Quando Jimmy Page ricomincia a farsi vedere in pubblico, come accaduto recentemente per un’iniziativa della Gibson legata alla riproduzione in serie della sua iconica doppio manico e alla Rock and Roll Hall of Fame, significa che qualcosa in casa Led Zeppelin comincia a bollire in pentola. Infatti, puntuale come un orologio svizzero, è giunta la notizia del ritorno nelle sale in versione rimasterizzata (in Italia il 25, 26 e 27 marzo) di The Song Remains the Same, l’ambizioso e folle film concerto più costoso del decennio d’oro del rock.
Progetto dalla gestazione travagliatissima, economicamente rischioso, il film del 1976 basato su tre concerti del 1973 al Madison Square Garden di New York finì per scontentare tutti. Sia la critica, che mai aveva amato i Led Zeppelin e non attendeva altro che un loro passo falso per ribadire il proprio disappunto, sia i fan che aspettavano da anni una testimonianza di quello che consideravano il più grande gruppo live al mondo. Il risultato finale era in effetti spiazzante: l’unione di scene dal palco del Madison Square Garden e immagini girate in altre location deluse chi sperava di assistere a un concerto completo degli Zeppelin e, soprattutto, quelle filmate non erano le serate migliori della band.
Perché allora rivedere oggi un lavoro che ai tempi apparve come un mezzo passo falso? Semplice, perché nonostante i difetti evidenti, frutto soprattutto di un mix di megalomania e approssimazione, The Song Remains the Same rappresenta ancora la fotografia migliore del momento attraversato dal gruppo nell’ultima parte del 1973. Un gruppo che sull’esagerazione e sullo spingersi oltre i limiti aveva fondato il proprio successo e che, a costo di apparire fuori dalla realtà e totalmente autoindulgente, è stato in grado segnare la propria epoca e la successiva. Sia dal punto di vista musicale che dello spettacolo dal vivo.
Chi ama i Led Zeppelin, insomma, lo fa anche per gli stessi difetti che ne hanno accompagnato l’intero percorso. Inoltre, guardare il film oggi, decontestualizzato dal periodo in cui uscì, permette tanto alle nuove generazioni che a quelle precedenti di comprendere che, anche nelle serate meno straordinarie, i Led Zeppelin valevano il doppio di qualsiasi altra band.
Per i Led Zeppelin, il 1973 sembra il momento perfetto per la pubblicazione del primo album dal vivo. I loro primi cinque dischi li hanno trasformati nel più grande fenomeno musicale dallo scioglimento dei Beatles, costringendoli a un tour de force fatto di album in studio sfornati con regolarità svizzera e infiniti tour da una parte all’altra dell’oceano. L’America è ai loro piedi, il mercato clandestino è inondato di bootleg che ne testimoniano la grandezza on stage e che, di fatto, sottraggono soldi alle casse della band. Inoltre, i competitor Deep Purple hanno pubblicato da poco Made in Japan, acclamato da pubblico e critica come l’album dal vivo definitivo.
Jimmy Page pensa da tempo a una compilation dal vivo che possa testimoniare l’evoluzione artistica del gruppo e sta già ascoltando tutto il materiale registrato tra il 1969 e l’anno precedente, ma Peter Grant non è della stessa idea. Il manager del gruppo è convinto che il tour nordamericano in corso rappresenti lo zenit artistico dei suoi ragazzi e vuole che chiunque se ne possa rendere conto. Grant è inoltre convinto che un semplice album non sia sufficiente a mostrare le funamboliche performance della band, ma che queste debbano essere accompagnate da immagini evocative, capaci di rendere il prodotto appetibile su più livelli.
L’idea iniziale è molto semplice e in linea con gli standard dell’epoca: registrare gli ultimi tre concerti della tournée americana al Madison Square Garden, tirarne fuori i momenti migliori e montarli nel modo migliore possibile. Per farlo, Grant decide di ricontattare il giovane regista Joe Massot, che aveva già filmato l’esibizione della band al Festival di Bath nel 1970, farlo venire a New York con la sua crew per girare i primi due show al Garden e fare anche qualche ripresa nel backstage, utile per mostrare alcuni momenti in genere nascosti agli occhi dei fan.
Le cose, tuttavia, iniziano presto a sfuggire di mano. Massot calcola male la quantità di pellicola necessaria per fimare gli show nella loro completezza, trovandosi tra le mani una quantità di girato non sufficiente alla realizzazione del progetto. Inoltre, gli unici membri della band vestiti nello stesso modo nel corso delle serate sono Robert Plant e John Bonham, avvisati per tempo del fatto che il docufilm sarebbe stato montato utilizzando le parti migliori di tutte e tre le date. «Non avevamo idea di quanto sarebbe stato difficile», ha detto John Paul Jones a Barney Hoskyns per il suo Led Zeppelin. La storia orale. «Ho chiesto al regista se quella sera ci sarebbero state riprese, ma lui mi disse che non erano previste. Quindi ho pensato: non mi devo preoccupare, terrò la camicia che indossavo la sera precedente per le prossime riprese. Poi sono salito sul palco e ho visto le macchine da presa pronte a girare. Sembrava che nessuno sapesse cosa succedeva».
Il risultato è sconcertante: oltre al minutaggio insufficiente, ci sono scene in cui i quattro sono vestiti in modo diverso e alcuni brani leggendari non sono nemmeno stati registrati a causa di problemi tecnici. Peter Grant, la cui fama di uomo irascibile e poco incline al dialogo era nota a chiunque, la prende malissimo, come riportato sempre da Barney Hoskyns: «Abbiamo ingaggiato Massot e abbiamo cominciato le riprese. Si è rivelata una faccenda traumatica, a dir poco… Hanno filmato tre concerti completi e non avevano nemmeno una sequenza completa di Whole Lotta Love».
Per sopperire in qualche modo alle lacune e non avendo più nuove date fissate nell’immediato, Massot e la band decidono di cambiare il progetto in corsa, girando delle scene del tutto estranee ai concerti (e sostanzialmente quasi totalmente improvvisate), in cui ognuno di essi avrebbe vestito i panni di personaggi di fantasia. Grant e il famigerato tour manager Richard Cole si sarebbero trasformati in minacciosi gangster, Bonham avrebbe mostrato uno squarcio della sua vita privata, mentre Jones e Page avrebbero alternato parti suonate a scene di fantasia. La sequenza autocelebrativa di Plant viene invece girata al castello di Raglan, in Galles. Il cantante immagina di essere un impavido cavaliere che salva una povera damigella in pericolo. «Insomma, voglio dire, stiamo parlando di una serie di cazzate fatte a cuor leggero in cui ognuno può fare quel che gli pare», ha detto l’assistente di Plant, Benji LeFevre, a Paul Rees per il suo libro Robert Plant. Una vita. «Io, Robert e il regista ce ne andammo su per le colline e… la cosa sfuggì completamente al controllo. Se vuoi girare un film, allora ci vuole qualcuno che diriga le operazioni e che abbia chiaro in mente il risultato finale. Non una roba del tipo: beh quasi quasi la mia sequenza la faccio così o adesso ci ficco dentro quest’altra trovata».
All’inizio del 1974, Massot mostra una anteprima del film agli Zeppelin, che lo giudicano impubblicabile. Page è fuori di sé e costringe Grant a licenziare Massot, che viene sostituito da Peter Clifton, che si ritrova tra le mani una band furiosa e una serie di filmati difficili da mettere insieme in modo organico. «C’erano dei momenti brillanti in quello che aveva filmato Massot, basta mettere uno specchio davanti ai Led Zeppelin per avere qualcosa di straordinario», dice in Led Zeppelin. La storia orale. «Ma era tutto fatto un po’ a casaccio. Mancavano una scena qui e una scena là, e quando hai a che fare con rockstar l’unica cosa che guardano sono gli errori. Se c’è qualcosa che non è perfetta, loro si attaccano tutti a quella. Joe non aveva il savoir faire per trattare con gente simile, quindi naturalmente l’hanno messo sotto i piedi».
L’idea del nuovo regista è quindi quella di recarsi negli Shepperton Studios, ricreare il palco del tour, suonare in playback le scene mancanti e sincronizzarle con l’audio a disposizione. «Quando ho visto quanto era incasinato, ho detto che c’era dell’ottimo materiale di documentazione girato a 16 millimetri, ma che non c’era nulla che messo insieme costituisse un film. Pensavo che girando in 35 millimetri sul palco ricreato in studio si potesse ricreare l’esperienza del concerto. In tre settimane ho scritto una sceneggiatura semplicemente improvvisata».
Rispetto alle riprese iniziali, però, sono passati molti mesi e anche fisicamente i membri del gruppo sono cambiati non poco. La lunghezza dei capelli di John Paul Jones viene ricreata con una parrucca, ma poco si può fare per Bonham i cui stravizi l’hanno portato ad un evidente aumento di peso. I lavori si fermano ancora, con la speranza di riprenderli nei mesi successivi in un’altra pausa tra nuove registrazioni e relativi tour. Le prime date possibili vengono individuate nell’agosto del 1975, ma il 4 del mese, Plant perde il controllo della sua auto mentre è in vacanza in Grecia, rompendosi il bacino e rischiando la vita.
È la fine del progetto The Song Remains the Same. Band ed entourage non possono aspettare oltre, e la Atlantic, che ha già speso più soldi che per qualsiasi altro progetto simile fino ad allora, li costringe a pubblicare il film così com’è, mettendo insieme una colonna sonora capace di riempire un vuoto che si era protratto di quasi altri tre anni. Massot compare comunque come regista insieme a Clifton, ma non viene invitato alla première del film a New York ed è costretto a comprare un biglietto. Il presidente dell’etichetta Ahmet Ertegün, il loro mentore, colui al quale dovevano tutto, si addormenta durante la proiezione. Nella prima settimana il film guadagna 200 mila sterline al botteghino, ma il successo dura pochissimo. L’album funziona meglio, ma soprattutto per via della lunga attesa dei fan. La band, poi, è completamente allo sbando, con Plant ancora provato dal recupero dall’incidente, Jones ormai disinteressato a tutto e Bonham e Page alle prese con le loro dipendenze.
Dopo un processo tortuoso come quello, in effetti il film si presenta come un’accozzaglia di taglia e cuci che fa tutto tranne che rendere onore a una delle più grandi live band della storia e che, soprattutto nelle scene di fantasia, rasenta involontariamente il ridicolo. È probabile che se Page si fosse trovato in condizioni psicofisiche ottimali non avrebbe mai permesso che un prodotto del genere vedesse la luce e, se l’obbiettivo era quello di contrastare l’incredibile vendita di bootleg, lo scopo venne clamorosamente mancato. Esistevano talmente tante registrazioni illegali di livello superiore che nessuno si sarebbe mai sognato di scambiarle con un prodotto di quel tipo. Ennesima prova dello sbando degli Zep e di chi gravitava nella loro orbita.
Solo un anno dopo, lo stesso Page parlava del progetto in termini agrodolci a Trouser Press: «È un vero peccato che il nostro primo album dal vivo sia stato la colonna sonora del film. Il progetto del film è rimasto nel cassetto per un po’, i filmati erano stati accantonati e ci avremmo rimesso mano al momento in cui avessimo avuto qualcosa di nuovo e valido da aggiungerci. Così abbiamo fatto qualche altra ripresa, ma dopo l’incidente di Robert siamo stati costretti a concluderlo. In buona parte ci avevamo già lavorato e adesso doveva uscire. Le nuove registrazioni le abbiamo fatte in tre serate, ma in realtà la musica per accompagnare le immagini veniva in sostanza solo dalla prima serata, quella dove c’era stata la migliore performance vocale. Non c’erano salti né sbavature, ma il materiale video non era completo. Così abbiamo dovuto pensare alle sequenze fantasy per riempire i vuoti. Se fossimo una band sempre uguale, data dopo data, sarebbe stato facilissimo montare in sequenza le performance di una serata con quelle di un’altra. Di solito, per gli album live, la maggior parte delle band registra per una mezza dozzina di serate e poi sceglie il materiale migliore, ma essendo materiale video noi non potevamo farlo».
«È stato un lavoro incredibile fatto tutto in salita», diceva ancora Page. «Ci avevamo lavorato per un po’ e ci eravamo fermati. Ne avevamo fatto un altro po’ e fermati nuovamente. In tutto tre volte così. A quel punto, avevamo deciso di rifare tutto da capo, questa volta verificando che lo staff cinematografico riprendesse tutto nel migliore dei modi. Per come sono andate le cose, sono comunque contento che sia uscito. Soprattutto perché è una testimonianza onesta, un documentario. Di sicuro non mostra una delle nostre notti magiche. Non era una di quelle serate fantastiche che si verificano una volta ogni tanto, ma per riprendere quelle dovresti avere l’intera troupe costantemente in tour con te e costerebbe troppo. Eravamo giunti al punto in cui si era andati troppo avanti per tirarcene fuori. Ci avevamo messo dentro una quantità di soldi. È stato anche frustrante, perché io avevo in testa la precisa idea di un LP dal vivo cronologico, che avrebbe fatto il botto».
Il tempo è stato galantuomo con The Song Remains the Same. L’enorme attesa, la lunga lavorazione e la fama guadagnata dalla band on the road avevano caricato di aspettative un progetto che appariva peggio di quel che era. È vero, anche oggi le scene “oniriche” (in particolare quella iniziale e quella di Plant cavaliere) fanno sorridere, ma allo stesso tempo raccontano di un’epoca irriproducibile del rock, in cui una band al culmine del successo pensava di poter trasformare in oro qualsiasi cosa toccasse, anche le più assurde e frutto di manie di grandezza. Più che essere brutte, quelle sequenze oggi fanno tenerezza.
Se è probabile che le date newyorkesi non fossero state le migliori del tour di supporto a Houses of the Holy, è anche vero che in quel momento fosse davvero difficile andare a uno show dei Led Zeppelin e uscirne delusi. Le recensioni dell’epoca non raccontanole serate in modo negativo, ma come degna conclusione di un tour mastodontico e riuscitissimo. La conferma viene soprattutto da alcuni dei brani, in particolare quelli remixati nella versione definitiva del 2007, su tutti Dazed and Confused e Since I’ve Been Loving You.
Insomma, benché lo stesso Page sia riuscito nell’obiettivo di pubblicare nel nuovo millennio il tipo di disco che aveva in mente (vedere alla voce How the West Was Won), The Song Remains the Same continua a possedere il fascino indelebile della prima volta.