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Riecco ‘Band on the Run’, nel nome del padre (Paul McCartney), del figlio (Giles Martin) e dell’Atmos

È stato ripubblicato oggi in varie versioni (anche ‘underdubbed’) l’album firmato Wings in cui Macca cercava un linguaggio adatto agli anni ’70. È un signor disco, ma non è mai diventato un “monumento”: giusto così?

Foto: Clive Arrowsmith/MPL Communications

Per il mondo fu il disco del “grande ritorno” di McCartney, numero uno negli Stati Uniti e nel Regno Unito (e Canada e Australia e Spagna). In Italia passò quasi inosservato, se non – ovviamente – dagli osservanti beatlesiani. Anche usando le dovute cautele necessarie con le classifiche del secolo scorso, pare che si sia limitato ad affacciarsi fugacemente nella nostra top 20 all’inizio del dicembre 1973, per poi declinare rapidamente. Tra gli ex Fab, il pubblico italiano apprezzava più John Lennon e George Harrison.

La premessa forse non è strettamente d’obbligo, ma aumenta il senso di curiosità e lo stupore da parte nostra per la canonizzazione di Band On the Run, ovvero il suo ingresso nell’empireo dei dischi elisi: il trattamento Dolby Atmos in seguito a mixaggio di Steve Orchard e Giles Martin, figlio di cotanto padre. Perché non si discute, è un bel disco. Ma ci siamo persi qualcosa? E l’ascolto immersivo ci permetterà di individuarlo?

Al di là della sua popolarità alle nostre latitudini, una cosa pare accertata: non siamo di fronte a un album che mette soggezione, uno di quei tanti (troppi?) monumenti la cui ombra di anno in anno sembra allungarsi sempre di più sull’immaginario del rock.

Tanto per fare nomi, visto che sono coetanei: è un album il cui spirito è completamente differente rispetto a The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd. Non è un commentario sulla natura umana, non è stato pensato per essere sentito in mistico raccoglimento. Ma anche per quanto riguarda l’impatto sonoro, non crediamo che i fan di Macca si scandalizzeranno se non lo annoveriamo tra i dischi epocali. Anche se si avvale degli arrangiamenti per orchestra di Tony Visconti controbilanciati da suoni nuovi per l’epoca (in particolare un Minimoog suonato da una volonterosa Linda McCartney), fu completato dopo circostanze movimentate, tra demo rubati in un agguato in Nigeria, componenti della band eclissatisi senza tanti complimenti, e problemi di salute del componente più noto dei tre Wings, forse dovuti anche a stress e superlavoro, visto che si sobbarcò anche le parti di batteria.

Band On the Run fu un successo quasi inaspettato, del quale forse piacque proprio l’accessibilità. Ascoltato oggi, è un disco completamente immerso negli anni ’70, tanto che a più riprese sembra di cogliere lo sguardo divertito dell’ex re dei ’60 verso i nuovi dominatori delle classifiche, da Elton John a Suzi Quatro agli strani animali del prog, con diversi inviti a nozze a quegli americani fissati con la musica da ascoltare sulle loro highways. È un disco che non ha pretese se non quella di risultare piacevole, e il successo della title-track come singolo fu quasi inaspettato per un brano caratterizzato da diversi cambi di passo interni, tanto che i discografici americani preoccupati avevano imposto nella versione USA la presenza di Helen Wheels, scelta come primo singolo: oggi la troviamo nell’edizione dei 50 anni del disco come un’invitata alla festa.

L’ascolto ad altissima fedeltà che abbiamo sperimentato esalta, e non potrebbe essere altrimenti, il musicista McCartney, la sua duttilità vocale, la capacità propulsiva del basso, la sua disponibilità a spaziare tra suoni e ritmi. Stava cercando il linguaggio del nuovo decennio dopo averlo dettato a tutti in quello precedente, e la riprova migliore viene dal suo approccio ai sintetizzatori, non invadenti come in altre produzioni di quel periodo.

Sono tutte considerazioni che suoneranno pleonastiche alla cerchia di discepoli del Maestro di Liverpool – e forse il punto dell’operazione, e di altre che presumibilmente verranno nel nome dell’Atmos, è quella di convertire più anime a un ascolto “immerso” ancora prima che immersivo, ad allargare la base dei dischi da ascoltare con rispetto e curiosità, uscendo dalla Monument Valley del rock per prendere in considerazione anche album più alla mano, ma egualmente in stato di grazia. E se l’ascolto di musica in Dolby Atmos non è ancora tra i vostri proponimenti, non mancano le alternative: l’edizione del cinquantesimo anniversario si manifesta in diversi formati. Le versioni su CD e LP singolo con mastering a velocità dimezzata con trasferimento ad alta risoluzione dai nastri originali del 1973, alle quali nella versione doppia si può affiancare un ulteriore CD o vinile con una Underdubbed Mixes Edition, cioè senza le sovraincisioni successive – la versione “naked” originaria curata da Geoff Emerick nel 1973 alla quale mancano qua e là chitarre, tastiere, cori. In sostanza, se vi piace ruspante, c’è anche quello. Così come, naturalmente, è anche in streaming sulla vostra piattaforma d’elezione.

Come si diceva sopra, Band On the Run non è mai stato un disco d’élite. Ma è un signor disco – perché signori si nasce, si diceva una volta.

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