Sassi, sputazzi, elicotteri: in una nazione fondata sul cazzeggio e sul trash, Tony Effe della Dark Polo Gang non poteva non essere l’eroe del weekend musicale appena passato. Figuriamoci. Pazienza se il contesto in cui suonava, il Nameless, ha frantumato tutti i record per un festival dance-e-dintorni italiano, superando le 80 mila presenze; pazienza se la nuova location del suddetto evento si è rivelata veramente un unicum, per ampiezza e comodità, per i grandi eventi italiani in campo elettronico, aprendo prospettive che prima trovavi e ti immaginavi solo all’estero; pazienza se lì ha suonato questo o quello (per fare quelle cifre, non è che puoi chiamare il primo stronzo che passa e – soprattutto – devi saper parlare molto bene al tuo pubblico, reale o potenziale che sia), suonando così e cosà. Le views se le è prese Tony Effe, e il suo litigio a sassate e sputazzi con l’americanissimo, famosissimo e tamarrissimo Lil Pump (e il suo team).
Del resto pure il MiAmi, giusto una settimana fa o poco più, a un certo punto pareva appeso alla baruffa etilica tra Calcutta e De Leo. Nuova forma di promozionare un evento, far scazzottare fra loro gli ospiti in cartellone o comunque i vip nel backstage? Nah: mettiamo la mano sul fuoco che gli organizzatori & creatori di entrambi gli eventi si sarebbero evitati molto volentieri queste bagatelle. Non hanno bisogno di questi mezzucci, anzi, ne sono pure infastiditi: perché se è vero che ormai entrambi sono nati nicchia ma sono diventati pop, è anche vero che non hanno dimenticato da dove arrivano – e arrivano dalla musica, non dalle puttanate. Però ovviamente siamo qui per soddisfare la vostra curiosità – sennò perché sareste planati su questo articolo? – e raccontarvi cosa è successo davvero. Con un po’ di contesto, però: che serve assai, è importante.
In sintesi, allora, i fatti. A fine serata, Tony Effe voleva farsi una foto assieme al mega-ospite del palco rap/trap di Nameless, ovvero appunto Lil Pump, nume assoluto della trap più sguaiata e vanagloriosa. Uno che piace peraltro alla gente che piace, visto che con lui hanno collaborato pure Kanye e Skrillex, potenza dei numeri; e in generale uno a cui hipster e i connoisseur di tutto il mondo perdonano un sacco di marachelle e di testi fashionissimi sì, ma zoppi e sconclusionati (a onor del vero il nostro sboccato e pluri-arrestato trapper ha radunato meno gente rispetto al mega-ospite dell’altro main stage dell’evento, quello EDM, ovvero Afrojack, che era sul palco in contemporanea: ecco, almeno a Nameless l’EDM non è morta soccombendo alla zarrìa trap in ascesa e lotta ancora fieramente).
Ma dicevamo, torniamo ai fatti, perché sono quelli che davvero vi interessano, non i meta-discorsi sulle mode nella musica: Tony Effe vuole farsi una foto con Lil Pump, prevedibilmente per lui un autentico role model (ecco, ognuno ha i suoi…). Richiesta respinta in modo discretamente brusco dall’entourage dell’artista americano, che circonda il proprio assistito nella discesa dal palco alla fine del set (avranno anche effettivamente pensato, alla richiesta: «E mo’ chi cazzo è questo…»). Cosa questa che viene presa in modo non del tutto sportivo dal nostro Tony e dai suoi fiancheggiatori, ma soprattutto proprio da parte di Tony: parte una sinfonia di urla, tentati schiaffi e sputi, non insomma un tè alle cinque con la regina a Buckingham Palace, con l’inquadratura finale su Lil Pump & i suoi che sgommano beffardi, in un van nero dai vetri oscurati, dove si sono infilati prontamente per levare le tende e che già li attendeva a bordo palco, con l’italiano che dall’esterno a un certo punto prende a manate il suddetto van e poi pensa che possa essere una buona idea prenderlo a sassate mentre si allontana all’orizzonte, per esprimere il proprio velato disappunto per la mancata concessione di una foto assieme. Un po’ asilo, un po’ farsa, un po’ guerriglia. Ah, il giorno dopo Tony Effe si (semi)scuserà: «Eh, ero un po’ nervoso».
Decenni fa c’era Gil Scott-Heron che scandiva, giustamente,”the revolution will not be televised”, oggi dobbiamo accontentarci di un “but the bullshit will be promptly Instagrammed”: prima delle scuse e della contrizione del giorno dopo, parte infatti a stretto giro tra Tony Effe e Lil Pump un caravanserraglio di story su Instagram dai rispettivi profili fatto di derisioni e irrisioni reciproche. Ed è così che tutto si propaga, diventando notizia. Un tempo le scazzottate fra musicisti e rapper erano leggenda orale da tramandare di bocca in bocca in modo incerto, oggi sono carne da macello pronto-uso per la bulimia da web e i click immediati, tipo il vostro che avete elargito a questo articolo.
Ma sapete cosa? Va bene così. Se vi aspettate la chiusura moralista del “si stava meglio quando…”, beh, cambiate articolo. Nameless Music Festival quest’anno ha aumentato a dismisura la portata della faccenda rap e trap, portandolo alla stessa dignità dell’elettronica di taglio EDM (che sarebbe invece la ragione sociale originaria del festival). Effettivamente questo ha portato ad un radunarsi di decine, centinaia di figuri un po’ così nei quattro giorni di backstage. Lì dove il backstage EDM ha perso glamour (artisti e i loro entourage ridotti all’osso, senza richieste particolarmente strane), il backstage rap/trap è diventato un ritrovo di Rozzano o San Siro di affilati tagliagole e spacciatori, o gente che voleva sembrare tale (unici rilassati, quelli che davvero contano qualcosa nel game, ovvero manager, discografici e stakeholder vari: e questo dovrebbe far riflettere). Rhove ha fatto il capolavoro definitivo, salendo sul palco in scooter (con impennata di fronte al pubblico una volta salito, e scendendone con tanto di sgommata finale, olé): una rappresentazione plastica di come certo rap oggi sia una trasposizione perfetta dell’estetica da tamarro di periferia, punto. Cosa che del resto è da sempre nel suo DNA: con la differenza che un tempo con la cultura hip hop cercavi di elevarti ed assurgere allo status di artista, oggi la usi e ti ci butti sopra sperando di fare i soldi.
Quest’ultima frase non è una critica gratuita e moralista, ma nasce dalla sconfortata ma asciuttissima osservazione di come la stragrande maggioranza dei trapper una volta convocati sul palco, alla prova del live, arranchi al microfono in modo preoccupante. Ma proprio preoccupante. So’ scarsi forte, ecco. Ma scarsi scarsi. Nameless in questo è stata una cartina di tornasole perfetta. Addirittura un rapper-per-burla come Nello Taver, uno nato come fenomeno da Instagram e anche lui quest’anno in line up al festival, quando ci si è messo un minimo seriamente a far sul palco rime e non solo cabaret al confronto dei più illustri e meno autoironici colleghi in line up, beh, è sembrato tipo Nas o Common, un campione insomma di tecnica e contenuto. I trapper veri, a partire da Tony Effe ma il discorso va applicato a quasi tutta la scena, è come se fossero rimasti imprigionati dalla macchietta di se stessi, dei dolci orsetti di peluche da vincere al luna park, senza capire che esiste un modo valido per uscire da questo triste destino: studiare, imparare, allenarsi, evolversi, migliorare.
Però ecco, pur di non studiare, imparare, allenarsi, evolversi, migliorare si inventano le cose più stupide: come portarsi dietro gli amici meno raccomandabili e le amichette più chirurgicamente ritoccate ai festival (ad un certo sembrava di stare in un quadro grottesco, nel backstage, uno Hieronymus Bosch 2.0) oppure, come nel caso di Tony Effe, addirittura pagare di tasca propria un elicottero per atterrare nella zona dell’evento in grande stile e far così parlare di sé (come icasticamente confermato da una fonte molto interna, «avrà speso più in noleggio dell’elicottero di quanto ha guadagnato come cachet: che pirla»).
C’è da scandalizzarsi? C’è da insultarli? Ma no, accidenti. No. C’è da ringraziarli, invece: il rock’n’roll, oggi, sono loro. Se per caso siete boomer che leggono Rolling Stone e s’indignano perché si parla di rapper trappusi e non di artisti veri, beh, forse vi siete scordati cos’è in fondo il rock’n’roll e perché in origine vi è piaciuto, perché ve ne siete innamorati: era (anche) eccesso stupido, deboscia, ignoranza, era la rivincita (e/o i cinque minuti di celebrità…) delle persone più improbabili, era scompaginamento delle buone regole e della rispettabilità. Ed era anche gente che faceva schifo al cazzo a suonare, almeno rispetto ai diplomati al Conservatorio e nelle Accademie; eppure però riusciva lo stesso ad emozionare migliaia, anzi, milioni di persone.
Come la trap oggi. Sono scarsissimi tecnicamente al microfono quasi tutti quelli che abbiamo visto a Nameless (e sono stati tanti); rispetto ai veterani in line up come Noyz o Gué il divario è stato imbarazzante, ma lo è stato pure rispetto al guitto Nello Taver o rispetto anche a, che ci tocca scrivere, Il Pagante. Umanamente moltissimi di loro – compresi gli amichetti che si portano dietro – hanno una maturità e un savoir faire sotto zero, bisticci e sputazzi post concerto parlano infatti chiaro, per non parlare di tutto l’inutilissimo clima di tensione che è serpeggiato più volte nel backstage namelessiano trappuso. Però proprio per questo piacciono. Proprio per questo funzionano. Attirano. Affascinano. Intrattengono. It’s only rock’n’roll è diventato, nel 2022, it’s only trap music.
Quindi sì: se pruriginosamente volevate sapere il dietro le quinte della faida & scazzottata tra Tony Effe e Lil Pump, in realtà vi siete beccati pure un’analisi sullo stato delle cose, nella cultura pop contemporanea. Ma se Nameless Music Festival ha sfondato il tetto delle 80 mila presenze in quattro giorni, e questa è una notizia davvero giornalistica, di giornalismo musicale, è anche perché ha dato più peso in cartellone a ‘sta gente qua. In realtà anche offerto ottima musica e performance spettacolari, per chi voleva e per chi era pronto ad andarsele a cercare: sta ad ognuno scegliere ciò che gli interessa di più, tutto qua. Magari a seconda dell’umore. Da sempre, è così. E comunque: se sul palco Tony Effe è ancora scarso, non è che Lil Pump abbia dimostrato di essere tanto meglio. Su Instagram, invece, sono dei draghi entrambi.