Per l’appassionato medio di musica Quincy Jones è stato uno dei più grandi produttori contemporanei, una figura enorme a cui si devono alcuni degli album più importanti di sempre. Per chi lavora nell’industria musicale è stato qualcosa di più. Ha coperto ogni ruolo nel music business. È stato talmente prolifico che potremmo ignorare gli album che ha prodotto, i film che ha musicato e le colonne sonore che ha arrangiato e con ogni probabilità la sua carriera da discografico sarebbe comunque leggendaria. Le note a piè di pagina della sua storia costituirebbero momenti fondamentali per chiunque altro.
«La gente dice che è stato un fenomeno di quelli che si verificano una volta sola a generazione, ma non è così», afferma Naima Cochrane, membro del consiglio di amministrazione della Black Music Action Coalition e docente presso il Clive Davis Institute of Recorded Music della NYU. «È ancora più raro. Non una volta nella vita, ma una volta nella storia. Se non si fosse occupato di così tanti altri progetti, dalla produzione alla colonne sonore, sarebbe stato al livello di Clarence Avant».
Jones è stato uno dei primi uomini di colore a dirigere una grossa etichetta discografica, ha prodotto musical e spettacoli televisivi di successo, ha fatto da mentore e scritturato grandi artisti, è stato il co-fondatore di una delle riviste musicali più autorevoli di sempre. Il suo periodo alla Mercury Records all’inizio degli anni ’60 è una delle sue imprese meno ricordate, ma ha una grandissima importanza. Dopo aver mosso i suoi primi passi nel jazz, ha lavorato come direttore musicale dell’etichetta e poi, nel 1961, è stato nominato vicepresidente: era una delle prime volte in cui un nero assumeva un ruolo dirigenziale in un’etichetta di proprietà di bianchi.
«Mi sorprende che non se ne parli più spesso», dice Cochrane. «Era un periodo in cui vigeva ancora la segregazione e questa era una cosa enorme. Fino a quel momento si era legato con Frank Sinatra e aveva lavorato in Francia e quindi è stato trattato come un diverso. Non era lì per lavorare sulla black music, la gente non pensava a lui come a un discografico nero. Lui era Quincy e basta».
Harvey Mason Jr., amministratore delegato della Recording Academy e uno dei tanti del settore a considerare Jones un mentore, dice che quell’incarico è stato un punto di svolta nella storia della moderna industria musicale. «È stato uno dei primi musicisti e dirigenti neri di cui alcune aziende di proprietà di bianchi si sono fidate. Vedere che qualcuno come lui raggiungeva una posizione di potere è stata una cosa unica».
Secondo il New York Times, ha ricoperto quel ruolo alla Mercury per meno di un anno, ma non è stata la sua ultima volta alla guida di un’etichetta discografica. Nel 1980 ha co-fondato la Qwest Records supervisionando un roster che comprendeva Sinatra, Tevin Cambell e George Benson. La prima uscita è stata Give Me the Night di Benson, che è diventato disco di platino e ha fatto vincere al chitarrista jazz tre Grammy. «Avevo iniziato ad allontanarmi un po’ dal jazz e Quincy mi ha domandato: “Vuoi fare il più grande disco jazz del mondo o vuoi andare fino in fondo?”», ha raccontato Benson al Guardian nel 2019. «Avevo visto quel che aveva fatto con Off the Wall di Michael Jackson. Mi ha detto: “Affidati a me, so più cose sul tuo conto di quante tu stesso ne sappia”. All’inizio mi sono offeso, ma poi mi sono calmato e le cose hanno iniziato a girare per il verso giusto».
Il successo più grande della Qwest, però, è arrivato quando l’etichetta ha ingaggiato i New Order, lanciandoli negli Stati Uniti. «Quando ci ha messo sotto contratto con la sua etichetta, ci ha fatto sentire i benvenuti», ha scritto su X questa settimana Peter Hook. «Ci ha reso grandi in America. Era umile e gentile, ti innamoravi subito di lui».
Jones è entrato nella produzione di Il colore viola (1985) e Willy, il principe di Bel-Air (1990). Nel 1993 ha co-fondato la rivista Vibe per dare spazio agli artisti di colore di cui Rolling Stone non si occupava. «Spesso si dimentica che dietro a Vibe c’era Quincy, perché la rivista è cresciuta fino a diventare un brand a sé e non era più semplicemente una sua emanazione», spiega Cochrane. Secondo Mason Jr., «Quincy a un certo punto ha potuto permettersi di dire: posso usare il mio marchio, il mio gusto, la mia capacità di capire ciò che è eccellente e ciò che piacerà ai consumatori. Per farlo, devi conoscere molto bene i consumatori ed essere un uomo d’affari esperto».
Secondo Cochrane e Mason Jr. le qualità di Jones come produttore hanno accresciuto la sua abilità come businessman, in particolare nei campi dello scouting di talenti e del controllo della qualità. La sua generosità è un aspetto fondamentale del suo lascito ad altri artisti e discografici. «È incredibile quante persone hanno passato del tempo con Quincy», dice Mason Jr. «Dedicava tanto tempo alle persone, per aiutarle. Non si trattava solo di e-mail o di rispondere alle telefonate. È pieno di post su Instagram di gente seduta con lui, sul suo divano. In migliaia, in questo settore, hanno condiviso aneddoti su di lui e hanno detto espressamente che lui è stato il loro mentore».
Aveva un grandissimo acume commerciale, ma definirlo solo un discografico sarebbe riduttivo. «L’amore eterno di Quincy era prima di tutto e soprattutto la musica. Gli piaceva il business solo perché era il modo per fare soldi con la cultura musicale», dice Cochrane. «Gli credevo quando diceva che le sue decisioni non erano mosse dal denaro. Era prima di tutto un musicista e non credo che avrebbe mai potuto essere solo un discografico».
La sua influenza è stata percepita per decenni. «Credo che la cosa più importante del Quincy discografico sia che tutti noi abbiamo finalmente trovato una persona di colore in una posizione di potere nell’industria», dice Mason Jr. «Ha aperto tantissime porte ed è stato una guida per molti. Non avrei imparato nulla di quello che so se non fosse stato per Quincy. Non avrei fatto musica. Non sarei stato un produttore. Non avrei pensato di poter fare cinema e televisione o gestire un’azienda. Non faccio nulla che non abbia imparato da lui».
Da Rolling Stone US.