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«Se si può festeggiare Biden per strada, perché non si possono fare concerti?»

Lo chiedono alcuni artisti country americani. Ma in tempi di Covid c’è differenza fra una manifestazione spontanea e un’esibizione di fronte a un pubblico senza dispositivi di protezione

Foto: zz/STRF/STAR MAX/IP

Non sono passati nemmeno nove mesi dall’inizio della pandemia e secondo la Johns Hopkins University gli Stati Uniti hanno superato i 10 milioni di contagiati. Più di 237 mila americani sono morti da quando si è registrato il primo decesso da Covid-19, nel gennaio 2020.

È in questo scenario che un certo numero di artisti country americani sta blaterando di «ipocrisia». Secondo loro, le manifestazioni spontanee che si sono tenute nel corso del weekend in tutto il Paese per celebrare la vittoria di Joe Biden (vittoria che George W. Bush ha definito «sostanzialmente giusta») equivalgono agli assembramenti ai concerti che loro vorrebbero riprendere a fare.

«È un’incredibile ipocrisia», scrive Morgan Wallet su Instagram postando una fotografia della folla vicino a Lafayette Park, a Washington D.C. «Non c’è problema se non siete d’accordo come me. Restiamo amici. Ma ho una famiglia, una band e dei tecnici di cui mi devo prendere cura. Se festeggiare per strada senza alcun distanziamento sociale non è un problema, allora non dovrebbe esserlo nemmeno fare concerti».

Com’è noto, l’invito di Wallen al Saturday Night Live era stato ritirato lo scorso mese dopo che erano venute fuori alcune foto che lo ritraggono a una festa in Alabama pochi giorni prima dello show televisivo. Wallen ha poi diffuso in video di scuse in cui ha annunciato l’intenzione di prendersi una pausa. Non è durata molto. È tornato a farsi vivo la scorsa settimana nel podcast di Bobby Bones e ora per dare lezioni sui festeggiamenti per le strade di persone per lo più dotate di mascherina.

Brian Kelley, uno dei due membri dei Florida Georgia Line, ha ipotizzato che il Covid stesso sia in qualche modo legato alle elezioni. «Si sa sapeva che aspettavamo le elezioni fin da marzo quando questa pagliacciata è iniziata». La cospirazione è un affare di famiglia. A inizio estate, la moglie e influencer Brittney Kelley ha dato visibilità alla cospirazione Wayfair, una specie di piccolo Pizzagate o QAnon sul traffico di minori online. E lunedì ha detto ai suoi follower come la pensa circa i festeggiamenti per le elezioni: «Siamo per i raduni, siamo per le feste, chiunque vinca, ma qualcuno dovrebbe smascherare l’ipocrisia di tutto questo».

«È tempo di tornare al lavoro, America», ha scritto Brian Kelley, «e fissare date asap». Date non dei Florida Georgia Line a quanto pare: lunedì l’altra metà della band, Tyler Hubbard, ha annunciato di essere in quarantena in quanto positivo al Covid e non sarà quindi presente alla performance del gruppo ai CMA Awards di domani (una coincidenza? Hubbard è della Georgia che sta per diventare uno Stato democratico, Kelly dalla Florida repubblicana).

Altri cantanti country come Chase Rice, RaeLynn, Michael Ray, Mitchell Tenpenny e Chris Lane hanno preso parte alla conversazione, paragonando le manifestazioni di gioia spontanee post elezioni ai concerti («La gente fa festa ovunque nelle strade, eppure noi non possiamo fare serate», ha scritto Lane postando una foto dell’invasione di campo di alcuni studenti durante una partita di football dei Notre Dame). Gli assembramenti senza protezioni non spaventano nemmeno Rice e RaeLynn. Il primo ha partecipato in Tennessee a giugno a un concerto senza mascherina (si teneva però all’aperto), la seconda ha pubblicato il video di una protesta religiosa a cui ha preso parte con migliaia d’altre persone a Nashville in ottobre.

È ovvio che alcuni non vedono le differenze fra le due cose. I festeggiamenti nati spontaneamente dopo un’elezione emotivamente sfinente – o una protesta contro le ingiustizie razziali e la violenza della polizia – che si tengono in strada con la gente che indossa mascherine e si muove costantemente non equivalgono a un concerto al chiuso. Anche se un recente studio tedesco ha confermato che il rischio di contagio in quel contesto è piuttosto basso, una buona ventilazione, regole stringenti sull’igiene e l’obbligo di capienza ridotta sono essenziali.

In più, e questa cosa è forse ancora più eclatante, la richiesta di far ripartire i concerti dal vivo sembra ignorare o non tenere in considerazione il pubblico. Siamo entrati in una crisi economica causata dalla pandemia, milioni di persone hanno perso il lavoro, e i lavoratori della musica sono stati colpiti con particolare forza. Gli artisti che chiedono di tornare on the road facendo concerti tradizionali (cioè senza distanziamento sociale) sembrano non considerare né le finanze, né la sicurezza dei fan.

Dopo la positività di due colleghi – Hubbard e Lee Brice, che ha dovuto annullare la partecipazione ai CMA Awards – e le morti causate dal Covid di Joe Diffie e John Prine, gli inviti polemici a far ripartire i concerti suonano tanto sprezzanti quanto singolari. O forse non è così. Forse questi artisti stanno semplicemente cercando di compensare in qualche modo il fallimento di cui sono stati testimoni nel weekend.

Dov’era l’indignazione per i comizi di fronte a persone prive di mascherina che Trump ha tenuto negli ultimi giorni di campagna elettorale? Herman Cain è risultato positivo al Covid nove giorni dopo aver partecipato al comizio di Trump al Bok Center di Tulsa, Oklahoma. È poi morto. Dov’erano in quel caso le storie di Instagram, un metodo codardo di dire qualcosa senza il rischio che resti in giro troppo a lungo?

Forse questi artisti sono semplicemente giù per la sconfitta di Trump, l’aspirante Superman che, aiutato da farmaci potentissimi e supercostosi, ha sconfitto il Covid, ma non è riuscito a battere Biden – anche se John Rich scrive su Twitter che, come Lazzaro, presto risorgerà dalle ceneri.

Tutti rivogliamo i concerti. Sarà una giornata indimenticabile quella in cui torneremo ad essere spalla a spalla sotto il palco a cantare e agitare i drink tutti assieme. Fino ad allora, però, smettiamola di dire stronzate.

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