima, certo col loro linguaggio, sicuramente più nobile, forbito, del resto erano quasi tutti figli della borghesia inglese. Altra cosa che cozza con l’idea che di solito si ha del prog: è un disco molto ironico, Peter Gabriel era un maestro in questo».
Una cosa che stupisce ulteriormente di questo lavoro è la giovane età dei suoi componenti e la rapidità con la quale è stato realizzato. Dell’Era: «In due mesi hanno scritto e registrato un disco di questa caratura, una cosa inconcepibile per i nostri tempi. Con parti ben definite, ma anche tante jam, ore e ore in sala prove a suonare, con idee varie collegate fino al risultato ottimale. Il tutto emana una sensazione di freschezza pazzesca, dall’inizio alla fine, è un disco dinamico, corale, giovane si può dire, ancora oggi. Phil Collins aveva 22 anni, gli altri 23, ci rendiamo conto?».
Anche Faso di Elio e le Storie Tese si stupisce: «L’inizio dell’album con la sola voce di Gabriel è una botta pazzesca. Ha 23 anni e ha lo stesso timbro di oggi, incredibile. C’è un’intensità che mi sorprende, e quello che più mi lascia sconvolto è la loro giovane età, ma cosa avevano in testa per scrivere tutta questa roba? C’è The Battle of Epping Forest che ancora oggi ascolto e mi esalto».
Ma quale è l’eredita di un disco del genere? Ci sono artisti che ne sono stati influenzati? Secondo Hackett, «Elbow e Muse hanno portato avanti l’approccio illustrato da Selling England by the Pound. È musica potente che credo avrà sempre un posto come l’opera e i generi classici». Livio Magnini pensa che «se un giovane di oggi lo ascolta ne ricava una cosa bellissima: musica! In fondo Selling England è molto meno “di genere” che un disco trap, per dire. Il disco “di genere” invecchia prima, una volta passata la moda. Questo se lo metti su tra vent’anni sarà ancora fresco, perché ha dentro sé un universo musicale così vasto che difficilmente lascerà indifferenti».
Anche Dell’Era è dello stesso avviso: «Ho cominciato ad ascoltare musica a metà anni ’80 e Selling England era la cosa più lontana che potesse esserci da quello che c’era in giro in quel periodo. Ma me ne sono innamorato e credo che oggi potrebbe fare lo stesso effetto a un giovane perché è diversissimo da ciò che si ascolta normalmente e questa diversità potrebbe scatenare la curiosità. Per quello che riguarda la sua eredità, ravviso influenze di Selling England nei Lemon Twigs, sono un po’ meno arzigogolati dei Genesis, ma hanno saputo cogliere l’essenza del loro pop barocco e darne una versione fresca, moderna».
L’ultima parola è per Elio che tenta di gettare un ponte tra le esperienze di quel gruppo di giovani negli anni ’70 e quelli di oggi. «I Genesis erano poco più che adolescenti e hanno tirato fuori un disco del genere, dove non c’è un pezzo che non sia straordinario. E io vorrei fare un appello ai ragazzi di quell’età: siete voi che dovete capovolgere le sorti della musica, bisogna muoversi, alzare il culo e sperimentare. La musica è arte, non sottofondo, bisogna cercare di esprimere l’animo umano tramite le note, non sognare di vincere i talent. L’obiettivo deve essere quello di realizzare un capolavoro. Quando si ascolta Selling England si sente che i Genesis volevano lasciare il segno e lo hanno fatto alla grande. Fatelo anche voi».